Nei guai l'ex ministro Salvo Andò

Aiuti a un boss Aiuti a un boss Nei guai l'ex ministro Salvo Andò Salvo Andò REGGIO CALABRIA. Quella sentenza, che aveva assolto i presunti esecutori materiali e i mandanti della bomba che aveva ucciso il giudice istruttore Rocco Chimùci, la sua scorta ed il portiere di uno stabile, in via Pipitone Federico, a Palermo, aveva creato stupore. Ma, si disse, a pronunciare quella sentenza, che assolveva dall'accusa di strage personaggi del calibro dei cugini Michele e Salvatore Greco (come mandanti) e di Pietro Scarpisi e Vincenzo Rabito (come esecutori materiali) era stato uno dei giudici più stimati della Corte d'appello di Messina, Beppe Recupero, e quindi, evidentemente, il carico delle prove non era nemmeno sufficiente a sostenere il castello delle accuse. Ma oggi, a distanza di sette anni da quando la sentenza fu letta, quell'assoluzione ha un'altra spiegazione. Una spiegazione che si riduce a una semplice trattativa che - sostengono i magistrati della Procura distrettuale di Reggio Calabria - si sarebbe conclusa con un «regalo» di 200 milioni di lire con i quali i mafiosi avrebbero comprato la loro assoluzione ed il magistrato tacitato la sua coscienza. L'operazione comunque non sarebbe andata in porto se non ci fosse stato l'intervento di due esponenti politici che, negli Anni Ottanta e forse ancora più avanti nel tempo, contavano molto in Sicilia: Salvo Andò, catanese, potente, riverito e protetto ministro socialista, e Pippo Campione, democristiano, una carriera folgorante all'ombra dello scudocrociato. I due, secondo le accuse che vengono loro mosse (e che sono costate le contestazioni di concorso in associazione mafiosa e corruzione), avrebbero fatto da mallevadori anche con l'ausilio di un mai identificato avvocato messinese che si sarebbe occupato della transazione materiale consegnando il denaro all'allora presidente di sezione della Corte d'assise d'appello di Messina. Ieri Campione ha ottenuto d'essere sentito dal sostituto della distrettuale reggina, Francesco Mollace, davanti al quale si è difeso ricordando il suo impegno personale contro il crimine organizzato, anche come presidente della commissione antimafia dell'assemblea regionale siciliana. Ma contro di lui, contro Andò e lo stesso Recupero pesano le parole di alcuni collaboratori di giustizia usciti dalle file dei «picciotti» della mafia di Messina. Quello per la strage non sarebbe stato il solo processo che, dicono i pentiti, Recupero avrebbe addomesticato. Un cavallo, completo di sella e finimenti, sarebbe stato il «prezzo» pagato da tre «pesci piccoli» di mafia per ottenere la concessione delle circostanze attenuanti generiche e, quindi, la riduzione della pena. Ormai, nel tribunale di Messina, «Recupero» è un cognome che mette i brividi: un cugino omonimo dell'ex presidente di Corte d'assise tra qualche mese comparirà davanti ai giudici di Reggio Calabria per una vicenda legata all'azzoppamento di un docente dell'università di Messina. [d. m.] Salvo Andò

Luoghi citati: Messina, Palermo, Reggio Calabria, Sicilia