a caso da dibattito a show

a caso a caso da dibattito a show ROMA. Inizia che sembrano lord Silvio e il conte Max. Due dannati, fantastici bipolaristi anglosassoni, questo sembrano. Non parlano rivolti alla presidenza (D'Alema per i primi secondi sì, un riflesso dell'era consociativa subito corretto), ma all'avversario, come in Inghilterra, solo che qui la forma circolare della sala obbliga a fastidiosi torcicolli per potersi guardare negli occhi. Poi, un po' per volta, si scompongono. Partiti inglesi, finiscono italiani. E gli viene pure meglio. Abbandonati i discorsi scritti (da Ferrara) di Berlusconi e le bàttute irridenti di D'Alema, ultima isola di Sgarbismo nella sinistra" normalizzata da retorici e finti-buoni, i duellanti approdano a un territorio più nostrano: la jettatura. E' D'Alema, a dire il vero, che provoca: «Se anche ci fosse il presidenzialismo, on. Berlusconi, lei non sarebbe eletto». Aggiunge anche un «lo dicono i sondaggi», per fargli più male. Il tutto con quella voce intervallata dai sogghigni (aha, aha) che esclude le mezze misure: irresistibile o detestabile, ignorabile mai. La sinistra si sbellica, la destra digrigna. E Berlusconi, che fa? Ovvio, tocca. Abbassa la mano destra sotto lo scranno, lancia un'occhiata divagante al vicino Dotti e poi zac, una bella manata al metallo portafortuna, strategicamente collocato sotto il banchetto di legno. Anche perché Pilo ha appena fatto circolare l'ultimo sondaggio segreto sugli elettori di Forza Italia nel Nord: sono arrabbiati e delusi, la terra promessa del liberismo non è stata neanche avvistata e si continua a parlare di regole-regole-regole mentre loro, gli elettori, ne vorrebbero sempre meno. Bipolari, finalmente. Come Coppi e Banali. Mazzola e Rivera. Stanlio e Ollio. Perché si ride un sacco, specie con D'Alema. Ultimo show di stagione, davanti a spalti gremiti «al limite della pazienza», come disse una volta un radiocronista in un lapsus di sincerità. Preparativi nervosi: in aula gli esperti di Costituzione come il professor Elia parlano di cose serie e quindi noiose in un brusio insopportabile, mentre Berlusconi ripassa la lezione a nuca bassa e D'Alema gonfia le gote come un pupo. Si parte. Berlusconi elenca tutti i partiti e partitini in nome dei quali parlerà, una decina, suscitando l'ilarità del centrosinistra. Lo disturbano in continuazione, anche perché il Silvius interruptus non conosce i mezzi toni della politica. La sinistra non gli piace e lui lo dice, in continuazione. Viene disturbato cinque volte, una addirittura dal pacifico Napolitano, che ancora un anno fa veniva indicato da Berlusconi come esempio di oppositore anglosassone. «All'anima dell'anglosassone», direbbe e infatti dice Storace. Poi tocca ai leghisti («Bettino! Bettino!») e a un deputato rautiano che grida «Tutte cazzate!» e si sente molto spiritoso. Tatarella, insolitamente alterato, si solleva contro Pivetti, rea di avere scampanellato tutti i disturbatori, compreso Napolitano, tranne i

Luoghi citati: Ferrara, Inghilterra, Roma