Unabomber :colto, sensibile ,assassino

Unabomber: colto/ sensibile/ assassino retroscena " /■ •••••••• i grandi giornali americani hanno ceduto al ricatto e pubblicato i suoi deliri Unabomber: colto/ sensibile/ assassino 7/ mistero dell'ecoterrorista che scrive sul Times la morte iN regalo PER sua immensa fortuna, Kathy O'Connor era un'imbranata. Quando, il 24 aprile scorso, il postino recapitò il pacchetto in confezione regalo sul suo tavolo di segretaria all'Associazione Forestale della California, Kathy trafficò invano con i nastrini, i nodi, lo scotch tape, la carta e non riuscì ad aprirlo. Spazientita, e timorosa di rovinare la confezione, portò il pacchetto al suo capo, il presidente dell'Associazione, dicendogli brusca: «E' un regalo per lei, se lo apra lei». Il presidente, Gilbert Murray, scosse la testa e forse formulò pensieri di licenziamento per quell'oca imbranata. Se lo fece, fu l'ultimo pensiero della sua vita. Murray aprì facilmente il pacchetto e la bomba gli esplose in faccia. Aveva 47 anni. Era divenuto la venticinquesima vittima del più astuto, del più folle, e del più inafferrabile terrorista della storia americana: l'Unabomber. Il misterioso signore può essere soddisfatto di sé stesso. Come tutti i terroristi, di destra o di sinistra, sciolti, a gruppi o raccolti in armate ombra, anche l'Unabomber non vuole in realtà sangue. Vuole pubblicità. E la ottiene. Nei 17 anni trascorsi a spedire bombe dal suo esordio nell'ormai lontanissimo 1978, quest'uomo se uomo è, perché neppure il sesso è certo - è esploso su tutti i giornali, le televisioni, i periodici del mondo. E ha costretto persino giornali solenni e gelosi della loro autonomia editoriale, come il New York Times e il Washington Post, a cedere e a pubblicare i suoi scritti allucinati, nella speranza di rabbonirlo. Non c'è nulla di straordinario, né di nuovo, in questo rapporto crudele, contorto, irrisolvibile fra terroristi e mass media, tra assassini e reporters. L'Italia degli anni di piombo conobbe e seppe respingere i ricatti delle Brigate rosse, il tormento delle lettere di Moro dal carcere, la minaccia di uccidere un magistrato, il giudice D'Urso, se i giornali non avessero pubblicato un documento Br. L'eccezionalità di questo Unabomber è nella sua diabolica inafferrabilità. Nel suo essere riuscito, in un paese dove i bombaroli musulmani del World Trade Center furono scoperti e arrestati dopo una settimana e il folle cristiano di Oklahoma City dopo sei ore, a sfuggire nonostante 17 anni di bombe, 22 feriti gravi e tre morti, alla più capillare e accurata caccia all'uomo organizzata dal controterrorismo americano. Di lui - o di lei - non si sa nulla. Assolutamente nulla. Negli archivi dell'Fbi, che ha messo invano 130 agenti sul suo caso, c'è soltanto un ridicolo e inutile identikit con occhialoni neri e baffi, costruito sulla testimonianza di una donna che vide una figura maschile «correre via» dal luogo di un'esplosione. Il suo nome in codice è una semplice sigla, ricavata dalle iniziali dei suoi bersagli preferiti, compagnie aeree e università: UN-iversità, A-violinee e BOMBER. «Un-a-bomber». Ma anche la sigla è ormai falsa: dopo l'esordio del 1978, quando il suo primo pacchetto raggiune l'Università dell'Illinois senza esplodere, e la sua prima vittima, il presidente della United Airlines, il terrorista ha prudentemente diversificato. Ha ucciso il direttore di un'agenzia pubblicitaria colpevole di avere aiutato la Exxon a «ripulire» la sua immagine dopo la catastrofe ecologica in Alaska, il presidente dell'associazione forestale californiana che taglia alberi, ha ferito ricercatori, venditori di computers, ingegneri e ha minacciato di passare all'ingrosso, facendo esplodere un jumbo-jet in volo da Los Angeles. 400 passeggeri. L'unica certezza è il filo ideologico evidente che lega le vittime e che i suoi verbosi documenti - l'ultimo è di 270 mila battute, 150 pagine dattilocritte - spiegano fino alla nausea nella classica prosa alluvionale e pseudo-colta del terrorismo. E' l'odio per la modernità, per la tecnologia, per la tirannide dei «technonerds», come si dice in America, dei tecno-secchioni in un mondo dominato dalle macchine. Tutto quel che sa di tecnologia, di cdmputers, di elettro- nica, di laboratori scientifici, di pubblicità (l'anima dei coitiputers) e di anti-natura è il «nemico». In pratica, ce l'ha con tutti. Odia il capitalismo sfruttatore, ma anche la sinistra «disumana e statalista». Accusa i «tecnofili» di trascinare il mondo verso l'ignoto. E' un «ecoterrorista», ma non è un eremita: chiaramente legge i giornali, guarda la tv e sa adoperare bene quei computers che odia. In 17 anni, ha sbagliato una sola volta l'indirizzo di una vittima. Ma il diligente servizio postale americano riuscì egualmente a recapitare il pacco, che uccise il destinatario. In Italia, il poveretto sarebbe vivo. Soprattutto, il Bomber è uno che impara, che migliora, che pensa. Ha il vantaggio di lavorare solo. Niente complici, niente compagni che possono pentirsi e tradire. Le sue bombe, dicono gli esperti dell'Fbi che devono rovistare invano tra i frammenti delle esplosioni, sono pezzi