In coda con i turisti in fuga dalla Croazia bombardata di Giuseppe Zaccaria

nemiche. Durante il blitz ucciso un Casco blu danese, la Nato minaccia raid aerei nemiche. Durante il blitz ucciso un Casco blu danese, la Nato minaccia raid aerei dal cavallo di battaglia del patriottismo: «Sia ben chiaro - dice -. An considera la dignità nazionale come un valore irrinunciabile, su cui non siamo disposti a scendere a compromessi. I dirigenti di Lubiana devono inginocchiarsi sulle foibe, dove giacciono gli italiani sterminati nella seconda guerra mondiale, in quella che fu un'anticipazione della pulizia etnica che oggi avviene in Jugoslavia». E oggi è An, ancora una volta, a far la voce più grossa sugli italiani d'Istria: «Le parole del presidente croato ci preoccupano molto - dice Tremaglia -: abbiamo chiesto alla Farnesina di vigilare sulla situazione, dato che le inconsulte ed irresponsabili parole di Tudjman possono determinare una campagna contro gli italiani d'Istria». I quali temono «la normalizzazione», dice in un'intervista all'«Opinione» il presidente della federazione degli esuli, Paolo Sardos Albertini: «Tudjman non sopporta la Dieta Democratica Istriana, un partito che ha raccolto il 73% dei voti, con il totale sostegno della comunità italiana. Zagabria vuole liberarsene perché rivendica la diversità e l'autonomia dell'Istria rispetto alla Croazia. Gli attacchi all'Italia sono solo un mezzo per far capire alla Dieta che deve abbassare la testa». «Bisogna vigilare attentamente - ripete Tremaglia -. Il clima è arroventato, e le ritorsioni sono facili. Non ci vuole molto: basta che decidano di mandare tutti gli italiani al fronte». Raffaella Silipo SPALATO DAL NOSTRO INVIATO Alle dodici e venti il doganiere di Humac, piccolo posto di confine fra Erzegovina e Croazia, mi ha detto: «Spiacente, lei non può passare» e dieci minuti dopo dietro l'auto di quello straniero stravolto e sudato che continuava a protestare la propria estraneità al conflitto, c'era già una fila sterminata. Erano vetture e furgoni strapieni con targhe di Mestar, Konjc, Tomislavgrad. Arrivavano dalle montagne sassose che nascondono il mare, evidentemente approdando a quel piccolo valico dopo lunghi ragionamenti. Si mettevano ordinatamente in fila, le auto dei migranti, aspettavano. Dopo un po' teste hanno cominciato ad affacciarsi dai finestrini, qualcuno ha tirato su il vetro per soffocare i singhiozzi di una donna, infine è scoppiato un disperato concerto di clacson. «Nista», dice la guardia, non si esce: a mezzogiorno in punto i doganieri erzegovesi avevano ricevuto l'ordine tassativo di impedire a chiunque di varcare i confini dello Stato. Fra Bosnia ed Erzegovina cadevano bombe su Mostar, Jablanica, Gospic, Livno. Le prime notizie sull'offensiva croata stavano scatenando il panico, temendo una ritorsione serba la gente caricava in fretta le auto e si allontanava. Verso la Dalmazia, in qualche modo dunque verso la guerra ma anche in direzione delle coste, che si ritengono più sicure, o magari delle isole, ultima illusione per chi tenta di chiamarsi fuori. Ad un certo punto dopo appelli via radio e inutili richiami all'ordine, il governo ha deciso la chiusura dei confini. Un milione e mezzo di persone sono bloccate, fino a nuovo ordine: sommare il loro panico a quello di migliaia di turisti, e volontari, e cooperatori improvvisati, avrebbe significato far piombare la Dalmazia nel caos. Via dalla guerra: da ieri, questa pare essere diventata la parola d'ordine. Ed è strano come soltanto adesso, solo con l'offensiva croata molta gente acquisti l'esatta percezione del pericolo, cominci a cogliere le dimensioni della tragedia. Fuggono in tantissimi: si dice «turisti» perché trovare un'altra definizione è difficile, ma di quei turisti il novanta per cento è di nazionalità croata, gente che si era fidata nonostante tutto, contando sulla lontananza delle isole o la relativa calma di luoghi che pure erano sotto il tiro dei cannoni nemici. Raccontano che a Dubrovnik, ieri mattina, si siano svolte scene di tregenda. Il