In viaggio, la borsa è la vita

Valigie, bauli, zaini: una curiosa collezione di 120 pezzi d'autore si trasforma in mostra itinerante Valigie, bauli, zaini: una curiosa collezione di 120 pezzi d'autore si trasforma in mostra itinerante In viaggio, la borsa è la vita Da Goethe a Godot, il mito dei bagagli EO ricordo come se fosse ieri, quando entrò con quel suo passo pesante, seguito dalla carriola che portava il baule... alto, poderoso, bruno con un codino incatramato...» e cantava «Quindici sopra il baule del morto/quindici uomini yò-ho-yò»: non certo a caso il baule di Bill Bones, il pirata, apre L'i sola del tesoro: nasconde la mappa di Flint, è la radice da cui Stevenson trae la linfa della conoscenza, il punto da cui si parte per l'avventura della vita. Reale o metaforico, il baule è stato sino a ieri il mondo che ci portavamo dietro: i bauli goldoniani della Trilogia della vii leggiatura erano gonfi delle ansie e delle paure oltre che delle invidie e dei pettegolezzi di una società in declino; i bauli del principe di Salina in viaggio per Donnafugata sulle carrozze che si srotolano tra eucaliptus arsi dal sole sembravano le spoglie di un'epoca già sepolta. Ma chi usa più il «baule» oggi, a parte sceicchi, o similari, clienti di Vuitton per trasportare i loro harem in vacanza sui mari? Il mondo resta dov'è, siamo noi che lo lasciamo. Ci portiamo dietro solo la valigia: perché la valigia è il «noi», n il «me». E non sarà neppure questa volta un caso se con i ragazzi on the road della California o del Viale Ceccarini di Riccione di valigia neanche l'ombra, «hanno solo uno zaino zebrato e un radiolone rosa con sé...», ce li scrive la esordiente romanziera Isabella Santacroce nel suo Fluo (appena pubblicato da Castelvecchi). Perché «la mobilità aumenta, diminuisce il peso del trasporto, la moto o la macchina veloce non tollerano ingombri - spiega lo psicologo Paolo Crepet - ma il sacco, lo zaino, sono in realtà anch'essi rivelatori del "problema" giovanile di oggi, il fatto di avere azzerato o ridotto al minimo il bagaglio significa azzerare o ridurre al minimo, per incertezza, per angoscia, anche la propria identità». La valigia, al contrario, e stata, è davvero così rassicurante? E' qualcosa di più di una scatola nella quale si possono nascondere, e farci una Traversata di Parigi, i pezzi del maiale da vendere a borsa nera come nel film indimentica¬ bile di Autant-Lara con Gabin e Bourvil, o nella quale stipare un cadavere sezionato come in Lette ra a Berlino, il superbo thriller gelidamente romantico di McEwan? Rivediamo, nelle inquadrature infuocate di Bertolucci, le bellissime valigie in cuoio London di Port e Kit nel Tè nel deserto che, dapprima compagne del loro affascinante vizio di vivere e poi sempre più riempite di stracci e di dolore, finiscono per diventare anch'esse come le dune, l'Africa, la malattia, il sudore delle notti e dei pomeriggi d'amore in alberghi infimi e di lusso, il simbolo del pessimismo, della corsa verso il nulla di Paul Bowles. E le valigie delle eroine di Cechov? Quelle di Irina che nel Gabbiano fanno da contrappunto ai disperati amori di Trigorin e Kostia per Nina; quelle accatastate nel Giardino dei ciliegi in attesa della partenzamorte; quelle sperate dalle Tre sorelle nel loro sogno-illusione di Mosca, di un sempre rinviato incontro con la vita. I bagagli nella Recherche meriterebbero naturalmente una riperlustrazione minuziosa, se di Proust non ci proibissimo ormai qualsiasi citazione e cosi dovrebbe accadere con Kafka ma questa volta è davvero impossibile con quel capitolo di America in cui il giovane Karl s'imbatte per la prima vol¬ ta nei due banditi, un capitolo praticamente dominalo dalla presenza della valigia, totem familiare e di nostalgia del ragazzo esule, continuamente minacciato e profanato. Ma nel mondo letterario tedesco c'è, tra tante, un'altra splendida pagina sul tema - ci aiuta Luigi Forte -: è di Kurt Tucholsky, il finissimo satirico di Weimar e della borghesia tedesca sull'orlo della catastrofe, appartiene al delizioso libretto-pamphlet Impara a ridere senza piangere uscito qualche an¬ no fa da Lucariiu e s'intitola Uisfu re la valigia, in un albergo anonimo e significa «... carta di giornale che fruscia e di colpo ti ritrovi davanti tutto ciò da cui pensavi di fuggire Non si può fuggire...». E' quanto ci vuole dire anche il Ford Madox Ford di Fine della purata con Tietjens, l'eroe che insieme alla valigia porta il peso di un mondo (siamo nell'Inghilterra della prima guerra mondiale), in cui tutto cambia. 