LA LUNGA SUCCESSIONE JUGOSLAVA di Sergio Romano

Mladic si ribella a Karadzic: cornando io l'esercito LA LUNGA SUCCESSIONE JUGOSLAVA SCONVOLTI dalle immagini che provengono dalla Bosnia o dalla Krajna, stiamo tutti parlando della vecchia Jugoslavia come di una terra impazzita in cui si è spenta la luce della ragione e gli uomini ridiventano belve. Molte delle nostre reazioni - fermarli con la forza, bombardarli dall'aria, costringerli a deporre le armi, condannare e punire i criminali di guerra - sono dettate dalla convinzione che gli avvenimenti non abbiano un senso o, nella migliore delle ipotesi, che torto e ragione possano essere assegnati con semplicità e certezza. L'indignazione è giustificata, ma non ci esime dalla necessità di capire le cause della guerra. Forse è questo il miglior commento possibile, nel momento in cui si combatte la battaglia della Krajna, a vicende su cui tutti abbiamo ormai un'influenza molto limitata. L'esperimento jugoslavo fallì verso la metà degli Anni Settanta. Per più di una generazione, dalla fine della guerra, Tito aveva cercato di dare a tutti i popoli della penisola una cittadinanza comune, superiore alla nazionalità etnico-religiosa di ciascuno di essi. Questa nuova cittadinanza era il comunismo, l'unica ideologia che potesse, a suo giudizio, creare un nuovo «jugoslavo». Quando si accorse - come Breznev, dopo l'esperimento di Krusciov - che il motore della ideologia era in panne e la macchina dell'economia socialista si era inceppata, cercò di assicurare la convivenza dei popoli della federazione con un complicato meccanismo costituzionale che garantiva a tutti - e in proporzione maggiore ai più piccoli una sorta di diritto di veto. Ne furono danneggiati in particolare i serbi, a cui veniva preclusa la Sergio Romano CONTINUA A PAG. 6 PRIMA COLONNA

Persone citate: Breznev, Krusciov

Luoghi citati: Jugoslavia