UNA RIVOLUZIONE AL SUGO D'ARANCIO
UNA RIVOLUZIONE AL SUGO D'ARANCIO UNA RIVOLUZIONE AL SUGO D'ARANCIO Il Nicaragua di Gioconda Belli POTREBBE essere, questo romanzo nicaraguense, Donna abitata scritto da Gioconda Belli e efficacemente tradotto da Margherita D'Amico per le edizioni e/o, uno dei tanti prodotti narrativi che arrivano in gran copia dall'America Latina, con il loro carico, del resto ampliamente giustificato, di violenze, morte e offesa. Ma non lo è. E non perché su questo palcoscenico del Nicaragua, descritto al tempo della dittatura di Somoza, non gravi la stessa cappa di soprusi e di sopraffazione contro la quale assai poco può il moto rivoluzionario, costituito in prevalenza da giovani cospiratori inermi, votati, fin dall'inizio, alla morte e alla sconfitta. Mosse, gesti, perfino il rituale della macabra rappresentazione sono scontati e ormai, ahimè! consolidati. Ma in questo caso, la rappresentazione risulta viva e sentita perché l'autrice, l'ha vissuta, fino all'ultimo, dall'interno: dall'interno del Movimento Rivoluzionario e soprattutto della propria esperienza, e ha poi saputo trasformare una testimonianza personale in esperienza più ampia, in opera narrativa che trascende il personale e, come si soleva dire un tempo, il vissuto. Stagliandosi contro il paesaggio urbano di una cittadina dal nome simbolo di Faguas (fuego e agua, fuoco e acqua), la Donna abitata acquista subito, fin dalla prima pagina, una prospettiva doppia e diventa la storia attuale non di una donna sola, la giovane architetta Lavinia, ma anche di un altro personaggio, Itza, un'india che, secoli prima, ha combattuto al fianco del suo compagno, Yarice, contro i conquistadores. Le due protagoniste femminili si incontrano (e sta qui, diciamo pure, la trovata originale del libro della Gioconda Belli, quanto ne alleggerisce l'attualità politica e rende più ampia la portata storica) nel giardino della piccola casa dove si è sistemata Lavinia in cerca di libertà e di lavoro, e in fuga dagli agi e dai privilegi di una famiglia dell'alta borghesia, quasi dell'aristocrazia, nicaraguense. Si incontrano, si capisce per modo di dire, Itza è trasformata in un albero di arancio, da cui Lavinia staccherà un frutto e berrà il sugo (di qui, l'idea della donna giovane «abitata» dall'altra donna che, un tempo, fu anch'essa giovane, e militante) e, all'insaputa di Lavinia, ne osserva e quasi ne guida le mosse. E a lei, all'india, che continuerà a punteggiare il percorso di Lavinia, in funzione di coro, dobbiamo la prima immagine della ragazza di oggi: «Ho visto una donna che ha cura del giardino. E' giovane, alta, con capelli scuri, bella. I suoi lineamenti sono simili a quelli delle donne degli invasori, ma ha la stessa andatura delle donne della tribù, si muove con determinazione, come ci muovevamo e camminavamo noi prima dei tempi brutti, mi chiedo se lavorerà per gli spagnoli. Non ha famiglia né marito, e non è una dea perché ha paura, ha chiuso porte e chiavistelli prima di andare via». Così, la voce di Itza, sempre dosata, mai troppo insistente, diventa il legame, anzi il ponte che attraversa secoli di storia dell'America Latina: ne livella le debolezze, ne identifica i carnefici, e spiega un destino tragico che come osserva Gioconda Belli nell'intervista che completa il romanzo, trascende la realtà del Nicaragua. Ma dal punto di vista romanzesco, fa anche di più: serve a far risaltare la modernità dell'ambiente in cui si muove Lavinia, quella società ricca e borghese, in apparenza pacificata, ideologicamente opposta alla dittatura, ma incapace di opporvisi, perciò sotto sotto, minata dalla paura, dai soprusi e dalle violenze. E aiuta poi a far capire quanto costi alla protagonista, a questa simpatica ragazza di oggi (il personaggio di Lavinia è, in effetti, assai riuscito nella sua semplicità e naturalezza)
Persone citate: Gioconda Belli, Margherita D'amico, Somoza
Luoghi citati: America Latina, Nicaragua
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