Una notte sulla scia di Moby Dick nel triangolo italiano delle balene
Una notte sulla scia di Moby Dick nel triangolo italiano delle balene Una notte sulla scia di Moby Dick nel triangolo italiano delle balene e sa di vederne apparire altre, vive, con lo zampillio di fontana, come c'era sulle illustrazioni dei libri di scienza. Il progetto «Care for the Rare» guidato dal biologo marino Giuseppe Notarbartolo di Sciara, presidente Tethys Research Institute, da anni studia l'insediamento nel Mediterraneo di balenottere nostrane. Un censimento fatto da loro ci dice che dovrebbero essere quattromila e il loro territorio marino formerebbe un triangolo: da Antibes alla punta Nord della Corsica e le Cinque Terre. Per vederle i mesi migliori sono quelli che vanno da giugno a settembre. E' allora che il mare si fa ricco di correnti, autostrade di gamberetti. I gamberetti non amano la luce del sole, così, di giorno, s'immergono in profondità, fuggono i raggi. E le balene si tuffano, a tre-quattrocento metri, e aprono la bocca, ingoiando a più non posso. Una notte di fine luglio con luna velata, ero in barca con il mio amico Bruno, al largo di Monaco, molto oltre le Mose. Avevamo buttato le cassette per i pampani e nasse di profondità per le aragoste. Andavamo anche per vedere il passaggio dei gamberetti, quando la notte li invita a risalire in superficie a proteggersi nel buio. Il passaggio dei gamberetti è come quello, in terra delle cavallette: un ribollire d'acqua, un crocchiare come Tozze ed eleganti, il gran testone schiacciato, sbucarono a poppa Il mare dei gamberetti diventò un tremolio di spavento e bollì Avviammo il motore e fuggimm m o di e e di pop-corn, un saltellare di gusci. Una musica spigolosa di pioggia che sale a bagnare le fiancate della barca e il vuoto notturno. Quella notte di gamberetti vedemmo le balene. La nostra barca era ferma, silenziosa. Stavamo bevendo un po' di rossese per tenerci al caldo e fumando una sigaretta. Tozze ed eleganti, il gran testone schiacciato, sbucarono, a un centinaio di metri, dietro la poppa. Il mare dei gamberetti diventò un tremolio di spavento. Bollì, sollevando un po' la barca, trascinandola avanti, in abbrivio. Ci chiedemmo, con Bruno, cosa fossero quelle masse oscure, perché il mare s'incrinasse. «Balene», disse Bruno. E mentre tutt'intorno la notte aveva preso a scricchiolare decidemmo di accendere il motore e allontanarci, metterci fuori rotta. Perché le balene venivano avanti. E noi non avevamo nulla dell'«empio e sublime» Achab e tantomeno sotto il sedere il «Pequod». Così andammo con un brivido nella schiena e la felicità di un sogno infantile, inaspettatamente raggiunto. Ora i biologi del progetto «Care for the Rare», a bordo di un due alberi, il Gemini Lab, naviga verso il «Santuario delle Balene, le cerca, ne studia i comportamenti, preleva, con fiocine speciali, piccoli tessuti di pelle che, sottoposti ad analisi, forniscono dati di parentela, grado di inquinamento del mare e del cibo ingurgitato. Il suo equipaggio studia anche il loro grado di suscettibilità all'uomo ad un possibile, turistico whale-watching. Se non andiamo a scocciare qualcuno non siamo contenti. Ma lasciamo tranquille almeno le balene. Sono una memo¬ ria lontana, hanno visto l'alba del mondo, la tristezza di chissà quante specie scomparse. Fra Liguria e Francia ci sono sempre state. Hanno forse visto l'uomo primitivo, quello che viveva terrorizzato nelle caverne dei Balzi Rossi. Quando il mare era più lontano, molto più lontano e su blocchi di ghiaccio alla deriva arrivavano elefanti, leoni, animali da altri mondi. E barriti e ruggiti e squittii mordevano un cielo cupo da nuova Era. E loro, le 0
Persone citate: Giuseppe Notarbartolo
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