De Gasperi? Una caricatura

De Gasperi? Una caricatura polemica. Un saggio «revisionista»: ma non fa che ripetere (in peggio) un vecchio cliché De Gasperi? Una caricatura «Lacchè dell'America», qualsiasi cosa facesse t OCCO' a Roosevelt, Churchill, Stalin. Doveva toccare anche a De Gasperi. Mentre gli storici inglesi continuano a scalpellare il monumento di Churchill e il generale Volkogonov non smette di rileggere criticamente la vita dei fondatori dello Stato sovietico, Nico Perrone, docente di storia americana e collaboratore del Manifesto, pubblica presso l'editore Sellerio di Palermo un libro fortemente «revisionista» su De Gasperi e l'America. Con una fondamentale differenza. Mentre gli storici inglesi, americani e russi ribaltano l'immagine tradizionale dei loro leader, Perrone ci restituisce alla fine del suo libro, con qualche tratto peggiorativo, la stessa caricatura di De Gasperi che circolò per molti anni nella sinistra italiana. Più che di revisionismo converrebbe parlare di ritorno alle origini. Mentre la sinistra rivede il proprio atteggiamento sugli anni della guerra fredda, ammette le proprie responsabilità e si accorge - è soltanto un esempio - che la riforma elettorale voluta da De Gasperi nel 1953 non era una «truffa», il revival di Perrone ci precipita all'indietro negli anni in cui De Gasperi era «lacchè degli Stati Uniti», Sceiba era il suo «ministro della polizia», Saragat rompeva l'unità socialista con i soldi degli americani e Pacciardi cacciava i comunisti dagli opifici militari per obbedire agli ordini della Cia. Le tesi del libro sono sostanzialmente queste. Non è vero che gli americani abbiano assistito l'Italia per aiutarla a consolidare il suo regime democratico: lo hanno fatto per creare nel Paese, con la collaborazione dei loro clienti, un duro fronte anticomunista. Non è vero che il prestito negoziato da De Gasperi nel 1947 e gli aiuti del piano Marshall abbiano avuto una parte determinante nella ricostruzione materiale e morale del Paese: la loro portata fu probabilmente modesta. Non è vero che De Gasperi abbia difeso la dignità e l'indipendenza nazionale: fu lui che adottò un atteggiamento servile e si spinse sino ad auspicare l'intervento militare degli americani nell'eventualità di una vittoria comunista alle elezioni dell'aprile 1948. Non è vero che De Gasperi e Einaudi abbiano risanato le disastrate finanze di un Paese sconfitto e abbiano creato le condizioni per lo straordinario sviluppo economico degli anni seguenti: furono semplicemente i fedeli esecutori delle direttive americane e resero più difficile la modernizzazione del Paese. Non basta. De Gasperi non tenne alcun conto del programma che gli intellettuali cattolici avevano elaborato a Camaldoli prima della fine della guerra, trascurò l'ispirazione solidaristica della democrazia cristiana, ruppe il patto di collaborazione che le forze democratiche avevano stretto durante la Resistenza. Comincia quindi con De Gasperi, Sceiba, Einaudi il declino politico e morale del Paese. Siamo una democrazia abortita perché De Gasperi, acceso da una esasperata ostilità verso i comunisti, consegnò il Paese nelle mani dell'America e delle sue forze più retrive. L'unico tocco mancante nel quadro «rétro» dipinto da Perrone è la parola «viscerale» con cui veniva sistematicamente bollata in quegli anni qualsiasi posizione ostile o sgradita al partito comunista. Se il libro fosse un articolo di giornale (e per certi aspetti è effettivamente il più lungo editoriale del Manifesta che io abbia mai letto) queste tesi avrebbero una loro attraente carica polemica. Ma Perrone è uno storico, e per convincere il lettore del buon fondamento delle sue convinzioni ha fatto lunghe ricerche negli archivi italiani e degli Stati Uniti, ha confrontato e integrato i documenti americani con quelli che rimangono negli archivi personali dei maggiori uomini politici del tempo, da Truman a Acheson. Tutto, quindi, è verificato, accertato, documentato. Peccato che nel comporre un così ricco mosaico egli abbia collocato sullo slesso piano documenti di valore profondamente diverso e ne abbia dato una lettura fortemente personale. Se un documento della Cia, il 10 aprile 1948, constata che «il governo De Gasperi è stato rispondente agli obiettivi degli Stati Uniti nel perseguimento delle sue politiche interna ed estera», questo non significa che il leader democristiano ab- bia obbedito a pressioni americane. Se Kennan, in un famoso documento del 15 marzo 1948, si chiede che cosa accadrebbe il giorno in cui il governo italiano mettesse al bando il pei, non bisogna confondere un esercizio a tavolino con una linea politica. Se Tarchiani, ambasciatore italiano a Washington, prospetta ad Acheson la possibilità di un nuovo viaggio negli Stati Uniti e il segretario di Stato si riserva di pensarci, questo non significa che egli «prenda le distanze». Se Taviani, in una conversazione con l'autore, riconosce che i partigiani democratici, in Friuli, consegnarono le armi ai carabinieri soltanto dopo le elezioni dell'aprile 1948, questo non significa che le radici di Gladio vadano ricercate nell'immediato dopoguerra. Significa più semplicemente che per molto tempo, dopo la fine del conflitto, l'incubo dei friulani furono Tito e le sue milizie. Non basta. Dopo avere composto un amalgama con materiali eterogenei, Perrone commenta le sue scoperte con una forte partecipazione personale. Il personaggio di De Gasperi è sempre negativo. E' servile quando accetta un assegno quello di 50 mila dollari che gli fu consegnato a Washington nel 1947 - chinando il capo e sussurrando un ringraziamento. E' servile quando viaggia per gli Stati Uniti su un aereo americano anziché su una nave italiana. Il leader trentino e i suoi collaboratori hanno torto, qualsiasi cosa facciano. Se Tarchiani suggerisce agli americani un viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti, la proposta è manifestazione evidente di un atteggiamento servile. Se gli americani colgono il cenno, invitano De Gasperi e lo accolgono trionfalmente, i fatti confermano che egli è un servo dell'America. Concludo con un'osservazione personale. Sono sempre stato convinto che De Gasperi - come Sforza, Sceiba, Einaudi, Saragat - fosse dominato dal desiderio di sottrarre l'Italia alle servitù del trattato di pace e che nei suoi rapporti con gli Stati Uniti abbia utilizzato con molto successo tutti i materiali di cui disponeva. E resto convinto che il «servilismo» italiano verso l'America cominci, se mai, molti anni dopo. Ma per l'uomo De Gasperi non ho mai avuto un particolare trasporto. Per i miei gusti era troppo cattolico, troppo «austriaco», troppo vaticanesco; e mi ha sempre dato fastidio che non chiedesse alla Rai d'interrompere la trasmissione dei canti trentini con cui venivano compiacentemente salutate le sue partenze per Sella di Valsugana. Ebbene, ho cambiato idea. Dopo la lettura di questo libro mi è persino simpatico. Sergio Romano Lungo lavoro negli archivi, una lettura molto personale Oggi la sinistra fa autocritica e si accorge che la riforma elettorale voluta dal leader de nel '53 non era una «truffa» cos? zi * t». Vai dallo zio Som. che li eli la caramella De Gasperi "filo-americano» in una vignetta di Girus uscita nel '47 su «Merio giallo». In alto, con Churchill Sopra Mario Sceiba, ministro dell'Interno nei governi De Gasperi, a lato Luigi Einaudi