Versilia delizie di mare

Viaggio nella cucina più imitata d'Italia, dove odori e sapori hanno conquistato americani e giapponesi Viaggio nella cucina più imitata d'Italia, dove odori e sapori hanno conquistato americani e giapponesi Versilia, delizie di mare Polpi e scampi a vapore per sedurre i turisti E' 'da trent'anni che il suo nome fa rumore. Aveva cominciato con la Rizzoli, vendendo le sue incredibili, astruse ricette a base di fiori e di erbe e facendosi pubblicare una non breve serie dì fascicoli. Piccoletto, panciuto, un poco strabico, girava con l'immancabile fazzolettone vistosamente colorato che metteva in risalto la sua breve larga faccia sotto il cappellaccio da cuoco. Angelo Amoroso si presentava come l'«ex-cuoco di Frank Sinatra». L'ultimo suo recapito era proprio qui, al porto di Viareggio, in mezzo alle miliardarie barche dei miliardari. Allora il ristorante si chiamava Arcimboldo. Angelo Amoroso aveva raccontato la sua storia di cuoco e di uomo dalle dieci mogli al Maurizio Costanzo Show; poi le aveva ripetute a Giancarlo Magalli... Dove sia finito ora il più eclettico, il più folle chef di Viareggio nessuno lo sa, né i viareggini né i carabinieri di Palermo che gli vorrebbero chiedere un paio di cose di quel faldone che giace in Procura... Per ora una certezza: a Pier Quinto Cariaggi, manager italiano di Frank Sinatra, feci chiedere al cantante quando lo chef siculo-viareggino avesse lavorato da lui: «Never, mai» - rispose lapidario The Voice. Sorride Marco Garfagnini, il giovane travolgente patron che, da un paio di anni, è subentrato nel locale viareggino che fu di Amoroso e che oggi si chiama Oca Bianca. Certo, mangiare da lui, all'Oca Bianca, gustare i piatti del suo chef e socio, Franco Breschi, è costoso: però, non solo avrete a disposizione una delle migliori cucine d'Italia ma, anche, uno spettacolo senza eguali. Anche in agosto il porto di Viareggio, quella via Coppino sulla quale si affaccia, dalla aerea terrazza al primo piano, la sala meravigliosa, è un tripudio con pochi eguali al mondo. Guardare non costa niente (ce l'ha insegnato l'Agip con l'olio dell'auto) ed allora voi date pure un'occhiata: eccola li la barca di Moratti («costerà sui 15 miliardi» mi dice il patron dell'Oca Bianca); le e accanto un'altra che misura 48 metri E' un due alberi: «Le vele sono all'interno degli alberi. Per azionarle bisogna far funzionare un computer. Per spiegarle al vento occorre manovrare un joystick... Ma non è ancora niente questa lunghezza: i cantieri qui di fianco stanno progettando una barca di 68 metri». Un occhio agli alberi ed alle vele ed un altro sul tavolo dove, tra tanti ingredienti rari e suntuosi, fanno capolino le leccornie del territorio, di questo angolo di Toscana baciato dalla ricchezza e dalla fortuna gastronomica. I branzini, in effetti, sono di pesca (non di allevamento) ma vengono dall'Atlantico e la tartare è comunque una delizia. Ma sono i crostacei pescati qui (fermo biologico permettendo) a prendervi per la gola: scampi, gamberi e poi i calamari che si sciolgono in bocca (cotti a vapore ed insaporiti da un goccio di olio extra vergine toscano) e il lardo, il meraviglioso lardo biancorosa di Bonuccelli di Camaiore a vestire l'aragosta, oppure il polpo cui all'Oca Bianca danno l'impronta della toscanità con l'accostamento al farro degli etruschi. Ma Viareggio vuol dire anche Romano, nel lungo viale trafficato che dal lungomare porta alla stazione. E' il regno della gola per chi ama il pesce, soprattutto quello cucinato in solare semplicità. Romano Franceschini, infatti, guida la moglie Franca tra piatti preparati soprattutto a vapore, dove la materia prima suntuosa del mare di Toscana viene rispettata ed esaltata. Allora calamaretti piccoli e leggeri come petali di rosa, polpi e scampetti, canocchie, sparnocchi ed ombrina, si condiscono al me¬ glio con l'olio verde e sublime di Romano che arriva dalla Lucchesia, da Montecarlo. Vacanze a tavola, già, ma anche vacanze a letto, perché da qualche parte mi dovrò pur