Una pantera sulla pietra di Marco Vallora

Vienna celebra il grande maestro, amico di Giacometti Vienna celebra il grande maestro, amico di Giacometti Una pantera sulla pietra Wotruba, scultore selvaggio e vorace "7*1 VIENNA L'I può anche fare critica % d'arte a partire da una il cotoletta. Soprattutto se hd. I si è Canetti. Prendiamo Il gioco degli occhi, un pannello della sua autobiografia. Il giovane scrittore ha appena strappato Anna Mahler, la figlia di Gustav e Alma, al protervo direttore d'orchestra Hermann Scherchen (nonostante nel testo sia protetto dall'anonimato). Anna sta apprendendo i rudimenti della scultura nell'atelier d'un giovane vulcanico e temibile, che si chiama Fritz Wotruba. Al tempo è famoso per le sue battute sferzanti. Entra Canetti, non si gira nemmeno a guardarlo, le mani nell'argilla: «Anche lei sta in ginocchio davanti al suo lavoro?», lo investe, regalandogli quell'«anche» di salvezza, di complicità. «Voleva esprimere una speranza: e cioè che anch'io, come lui, prendessi sul serio il mio lavoro». Non sorride mai, Wotruba, ha quest'andamento strano, furioso, a balzi: un eterno precipitarsi. «L'essere più selvaggio che abbia mai conosciuto, qualunque cosa discutessimo o facessimo insieme aveva sempre un carattere drammatico (...), in lui c'era questa terribile serietà delle parole». Anna Mahler, guardinga, sta precauzionalmente in seconda linea. Serve loro una fetta di carne, non osa intromettersi. «Mi colpirono subito le mani di Wotruba, lunghe, nervose, piene di forza ma straordinariamente sensibili: non avevo mai visto mani così belle». E inesorabili: taglia la cotoletta in pezzetti minuti, quadratini perfetti, «li portava alla bocca con gesto veloce e deciso. Dava un'impressione di energia più che di ingordigia, il tagliare sembrava ancora più importante dell'ingoiare». Mentre Canetti smembra la sua carne in mille filamenti, uno «scempio» che Wotruba non può non condannare, con sdegno. Lui che scolpisce come mangia, feroce, quasi un felino. «Wotruba si scagliava contro la sua pietra. Colpiva duro e faceva capire quanto fosse importante per lui la durezza». Così si rifiuta di mangiare il formaggio perché non sopporta le cose molli, e nemmeno la frutta: non concepisce di spezzettare quelle forme perfette. Lui che a sei anni modellava lo stucco ed è stato ammazzato di botte dal padre perché, per sottrarre mastice, fece crollare un vetro dalla finestra. Botte («Erano delle vere e proprie esecuzioni, con la cinghia») che hanno trasformato i suoi fratelli in delinquenti: uno è morto in carcere, omicida. «La paura di uccidere non doveva più lasciarlo: fino a diventare un terrore panico del carcere, a condizionare i rapporti quotidiani con la pietra». Per questo ha terrore di avere figli, preferisce visitare allo zoo le tigri in gabbia, complice e paterno. Il municipio di Vienna gli ha assegnato un atelier sotto il viadotto della ferrovia urbana, fra lo strepito ed il fumo dei treni. E' lì che Canetti lo osserva lavorare, «e compresi che cos'è la pietra»: «Era chiaro quanto fosse essenziale nel suo lavoro la parte delle mani e tuttavia si aveva l'impressione che egli addentasse la pietra. Una pantera nera, questo fu l'effetto che mi fece, una pantera che si nutrisse di pietra. Wotruba lacerava la pietra e vi affondava i denti». Può sembrare una soluzione di comodo, questa di far parlare Canetti a luogo di arrovellarci noi nel dire l'ammirazione totale per questo maestro straordinario, uno dei grandissimi della modernità. Ma un senso c'è: è difficile descrivere «dal di fuori», freddamente, questa scultura così coinvolgente, incombente sul piccolo, patetico commentatore: le parole, davvero, si fanno insufficienti, corno capita nelle lettere di condoglianza. Ha molto più senso, invece, grazie a questa testimonianza eccezionale, «vederlo» ancora al lavoro (Wotruba è morto nel '75) alle prese con la sua concentrazione spasmodica, quella drammaticità che seppe magnificamente dominare e distillare, ma che pure non abbandona mai i suoi enormi animali in gabbia, i suoi marciami uomini-pilastro. Certo, non è che si scopre oggi il grandissimo Wotruba, presente a molte Biennali sin dal '36, amico di Giacometti e di Marino Marini, esposto alla Besana di Milano, a Porte Belvedere, a Spoleto, studiato da Reed e Ragghiatiti, da Adorno come da Musil. Ma questa retrospettiva aperta sino al 2 ot¬ tobre al Palais Harrach di Vienna e magnificamente orchestrata da Wilfried Seipel, dà un'idea memorabile della sua l'orza. Folgorato dalla scultura di Maillol e molto debitore a Michelangelo (in mostra, oltre ai suoi disegni e agli ultimi progetti architettonici di dolmen sovrapposti, ci sono anche numerosi esempi di omaggio ai Prigioni, a poche ore dalla morte), amico di Berg, di Broch, di Boeckl, di Hartung 0 di molti altri protagonisti del contemporaneo, costretto dal nazismo a fuggire in Svizzera, Wotruba ha modo di manifestare qui tutto il suo conturbante magistero, essenziale e statuario. Che lo avvicina al nostro Martini, procedendo anche oltre. Marco Vallora Qui a fianco, un'opera di Mitorai Torso Madrid-, a Cesena; a sinistra, una «Figura seduta» di Wotruba. a Vienna

Luoghi citati: Cesena, Madrid, Milano, Porte Belvedere, Spoleto, Svizzera, Vienna