«Senso» il fascino della memoria di Alessandra Levantesi

Il film restaurato ha aperto Locarno Il film restaurato ha aperto Locarno «Senso», il fascino della memoria LOCARNO. Come può apparire «Senso» a un pubblico giovane e cinefilo che magari non l'ha mai visto? Ce lo domandavamo mentre sull'enorme schermo di Piazza Grande comparivano le prime immagini del capolavoro restaurato di Luchino Visconti, con cui si è inaugurata la 48a edizione del Festival: flagellata da un violento temporale che ha raggiunto il suo apice fra tuoni e fulmini proprio durante le bellissime scene di battaglia. Tuttavia non c'è stato un fugone: quasi tutti sono rimasti, ammassati sotto i portici o addirittura sfidando l'acquazzone fino all'epilogo. Forse anche per sapere come andava a finire tra la contessa Livia Serpieri, sposata e ardente italiana, e l'ufficiale austriaco Franz Mahler, donnaiolo e vile, di cui colpevolmente si innamora. Il tutto nel 1866 sullo sfondo della terza guerra d'Indipendenza, quella che affrancherà il Veneto dal giogo straniero riunendolo all'Italia. Ciò che probabilmente Bossi oggi considera una iattura. Nello straordinario racconto di Camillo Boito, architetto di fama e letterato «scapigliato», a cui il film liberamente si ispira, la nobile è austriacante ed egoista, il militare traditore e scellerato: sono due personaggi negativi che passano accanto senza accorgersene a una società in fervido rinnovamento. Mentre il regista e i suoi sette sceneggiatori (da Suso Cocchi D'Amico a Tennessee Williams) di Livia fanno una militante irredentista; e perfino l'abietto Franz mostra a sorpresa di covare il dolore per la fine della Felix Austria che un po' troppo profeticamente prevede con quasi cinquantanni di anticipo. Nella versione rimessa a nuovo con amore da Peppino Rotunno, allora assistente del mitico direttore di fotografia Aldo, i colori antirealistici della Technicolor sono riemersi in tutto il loro vivido splendore, ma evidentemente non è stato possibile reintegrare lo spezzone tagliato: quello in cui il generale Lamarmora rifiutava la collaborazione dei patrioti offertagli da Ussoni (Massimo Girotti), cugino di Livia. Con ciò Visconti, «conte e comunista», intendeva leggere il Risorgimento in chiave di rivoluzione tradita e lasciar capire che Cu- stoza per questo si trasformò in una sconfitta: un'idea che venne considerata dalla censura lesiva per l'esercito (tanto per ricordare com'era l'Italia nel '54). Cosicché risulta sbia- dita in «Senso» proprio l'ottica ideologica e storica che a Visconti stava più di tutti a cuore. E ci sono altre cose che non convincono: quel Farley Granger non troppo espressivo che parla con la voce del giovane Enrico Maria Salerno e Alida Valli appassionata, questo si, ma temiamo non si possa pailare di grande interpretazione. Eppure «Senso», in un suo modo incompiuto, si conferma un capolavoro. Funziona la struttura di opera lirica fatta di assoli, duetti, quartetti e cori. Il film si apre sulle note del «Trovatore» a «La Fenice» di Venezia che diventa teatro dalla parte della platea di una manifestazione patriottica. Il melodramma verdiano si contrappone così al melodramma reale, la storia dell'amore e della vendetta di Livia per un certo Mahler (dice niente il nome?) che viene tutta contrappuntata dalla musica di Bruckner. Affascinano le potenti pulsioni irrazionali che diventano il segreto motore della vicenda. Di «Senso» incanta il décor ricostruito con lo struggente accanimento di chi ripercorre la memoria storica alla ricerca del proprio tempo perduto. Alessandra Levantesi Alida Valli splendida protagonista di «Senso», il film di Luchino Visconti adesso restaurato

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