unici, raffinatissime, e fatte in casa. Il signore delle bombe non compera nulla, fa da sé. E' un perfetto bricoleur della morte. Viti e vitine, dadi, cerniere, sono prodotti artiginalmente, da lui. Niente che possa condurre gli investigatori a negozi di ferramenta. Molte delle parti sono fatte in legni pregiati, mogano, ebano, noce, che Unabomber taglia, forgia e lima con precisione da grande ebanista. E sono sempre firmate dalla sua griffe esclusiva: in ogni pacchetto esplosivo mette un rametto di ciliegio. Non è un anarchico, è una persona troppo ordinata, troppo «anale» come dicono gli psicologi, per essere un profeta del disordine. Un «luddista» precisino e diligente. Un secchione anche lui, in fondo, co- me i suoi nemici. «La nostra fortuna è che si fa tutto a mano - dice l'agente speciale Riley che da 15 anni lavora al suo caso - e questo richiede tempo. Dunque il numero degli attentati è relativamente basso». E da 17 anni, l'Fbi aspetta paziente che Unabomber commetta un errore. Che si faccia finalmente tradire dal nemico più insidioso e irresistibile del terrorismo ideologico: dall'esibizionismo. «Il nostro gruppo ha scritto nel comunicato-volume con la sigla F.C.- non in- tende farsi confondere con disgraziati delinquenti come gli attentatori islamici o gli assassini di Oklahoma City. Noi lavoriamo per liberare l'umanità». Non c'è nessun gruppo, e nessun F.C.. Gli investigatori pensano che quella sigla sia semplicemente le iniziali di «Fuck the Computers». Fottete i computers. Nella sua disperazione, l'Fbi ha spedito questa settimana una copia a tutte le oltre duemila università americane. «Questo è uno che sa scrivere, che sa articolare le sue idee e che ha chiaramente frequentato un'Università, se addirittura non ci ha insegnato», bron- tola l'agente Riley che non deve avere un buon ricordo della vita accademica: «Solo un professore universitario può impiegare 150 pagine per dire che odia i computer». Ma le prime letture di quel tomo non hanno prodotto nulla. «Non so chi sia. Tutto quel che posso dire - ha commentato il Preside della facoltà di Chimica della Stanford University - è che non era certo uno studente o un professore di chimica. Nessun professore di chimica scrive così bene». Eppure è il mondo dell'accademia, la foresta di università californiane dove si pratica più che altrove nel mondo il culto dei tecno-dei, che nasconde la verità sul signore delle bombe. Nella minuziosa, ringhiosa conoscenza dei miti, del gergo dei tecnocrati c'è il segno di un odio forse nato da una carriera universitaria interrotta, da una promozione negata, da una cattedra assegnata a un altro. Sono fili di paglia ai quali l'Fbi si aggrappa per rovesciare una battaglia che sta perdendo da 17 anni e che il «terrorista verde» rischia di stravincere, ora che la grande stampa americana ha di fatto ceduto al suo ricatto. Grandi testate, come il New York Times e il Washington Post, si sono arrese e hanno pubblicato ciascuna lunghi estratti - cinque cartelle - del suo vaneggiarne manifesto. «Noi non ci pieghiamo ai ricatti - ha cercato di difendersi Arthur Sulzberger, editore del Times - abbiamo semplicemente fatto una scelta editoriale». Esattamente la scelta che l'Unabomber chiedeva per sospendere la sua sanguinosa corrispondenza. Penthouse ha fatto altrettanto, e il suo editore-direttore, Bob Guccione, ha addirittura offerto il formidabile apparato pubblicitario e promozionale del suo piacevole mensile «per qualunque cosa egli intenda comunicare», purché in cambio il terrorista si impegni a non fabbricare e spedire più bombe. Nascondendosi dietro gli autorevoli quotidiani, e l'apprezzato mensile di Guccione, altri giornali hanno riprodotto ampi estratti del «manifesto». Può darsi, come spera l'Fbi, che questa improvvisa esplosione di pubblicità concessa da un'America presa in contropiede dal terrorismo, questa improvvisa diffusione dei suoi scritti, sia la trappola che finalmente cattura il topo. Ma dietro tutte le giustificazioni umanitarie offerte da quegli stessi giornali americani che per anni hanno predicato, anche a noi, la necessità di rifiutare ogni concessione al terrore resta una verità indiscutibile: con 25 bombe, tre morti e 22 feriti, il terrorista del ciliegio ha ottenuto esattamente quel che voleva. Scrivere sui giornali. Vittorio Zucconi In diciassette anni ha ucciso 3 persone e ne ha sfigurate 22 Non cerca il sangue vuole pubblicità Odia la tecnologia ma la utilizza Costruisce con le sue mani gli ordigni "Liifl-Jl'in: CatllyPullout in Bernal Loom HM'S BEFUSW Unto* U.N.CanPmveEffcctiut EMERCEMCY CUI» "°~ jggy HOSPfTALS ASSER • -r—»_ Wjatfrt C*i t'usi i«* TaTSài *•* u"" fan ~ A destra, un furgone degli artificieri della polizia. Si sospetta che Unabomber abbia fatto parte dei rapitori di Patricia Hearst (foto) L'Fbi e la polizia indagano da 17 anni senza risultati sul misterioso Unabomber. A destra, il generico identikit dell'ecoterrorista Sotto il New York Times che ha ceduto al ricatto di Unabomber e pubblicato un suo articolo contro il mondo moderno dominato dalla tecnologia

Luoghi citati: Alaska, America, California, Illinois, Italia, Los Angeles, Oklahoma City