Lejla, ferita ad un occhio spera di guarire in Italia

Leila, ferita ad un occhio spera di guarire in Italia UN SIMBOLO DELLA GUERRA Leila, ferita ad un occhio spera di guarire in Italia IROMA L suo occhio insanguinato ha commosso il mondo. Sbattuto in prima pagina su tutti i giornali, in Europa come in America, ha simboleggiato il dramma bosniaco e la protervia delle milizie serbe. La ricorderete di sicuro, la piccola Lejla Jasarevic, 12 anni, che si abbracciava inerte alla sua mamma. Scena di disperazione assoluta. Da ieri Lejla ò in Italia. Sarà curata a Siena, nel reparto di oftalmologia traumatica. Ieri mattina, a Spalato, c'era di nuovo mamma Fikreta a portarla in braccio. Ma questa volta Lejla saliva sull'aereo della speranza. Un velivolo dell'Aeronautica militare italiana che ha portato la bimba, più altri cinque feriti gravissimi di Sarajevo e i relativi accompagnatori, sull'altra sponda dell'Adriatico. Accanto a Lejla e alla sua mamma-coraggio c'era il fratellino Lutvo, 15 anni. Una famiglia che si lascia l'incubo delle granate alle spalle. «Io voglio tornare a Sarajevo - diceva la bambina, con l'occhio vistosamente colpito - ma non ora. Quando non ci sarà più la guerra». Il dramma della famiglia Jasarevic è entrato, grazie alla famosa foto, in tutte le case del mondo. Un'immagine-simbolo, come tutte le guerre producono immancabilmente. Ma ieri, grazie al lieto fine, era giunto il sereno. La bambina, nonostante l'occhio destro sia completamente chiuso e gonfio, e le tante cicatrici sulla palpebra, sorrideva. Il fratellino le stava vicino quasi a protegger¬ la. Tra le mani, loro due e gli altri bambini, i primi giocattoli che le crocerossine avevano portato a bordo. C'è anche un interprete che aiuta Lejla, la piccola star del viaggio, a spiegarsi. Racconta come andarono i fatti. Ricostruisce quel drammatico 12 luglio. «Giocavamo sotto casa, nel pieno centro di Sarajevo. Pensavamo di essere più al sicuro». E invece no. Una granata era in agguato. Mamma Fikreta non riesce a dimenticare quei momenti. E' tesa. Tanto più che suo marito è ancora li. Per lui, giustamente forse, non c'era posto sull'aereo. «A guerra finita - dice voglio tornare. Mio marito ci aspetta». Per scappare da Sarajevo, il viaggio è stato estenuante. Sono partiti, la bimba e i suoi compagni di viaggio, lunedì sera. Hanno percorso l'insanguinata strada che sale su per i contrafforti del monte Igman. Nella notte sono arrivati dall'altra parte dell'assedio, a Zeniza. Lì erano attesi da un elicottero che li ha portati a Spalato. E finalmente, ieri pomeriggio, hanno trovato aperti i portelloni del nostro aereo militare, inviato a Spalato per espressa decisione di Lamberto Dini che ha dato personalmente il «via libera» a questa specialissima missione umanitaria. Coinvolti anche il ministero degli Affari sociali e la Croce Rossa italiana che ha messo a disposizione mezzi e uomini per l'accoglienza in Italia. E' questo il primo gruppo di malati che da mesi riesce a lasciare Sarajevo. Mica uno scherzo, l'assedio serbo. «Era dal 12 luglio, quando è stata ferita, che cercavamo di portarla fuori. Ma i posti di blocco dei serbi avevano sempre rifiutato di farla passare», racconta sull'aereo il dottor Ghebre, responsabile per le emergenze sanitarie del ministero. Prima tappa, l'aeroporto di Ancona, dove sono secsi tre malati: la piccola Adila Hajrudin, 10 anni, malata di linfogranuloma; la signora Emina Hadzelbegic, con le coronarie in dissesto; e la più grave, Nadina Selak, cinque mesi, immediatamonte ricoverata ai reparto intensivo pediatrico per via di una cardiopatia mal curata. Seconda tappa, Pisa. Qui, oltre a Lejla, sono sbarcati altri due bambini malati: Admir Mahovic, 2 anni, e Admila Smajlagic, 10, che in ambulanza sono stati trasportati a Bolzano. Tutti di corsa per le visite dei medici italiani. Ma anche a Spalato, a mettere i bambini sull'aereo con le lacrime agli occhi, c'era un medico italiano. Fausto Mariani, responsabile per lo Ioni (International organization for migration, organismo dell'Onu) di Sarajevo: «Datecelo più spesso questo aereo si raccomanda -, finora dalla Bosnia abbiamo allontanato 700 feriti. Ma non sono che il venti per cento di quelli che avrebbero bisogno di un ricovero». L'ospedale che Lejla si lascia alle spalle, infatti, non ha più nulla del nosocomio moderno. In città, tanto per fare un esempio, non c'è latte o farina da mesi. La frutta è quella che si riesce a coltivare nei giardini. Figurarsi le apparecchiature mediche di precisione. «Ma ora che arriverà a Siena - diceva ieri il professor Raffaele Bonanni, primario del reparto che attendeva il ricovero di Lejla - faremo con calma tutti gli accertamenti necessari. Poi si opererà. Ormai non c'è più fretta, purtroppo. E' stata ferita diverso settimane fa». Francesco Griglie. Iti Da Spalato a Siena grazie a un aereo messo a disposizione dal premier Dini Forse non potrà recuperare la vista «Ma voglio tornare in Bosnia» Lejla Jasarevic, 12 anni, esanime fra le braccia della mamma Fikreta, che la porta via dal cortile di Sarajevo dov'è rimasta ferita da una granata

Persone citate: Admir Mahovic, Dini, Emina Hadzelbegic, Guerra Leila, Hajrudin, Lamberto Dini, Mariani, Raffaele Bonanni