Quel salto nel nome del Signore di Pierangelo Sapegno

La storia di Jonathan Edwards, figlio di un pastore battista, primo uomo oltre «i 60 piedi» La storia di Jonathan Edwards, figlio di un pastore battista, primo uomo oltre «i 60 piedi» Quel salto nel nome del Signore «Eccezionale? No, ho seguito il mio destino» GOTEBORG DAL NOSTRO INVIATO Due volte ha saltato più lontano di tutti, più lontano dello sceriffo Mike Conley, di Washington nell'Arkansas, che aveva promesso di batterlo e che lui guardava saltare, quest'inverno, mentre guariva dalla sua malattia e dai suoi peccati, e più lontano anche di se stesso. Jonathan Edwards alle 19 di ieri ha cominciato a ringraziare il Signore e a sorridere al cielo, prima che lo portassero via i signori dei mondiali e che il reverendo Andy, suo papà, gli dicesse semplicemente bravo. Allora, si sarà convinto che Dio non lo aveva castigato e che questo era davvero il suo destino. Lo diceva a sua moglie, la signora Allison, che ogni tanto si arrabbiava: «Ma cosa fai?, il salto triplo che l'hanno inventato gli irlandesi e che finisce in un buco di sabbia?». E lui glielo diceva, «Ally, è il mio destino». Alle 20,40 di ieri, il ricercatore universitario Jonathan Edwards, che aveva pure lasciato il lavoro e l'Inghilterra per seguire il suo destino, s'è preso l'ovazione più lunga di tutti i campionati di Goteborg. God save the Queen, Jonathan. Due record del mondo, una medaglia d'oro, e tutta quella gente che non finiva più di applaudire. Lui quando salta ha un volo radente e veloce, uno spettacolo per gli occhi: sarà anche per questo, magari, che la gente s'è levata in piedi e batte ancora le mani. «Cristo, Jonathan», gli diceva il suo allenatore Dennis Nobles, quest'inverno, sui mari della Florida, «tu sei più forte di Mike Conley. Farai il record, salterai sessanta piedi». Il record l'ha fatto, e due volte. Ai giornalisti ha spiegato che in fondo non è stato difficile, lui era calmo, e che la velocità è la sua forza, «perché è una velocità costante, senza punte, e cosi posso controllare meglio il momento dello stacco». Ha detto cosi. Grande Jonathan. Ha i capelli un po' spruzzati di bianco e un sorriso d'amico. Eppure, era sempre lui che diceva, non troppo tempo fa: «Qualche volta io mi trovo in mezzo alla notte a pensare: io faccio il salto nella sabbia per vivere. Sto facendo qualche cosa che ha un valore? Se tu vedi un dottore in Ruanda, pensi che quell'uomo sta facendo la differenza, ma io salto in una buca di sabbia. Che beneficio ne avrò da ciò?». Oggi, se gli ricordano questo problema, può sorridere. Lo si può fare quando si è saliti sul tetto del mondo. «E' giusto celebrare la gloria di Dio», dice. E a Lille, quando decise che avrebbe gareggiato di domenica e che d'ora in poi avrebbe partecipato ai Mondiali e alle Olimpiadi, disse: «In fondo, this is my job», questo e il mio lavoro. Sempli- cernente così. Perché Jonathan Edwards fino a due anni fa non voleva saperne di scendere in campo alla domenica, quando bisogna fermarsi per onorare il nome del Signore. Perse Tokyo e Barcellona per questo. E suo padre, pastore battista, il reverendo Andy Edwards, gli dava ragione. Sta a Gateshead, Edwards, vicino a Newcastle, un posto dove tira il vento e fa sempre freddo. Anche il babbo non ha mai voluto spiegare le ragioni di Jonathan. Ma due anni fa cambiò idea. «La mia coscienza mi permette di saltare la domenica», disse, «mentre prima non lo facevo». Poi, pero, successe che ai Mondiali di Stoccarda arrivò terzo e che poco dopo si ammalasse pure. Contrasse uno strano virus, l'Epstein Barr, e da lì una mononucleosi, la malattia che si beccò Pietro Paolo Virdis, un'infezione che toglie le forze e che ti abbatte. «Sono stato punito da Dio», disse Jonathan. Perché aveva disobbedito al suo comandamento? «Per i miei peccati», rispondeva. Ma quando si riprese, questa volta decise di fare il grande salto. Lasciò l'incarico di Newcastle, la moglie Allison e i due figli Samuel e Nathan. «Devo seguire il mio destino», disse. «Andrà tutto bene». Andò in Florida, da Dennis che lo portava a vedere Mike Conley: «Questo è un campione. E' uno che vuole sempre vincere». Jonathan si perdeva i giorni a guardare, e a sudare. Mike è un duro, uno sceriffo che può anche sparare se si deve. Poi Dennis cominciò a meavigliarsi: «Tu sei straordinario, Jonathan. Sei più forte di lui. Andrai più lontano di 60 piedi». Ieri, quando ha fatto 18,29, Mike gli è andato a stringere la mano: «Sei grande». E quanto sono 18,29, Mike? «Più di 60 piedi». Il destino. Pierangelo Sapegno IL RECORD m. 18,29 Edwards, teso, aspetta il risultato I«focoso»Juantorena