traghetto «Ljburnia» si apprestava a partire come ogni giorno ma quello di ieri era stato giorno di bombardamenti, e di bombardamenti feroci. C'erano almeno millecinquecento persone che cercavano di prendere quella nave, si accalcavano intorno al porto con la polizia croata costretta ad arginarle e disperderle per non offrire agli artiglieri serbi, lì sulle colline, un altro ghiotto bersaglio, un'altra occasione di spargere sangue innocente. C'è stata gente che da Dubrovnik è uscita in macchina facendo lo slalom fra le granate che tempestavano i sobborghi di Mokosica e Rijeka Dubrovska, e da quel momento ancora sta correndo in direzione Nord. Dietro l'ondata dei «turisti» si muove quella dei volontari: le centinaia, forse migliaia di «cooperatori» che erano in Croazia per portare aiuti, gli aiuti di piccoli gruppi, associazioni, del Comune fai da te. Erano pieni di buona volontà ma non di informazioni, e questa ventata di guerra li ha sconvolti. Ho visto un furgone targato Varese, ieri pomeriggio, sulle banchine del porto di Spala to, che ad un certo punto pre tendeva di farsi largo a colpi di paraurti fra la lunga fila di auto in attesa. E dal finestrino un giovanotto gridava «Toglietevi di là bestie, io me ne voglio andare». Sulle fian cate c'erano adesivi a raffica con su scritto «Paz-Mir-Pa- Intorno alle venti, si aspettava l'arrivo della «Ljburnia» da Dubrovnik, ma per fronteggiare l'emergenza la «Jadrolinija» stava preparando un trasporto d'emergenza per Fiume, con la motonave «11 irija». Il rischio è che pensando di sfuggire al mostro molta gente finisca col ritrovarsi direttamente fra le sue fauci. Esiste una strada, una sola che dai confini meridionali della Dalmazia consenta di raggiungere l'Istria, e dunque la tranquillità. La chiamano «Magistrala». E' qualcosa di simile a una vecchia provinciale che si attorciglia dietro le insenature, costeggia gli strapiombi, procede scassata e trafficatissima attraverso ponti e viadotti che da qualche anno sono sotto il tiro dei serbi di Krajina. E ieri, lungo la «Magistrala» i serbi hanno tirato a Sebenico e Zara, sparano all'altezza del ponte di Maslenica, costrìngono cortei di auto e camion a una pericolosissima deviazione sull'isola di Pag. La radio sta dicendo adesso che sulle strade dell'isola, brulle e prive di ogni protezione, la fila dei veicoli in attesa dei piccoli traghetti che consentono di aggirare l'area di Maslenica è lunga molti chilometri. E' strano, come nelle situazioni estreme certe trasmissioni divengano quasi oggetto di culto: quel che la radio sta mandando in onda adesso (saranno le nove di sera) è l'equivalente del nostro bollettino delle autostrade. Eppure in questo momento è la sola fonte di informazioni che possono rivelarsi decisive: il resto è retorica o propaganda. Continua a trasmettere musica, la radio di Stato, e lo stesso fa la tv: hanno rispolverato il vecchio «Moja Domovina», patria mia, canzone del '90. Un «We are the world» in versione sciovinista, con tutti i cantanti croati che celebrano in coro quella che allora pareva solo voglia di resistenza, e adesso si manifesta come volontà di rivin cita. Ai due distributori di benzina che segnano la tangenziale di Spalato, le file in questo momento sono molto lunghe. Fra una canzone patriottica e l'altra la radio ripete il testo della lettera di Tudjman e soprattutto ribadisce: «Vi raccomandiamo di non muovervi in gruppo, di non sostare all'aperto, di non uscire di casa e non viaggiare se non è assolutamente necessario». Spalato, fra le città della costa, è la sola che fino a questo momento non sia stata colpita, la sola abbastanza lontana dalle linee serbe da sentirsi quasi al sicuro. Ma la raccomandazione funziona: le strade, i ristoranti, i soli «caffè bar» animati dell'intera Dalmazia, stasera sono deserti. Giuseppe Zaccaria Gianfranco Fini e i parlamentari di Alleanza Nazionale Storace e Tremaglia In coda con i turisti in fuga dalla Croazia bombardata

Persone citate: Gianfranco Fini, Nista, Paolo Sardos Albertini, Raffaella Silipo, Tremaglia, Tudjman