«Dottore provi su di noi l'Uk 101»

«Dottore, provi su di noi l'Uk 101» Viaggio in uno degli ospedali che in autunno sperimenteranno la proteina anti-tumore «Dottore, provi su di noi l'Uk 101» In coda, fra i malati aggrappati a una speranza L'ATTESA PER LA NUOVA SOSTANZA TORINO RRIVANO con la borsa .straboccante di fotocopie, cartelle cliniche, tac, diagnosi, anamnesi, prescrizioni, referti, la faccia pallida e lo sguardo supplicante. «E' permesso?» Avanti. «Dottore, ci dia una mano». Ecco i viaggiatori di speranza e disperazione dentro l'illusione, la fatica e il sudore dell'estate dell'UklOl. Questi due che alle 15,30 si affacciano alla sala medici del reparto di chirurgia oncologica delle Molinette di Torino del professor Mussa sono i seicentocinquantottesimi della lista. I tre telefoni del reparto sono a. lati in tilt. Ma non è niente rispetto a quanto è successo nel centro milanese del professor Bartorelli: 40 mila chiamate in pochi giorni. E anche qui a Torino i medici ammettono: «Stiamo impazzendo». Sono appena saliti dalla sala operatoria e si rilassano col sollievo dell'aria condizionata. II primario è in ferie, ma c'è il dottor Baudolino Mussa, il dottor Zanon, gli altri quattro dell'equipe della «scuola di specialità di oncologia generale», ventidue posti letto, mille e cento ricoveri ogni dodici mesi, seicento interventi all'anno: «In media con la "produttività" ottimale indicata dall'Organizzazione mondiale della sanità». E' uno dei centri italiani dove partirà la sperimentazione dell'UklOl, la proteina anticancro del professor Bartorelli. Quando accadrà? «Noi - ci dice il dottor Mussa - sappiamo quello che leggiamo sui giornali. Chi dice settembre, chi ottobre, chi novembre. Aspettiamo». Funzionerà? Il medico non si sbilancia: «E' come se lei mi facesse vedere due automobili nuove e mi chiedesse: quale funziona meglio? Non lo so, bisogna provare». Anche le due persone che bussano alla sala medici sanno quello che «si legge sui giornali e si sente alla televisione». Sono un uomo e una donna, figli di un malato terminale di cancro. Arrivano alle Molinette perché l'altra sera uno dei medici che curano il padre gli ha detto che qui avrebbero provato l'UklOl. Hanno raccolto le forze e le carte. Il dottor Mussa, con pazienza e gentilezza, li fa entrare: «Prego». «E' cominciato tutto con un po' di sangue nelle urine...» E giù come un rosario una storia raccontata mille volte di cui conoscono a memoria angoli, spigoli, passaggi, si orientano automaticamente tra le carte, le citano quasi alla lettera, sottolineano con l'indice i punti «importanti», hanno imparato e usano ormai con disinvoltura i termini medici, i nomi delle medicine, riconoscono il gergo, reggono il confronto col dottor Mussa, rispondono alle domande, non si accontentano del generico, aggiungono, spiegano, vogliono approfondire, e ogni volta che il medico dice «ho capito», hanno qualcos'altro da soggiungere e ogni tanto - come un intercalare, dicono: «Sa, dottore, nostro padre ha 75 anni, ma è un uomo forte, forte. Non possiamo rassegnarci a vederlo morire così». Era «forte». Il dottor Mussa scorre la carte con occhio veloce e non ci mette molto a capire la situazione: «Certo, la chemioterapia è impossibile, vostro padre ha rifiutato un secondo intervento, l'u¬ nica cosa che posso fare è prendere nome, cognome, indirizzo, numero di telefono. Noi mettiamo i vostri dati nel computer e quando potremo partire, vi chiameremo». Quando, quando? «Non so, forse settembre, foise ottobre». Dottore, si rende conto che è una corsa contro il tempo? «Lo so, ma dipende tutto da Roma. Finché non ci danno il via, non possiamo fare niente». E' un braccio di ferro psicologico difficile, lungo, estenuante, interminabile, a fasi. Prima l'illustrazione del caso, poi le domande sul «che fare», infine quando i parenti hanno preso un po' di scurezza - i rammarichi, le recriminazioni, l'infinita seque¬ la dei «se» e dei «ma». Si comincia a voce bassa: «Ci scusi, dottore, ma se, quando l'hanno operato la prima volta, gli avessero subito tolto tutta la vescica, non sarebbe stato meglio?» E' una di quelle domande a cui nessun medico può ragionevolmente rispondere: «Quando si opera spiega con pazienza pedagogica il dottor Mussa - si procede secondo protocolli internazionali che rispondo a sperimentazioni certe. Se i colleghi haiuio fatto cosi, significa che l'intervento era quello che dava la risposta migliore all'entità del male». Naturalmente la replica è deludente: «Sì... però... se... dal momento che il cancro si è fermato, forse si sarebbe potuto...» Il medico riprende il filo della spiegazione: «Guardate che il nostro obbiettivo non è "tirare avanti" un ammalato, ma cercare di farlo vivere al meglio possibile e con la massima dignità, nonostante il male. Mica possiamo tagliare in due una persona. Oggi avremmo la possibilità, con macchine e medicine, di prolungare la vita in condizioni estreme. Ma che vita sarebbe?» Talvolta - ci spiegano dopo i medici - è più difficile il rapporto con i parenti che con gli ammalati: «Ce ne sono, specie di anziani, che ci dicono: "Ho fatto la mia vita, dottore, mi faccia solo morire in pace". E intanto. invece, i parenti insistono, recriminano, non accettano l'idea che si possa morire». Già, si fa quel che si può. «Ce ne sono di quelli - dice il dottor Zanon - che ritornano con le cartelle cliniche anche dopo la morte e ti fanno la domanda impossibile: si poteva salvare?» Già: si poteva? Smarriti nel labirinto delle Molinette alla disperata ricerca dell'uscita ritroviamo i dui; supplicanti, numero seicentocinquantotto della lista: «Il problema vero - dicono - è che quando capitano queste cose uno si trova solo e disperato. Si va di qua, si va di là, un medico dice una cosa, l'altro ne dice un'altra. Due sere fa uno dei dottori che curano nostro padre ci ha detto: "Non vi fate illusioni, dovete rassegnarvi, anche mio padre è morto così, tre anni fa". Ma noi non ci rassegniamo, siamo pronti a tutto. Forse dovevamo andare subito in Francia, e invece; siamo qui ad aspettare. Ma ci chiameranno?» Sì, chiameranno. «Lei che gira, ha qualche altro posto da indicarci?» No, mi dispiace. Cesare Martinetti La sperimentazione della nuova sostanza sarà fatta anche su malati di tumore terminali L'allarme dei medici «Ogni giorno arrivano centinaia di richieste Per ascoltare tutti rischiamo di impazzire» I chirurghi «Solo provando sapremo se funziona» I familiari dei pazienti entrano nel reparto con le borse straboccanti di diagnosi e cartelle cliniche: «Aiutateci, per favore» L'immunologo Alberto Bartorelli. scopritore della proteina UKIOI

Persone citate: Alberto Bartorelli, Bartorelli, Baudolino Mussa, Cesare Martinetti, Dottore, Mussa, Zanon

Luoghi citati: Francia, Roma, Torino