0 nulla cambia se non nella fuga dentro il sogno che accompagna in un viaggio iniziatico L'uomo con le valigie del miglior Ionesco, un ulisside il quale sa, l'autore sa, che «le valigie sono il nostro inconscio sovraccarico, il peso della nostra vita, ciò di cui non possia¬ mo e non vogliamo liberarci». E poi, e poi, c'è la pesante valigia dalla quale Aspettando Godot Lucky non si separa mai... ne potrebbe. L'avventura della valigia dilaga, affonda, è quasi impossibile non perdercisi, adesso anche i pittori tornano ad amarla, la disegnano, se ne farà una mostra nel prossimo autunno, intanto è la dominatrice di nuove storie, un rinnovato must letterario. «La diligenza piena di viaggiatori era nel contempo stracolma di pacchi e pacchetti. La valigia di cuoio, fatta volare sull'imperiale, conteneva una quantità enorme di effetti ed era gonfia come il gilè di un borgomastro»: questa dedizione di Victor Hugo nelle tettres éaites de Dunquerque è ricordai.i da Attilio Brilli nel suo «romanzo del Grand 'Unir», Quando viaggiare era un'arte, tìtolo non privo di ironia-amarezza sul presente, edito di recente dal Mulino Infatti, annota lo studioso, «La va ligia è la protagonista assoluta del l'arte del viaggiare. Se potessimo aprire il bagaglio di Goethe poco dopo che lo scrittore ha varcato il Brennero, cosa vi troveremmo? Una buona maglia, tre paia di cai ,'v, una descrizione storico cnlira dell'Italia in tre tomi ecc.. Più o meno lo stesso corredo che si porta nel sacco Henry Beylè mentre per corre l'Europa nelle carrozze della Grande Armée...» Ma ne l'autori' del Faust, ne Stendhal avrebbero però mai sistemato nel loro bagaglio un'arma, la pistola che pure era parte integrante, e vivamente consiglia la, nella dotazione del viandante di due secoli or sono. Difendersi o attaccare, complice la valigia, e comunque un ennesimo classico senza tramonto, luogo dei noir d'antan Isi potrebbe definire così // dinamitardo, con valigia, di Stevenson?) come delle spystory politiche o finanziane superi cuoio gizzate d'oggi e purtroppo con molta aderenza alla realtà. Però c'è chi rendendola inoffensiva, almeno in apparenza, la colloca tra i Miri minori del nostro tempo, Nel libricino omonimo di Giuseppi' Scaraffia, pubblicato or non è mol to da Sellcrio, come sempre raffi nato, colto e tautologicamente un po' dandy, la valigia finisce per tornali' a quella che è la sua vera funzione, accompagnare il viaggiatore all'«origine che e la meta», il ventre materno. Perciò miniaturizzata, una 24 on; come quella di William Ilurt in Turista per caso, erede non «dei monumentali bagagli di Vuitton» ina «dei rari oggetti concessi ai monaci nelle loro celle». Qualcosa che assomiglia al fagotto di Chaplin, alla borsa di Mary Poppins in salita verso il cielo sotto l'ombrello, al sacco sulla spaila di Ceronetti. I ragazzi l'hanno capito e nello zainetto infilano «una radiolona rosa». Più identità di cosi. Mirella Appiotti ti TORINO I ' ENTOVENTI valigie d'artista aspettando di prendere il treno. Da I Pistoletto a Nespolo, da Parissot ad Anselmo, dai «Mutus Liber» a 1 i Bolla, pittori e scultori torinesi sono stati invitati a lavorare su \Ài questo strumento cosi simbolico per costituire una sorta di mostra-collezione permanente. L'idea e di Paolo Cotza, pittore che ama lavo rare sugli oggetti di plastica, appassionato di valigie e cacciatore indefesso nei mercatini di vecchi «pezzi» in cartone pressato. A tutti i colleghi ha fornito una valigia, scelta nell'arco di tempo fra gli Anni 30 e 50, e a tutti ha chiesto di remterpretarla. Ne è venuta fuori una straordinaria collezione permanente, dove gli oggetti vengono ridipinti, riambientati, stravolti o ricondotti alla sottolineatura d'una loro funzione. Valigie per partire, per arrivare, per dimenticare, valigie come monumenti, emblemi, relitti. «Da sessantanni gli artisti interagiscono con la valigia - spiega Cotza, e fa i grandi esempi di Duchamp e Beuys - ma nessuno l'ha mai considerata un oggetto di delirio» insomma non l'ha mai resa tema e protagonista di una operazione artistica. E allora, si deliri: la valigia del viaggio, delle migrazioni favolose e di quelle concrete e dolorose, la valigia come bagagliaio del possibile, ricettacolo di sogni, contenitore di storia. E' probabilmente la prima volta che tanti artisti accettano, insieme, una sfida di questo tipo, al di là delle scuole e delle tendenze, per costruire Ile opere sono state tutte donate all'organizzatore) una collezione stabile, un piccolo museo della contemporaneità. La valigia, oggetto umile, ridiventa un oggetto altamente significativo. Porta con sé un mito, cioè un racconto: il mito del nostro viaggiare. E com'è giusto, viaggerà. Guido Accornero, patron del Salone del Libro, ha proposto la collezione alle Ferrovie dello Stato. E presto, se tutto andrà in porto, le valigie d'artista saliranno su un treno speciale per una mostra in viaggio: emblemi ormai, valigie senza viaggiatori, liberate e autonome, [m. b.] Un umile contenitore di sogni, pistole e della nostra identità La valigia, protagonista assoluta dell'arte di viaggiare Sotto, «Toner case. 54 17» un'opera di Giorgio Nelva Più in basso, «Il viaggio», di Plinio Martelli