fermare a dormire, testando un ristorante e l'altro! Ed eccomi allora, nel giro di 48 ore, nel raggio di 100 chilometri, a provare l'albergo più costoso e quello più modesto, quello più lussuoso e quello meno accogliente... Eccomi a spendere, per una notte, da solo, da una parte 470 mila lire, dall'altra 35 mila. Quale il migliore? Beh, la camera più costosa non poteva essere che quella del bellissimo raffinato Byron a Forte dei Marmi, proprio sul lungomare. Non può essere un caso: al Forte, solo un paio di anni fa ero incocciato in taxi senza tassametro; in questo 1995, invece, ho trovato un piccolo famoso albergo a cinque stelle dove i giornali mi sono stati fatti pagare 2000 lire l'uno, dove alla tavoletta del water mancavano tre dei quattro gommini (ed il quarto era mezzo rotto), dove una lampadina era bruciata (e non ti viene sostituita nemmeno se lo fai notare alla cameriera) e dove, soprattutto, per dormire mi hanno dato una doppia anche se ero da solo e me l'hanno fatta pagare lo stesso prezzo che se fossimo stati in due, appunto 470.000 lire. Ma se il Byron di Viareggio mi ha deluso con le sue pompose imperfezioni, non è da meno la cameretta triste e squallida del Cappellaio Pazzo di Campiglia Marittima in provincia di Livorno. Già, perché anche in questo incoccia il goloso viandante di luglio ed agosto: una cameretta sordida, con il pavimento rattoppato, due letti a brandine, nessuna abat-jour, una balconata di legno che sta in piedi per miracolo, comune a tre camere in fila l'una con l'altra, dove mancano i fornelletti per le zanzare e sei costretto a difenderti con gli zampironi... Certo, si può sempre scappare a tavola, al piano di sotto, in sala od in giardino, fresco rifugio alla calura del litorale. Tra le bestemmie di qualche ultimo lavoratore bergamasco e le foto gioiose della famigliola tedesca, ecco i buoni piatti di pesce di una cucina che ha la stella Michelin (piatti che vi vengono proposti da un titolare che si siede al tuo tavolo e portati a tavola da giovani uomini e donne in abito casual). Il ginger dà un tocco curioso, amarognolo ed invitante, alle mazzancolle su crema di fagioli cannelli. Crema, crema, crema: non ne vuol sentire nemmeno parlare un grande della cucina italiana, Fulvio Pierangelini, chef e patron del Gambero Rosso della vicina San Vincenzo, sempre in provincia di Livorno. La sua crema di legumi, esattamente la «passatina di ceci», è il piatto più copiato d'Italia, altro che la Settimana Enigmistica! Pierangelini lo inventò per caso: per errore, una sera, proprio nel giorno di chiusura, gli capitò il marchese Niccolò Incisa della Roc- chetta, il padrone della DormelloOlgiata, il papà di Ribot e del Sassicaia. Che dare a lui ed a Ludovico Antinori? Pierangelini aveva comperato per la sua cena dei ceci lessati, aveva dei meravigliosi gamberi... Ai fornelli di casa passò i ceci, ne fece una crema, gli mise sopra i gamberi scottati a vapore, bagnò il tutto con un C di extra vergine toscano... Il Gambero Rosso è una meravigliosa bomboniera affacciata sul porto, immacolata ed inondata di sole. Americani e giapponesi attraversano apposta gli oceani per venirci a mangiare. Fosse in Francia, gli avrebbero messo, gratis, cartelli da ogni parte che dalla superstrada guidassero il viaggiatore ad arrivarci con facilità, gli avrebbero forse fatto un'uscita autostradale apposta o lo avrebbero fatto sindaco, come è successo a Georges Blanc, il sommo chef di Vonnas... A San Vincenzo, invece, proprio sotto le grandi vetrate del Gambero Rosso, a fine luglio il Comune e l'Arci hanno dimezzato il parcheggio, impiantato una grande lunghissima sfrigolante fumigante griglia all'aperto ed organizzato per tre giorni di fila la Sagra del polpo. Per tre giorni il sommo Gambero Rosso, bandiera d'Italia gastronomica nel mondo, ha dovuto tenere chiuse le finestre. Edoardo Raspolli (2. continuai Dai branzini alle aragoste in un paesaggio incantevole Ma gli hotel non sono all'altezza e * m Frank Sinatra e, a sinistra, un'immagine della Versilia