Agguato sulla spiagga all'ex pentito

Schiacciato da un elefante Si attribuì anche l'attentato di via dei Georgofìli a Firenze, ma poi ritrattò tutto Agguato sulla spiagga all'ex pentito Palmi, vendetta delle cosche I REGGIO CALABRIA NOSTRO SERVIZIO Troppo facile: un bersaglio così i killer di Pietro Gioffrè, 31 anni, pentito-non pentito, se lo sognavano da sempre. Disteso a dormire su una sedia sdraio, su una spiaggia deserta (erano le 2,30 di ieri notte) alla «tonnara» di Palmi, dove aveva piazzato un chioschetto per la vendita di angurie, una leggera coperta tirata sino al collo per proteggersi dalle ondate di umidità che salgono dal mare. Gioffrè ha concluso la sua vita di randagio ai limiti della legge con due buchi grossi così in testa, provocati da una «357» Magnum, che gli ha spaccato il cervello. Quel cervello pazzo che aveva fatto di lui una sorta di mina vagante per la giustizia della Piana di Gioia Tauro, dove quando si sentiva pronunciare il suo nome gli «addetti ai lavori» cominciavano a sudare freddo, attendendosi chissà che cosa. Come quando, sorprendendo tutti, si era messo tra i responsabili di uno degli attentati dell'estate di terrore scatenata dalla mafia, due anni fa. Quello di via dei Georgofili, a Firenze. Un'accusa che non resse alle dichiarazioni di altri ben più credibili collaboratori di giustizia ai quali il nome di Gioffrè non diceva proprio nulla. Figurarsi se poteva essere lui uno degli artificieri scelti per la «campagna d'estate». Era un personaggio marginale nel panorama della criminalità mafiosa della Piana, ma allo stesso tempo interessante perché, entrando ed uscendo dalla schiera dei collaboratori di giustizia o presunti tali, aveva comunque dato la possibilità ai giudici di Palmi di mettere sotto inchiesta una sessantina di persone - tra boss e gregari delle cosche - in due distinte inchieste, la seconda figlia della prima (chiamate «Ponente 1 e 2»). Poi all'improvviso il dietrofront, inatteso e lacerante, perché per riaccreditarsi come «uomo di rispetto», Gioffrè non solo si rimangiò tutto quello che aveva detto, ma anche scelse di servirsi della moglie, Caterina Romeo, promossa sul campo sua rappresen- tante. La donna andò in giro per le strade del paese, Seminara, dicendo che il marito intanto sparito dalla circolazione - non era affatto pentito, ma che la sua latitanza gli era stata imposta da chi lo costringeva a dire cose non vere ogli attribuiva verbali mai firmati. Caterina Romeo distribuì per le strade di Seminara migliaia di volantini nei quali ripeteva che il marito non era un pentito e non aveva mai pensato di diventarlo. E lo stesso Gioffrè, lontano da casa, riuscì a fare circolare verbali (alcuni li mandò anche ai giornali, chiedendo di incontrare cronisti nei posti più impensati) ed in un paio di essi, trovati in un «covo» in Aspro¬ monte, le accuse erano per carabinieri e polizia che, diceva, lo avevano sottoposto ad ogni tipo di violenza pur di farlo «collaborare». A puntellare la linea di difesa scelta da Gioffrè il fatto che l'uomo non è mai stato sottoposto al «witness program» e che quindi per gli investigatori lui come «pentito» non esisteva nemmeno. Evidentemente valeva poco o nulla. Forse Gioffrè pensava che le cose dette e ripetute l'avessero ormai salvato e così era andato a Palmi, cercando di sbarcare il lunario vendendo angurie sulla spiaggia. Ma con quella scelta ha firmato la sua morte. Diego Minuti I L'attentato di via dei Georgofili: Giofré se ne attribuì la paternità, mentendo

Luoghi citati: Firenze, Gioia Tauro, Palmi, Reggio Calabria, Seminara