In vendita per quattro soldi

In vendita per quattro soldi In vendita per quattro soldi Dalle mance nei cimiteri ai rifiuti DODICI ANNI DI TANGENTI PER ogni salma benedetta, un'«offerta» da 50 mila. E i parenti in lacrime dietro al feretro pagavano, senza pensare che quella cifra, tradotta in termini giudiziari, era una vera tangente, senza sapere che quei soldi finivano dritti nelle pieghe della tonaca dei cappellani, anziché nelle tasche dei poveri. Dodici anni fa il Comune fu travolto dallo scandalo Zampini. E oggi, con i vigili nella bufera, ci risiamo. Palazzo Civico torna a far notizia per le tangenti. Da allora, un lungo elengo di dipendenti e amministratori comunali sotto accusa. La più squallida fu la storia di mazzette funebri, quella dei fratelli Sarino e Giuseppe Ormando, cappellani del Monumentale di corso Novara e del cimitero di Mirufiori Sud, dipendenti comunali assunti con inquadramento al sesto livello. Era il novembre del 1993, scoppiava lo scandalo cimiteri. Un giardiniere raccontò: «Più di una volta don Giuseppe è stato notato mentre si awicmava ai parenti, con una banconota da 50 mila infilata nel breviario. In quei momenti dimenticava di essere un dipendente del Comune. La concussione per lui non esiste?». Sì che esiste, tant'è che i giudici condannarono i fratelli a 2 anni e 8 mesi ciascuno, per concussione e abuso d'ufficio. Ma da quella inchiesta vennero fuori storie anche peggiori. I becchini spogliavano le salme di catenine, vere nuziali e anche dei denti d'oro. Nell'ufficio di Carlo Cagherò, capo degli interratoli dei cinque cimiteri, furono trovate molte capsule già confezionate in bustine, con tanto di cartellino indicante peso e prezzo. Venivano rivendute e poi fuse. Finirono in carcere in ventitré, tutti dipendenti comunali, e alla fine vennero tutti condannati (ma finora nemmeno uno Licenziato), perché al cimitero tutto aveva un prezzo: dalla benedizione della salma al loculo in prima fila. E quasi tutte le imprese di pompe funebri pagavano il «pizzo». Fu proprio 0 titolare di una di queste imprese a mandare in carcere l'ex assessore al commercio del Comune, Baldassarre Furnari. Una bustarella misera, se confrontata alle super mazzette pagate ad altri politici: 50 milioni per concedere la licenza alla ditta Don Bosco. Più un bracciale d'oro e brillanti per la segretaria dell'assessore. E 60 milioni inguaiarono seriamente nel maggio del '94 l'allora assessore alle grandi opere pubbliche del Comune Ricciotti Lerro, socialista. Corruzione. A verbale disse: «Fui contattato da tre piccoli imprenditori di Verbania che cercavano di avere in subappalto lavori per il passante ferroviario. Chiesi all'imprenditore Claudio Recchi se poteva fare qualcosa, e mi rispose di no. Due anni dopo mi diede un contributo a titolo personale per la mia attività politica». Per quei 60 milioni ha patteggiato nove mesi di carcere. E ha offerto al Comune 30 milioni in cambio della rinuncia alla costituzione di parte civile. La giunta ha accettato l'offerta, ritenendola «congrua e ristoratoria al danno sofferto dalla Città, soprattutto in relazione all'immagine di buona amministrazione che la stessa vuole conservare al cospetto dei cittadini)/. Ma la storia della tangentopoli torinese è piena di personaggi che si incontrano in un caffè del centro per scambiarsi «la busta». Come quell'ingegner Fatica, ex direttore tecnico dell'Amiat: «Alessandro Aimeri mi diede 60 milioni perché parlassi bene di lui in commissione». Che lapsus, ingegner Fatica: Aimeri, intraprendente imprenditore del settore rifiuti, aveva appena confessato di avergliene dati «solo» quaranta. All'Amiat però c'era chi era riuscito a perfezionare il sistema. Lo hanno scoperto i magistrati, rovistando tra bolle e fatture della municipalizzata: ben altre schifezze, altro che le colline di rifiuti di via Germagnano... Un secondo ingegnere, Giovanni Melano, è finito in carcere lo scorso ottobre con l'accusa di aver preso un miliardo (in tre anni) per far- convogliare nella discarica rifiuti tossici non autorizzati. Carlo Masnato, imprenditore, aveva confessato: «Ho scaricato in via Germagnano 12 mila tonnellate fuorilegge. In cambio gli davamo 30 milioni al mese. Lui poi cancellava l'operazione al computer dell'Amiat». Trenta milioni extra, oltre allo stipendio. E tante grazie al computer. Dodici anni fa, appena scoppiato l'affair Zampini, l'allora sindaco Novelli raccolse la confidenza di un ex partigiano: «Per consolarmi mi prese sottobraccio e mi disse: "Quel che è accaduto a Torino è roba da ladri di galline, con un tocco di goliardia"». Dodici anni dopo, oltre ai soliti ladri di galline la Procura si trova tra le mani anche i professionisti della mazzetta. La goliardia? Sparita. Adesso si guarda al sodo. Brunella Giovara Palazzo Civico torna a far notizia per le mazzette. Dallo scandalo Zampini tanti nei guai per storie da «ladri di galline» Ricciotti Lerro (sopra) e Baldassarre Furnari (destra) ex assessori Giovanni Melano (a destra), scandalo rifiuti dell'ottobre '94

Luoghi citati: Torino, Verbania