Oppio cultura dei popoli? di Aldo Cazzullo

Uno storico ne racconta avventure letterarie e finanziarie Uno storico ne racconta avventure letterarie e finanziarie Oppio, cultura dei popoli? Dagli antichi Egizi a D'Annunzio (paradisi artificiali di Baudelaire e le cannoniere europee davanti alla Cina. L'estasi dei guru indiani e il papavero magico dei beat americani. Gli sballi degli scrittori inglesi dell'800 e la morfina che dà sollievo ai fanti straziati della Grande Guerra. Viziosi consunti come D'Annunzio («trassi il tabacco misto d'oppio da una sua scatola di bossolo e lo rotolai nella carta, tra l'indice e il pollice ingialliti come dalla tintura di iodio») e insospettabili come Charles Dickens e Walter Scott. Farmaco, business, porta sull'assoluto, fabbrica di allucinazioni, vizio da stroncare: tutto questo e altro ancora è stato l'oppio. Esiste da quando esiste la storia, e l'ha attraversata tutta. Paul Butel, professore di storia moderna all'università di Bordeaux, già autore di una fortunata monografia sul tè, ora ha studiato l'avventura dell'oppio attraverso la cultura, l'economia e la letteratura, e l'ha raccontata in L'opium. Histoire d'une fascination, uscito in Francia da Perrin. Scoprendo come l'oppio, considerato per cinquemila anni dono del cielo, la macchina dei sogni, l'avversario del dolore fisico e spirituale, soltanto da un secolo sia diventato un incubo. Indicata come «pianta della gioia» nelle iscrizioni sumere, la capsula del papavero viene ritenuta nell'antichità il rimedio a tutti i mali, la panacea della medicina popolare. In Egitto papiri del 1500 avanti Cristo consigliano di mescolarla alla mandragola per calmare il dolore. «Ma non solo avverte Butel -. In Oriente l'oppio è la sostanza magica che stimola i sogni, che restituisce fiducia nella vita, libera dal quotidiano, dà accesso a favolosi miraggi, svela i segreti della coscienza, fino ai confini di ciò che è in noi». Greci e romani associano il papavero al culto di Demetra-Cerere, dea delle messi e dei culti misterici. Originaria del Vicino Oriente, la prima droga dell'umanità arriva in India, a Giava e in Cina nell'VIII secolo, e entra subito nei rituali esoterici della comunità. Nel Cinquecento l'oppio è «compagno fedele dell'uomo in guerra e in pace», co- me scrive il francese Bellon: e il migliore è quello di Smirne. Anche in Italia è apprezzato. «L'oppio è il sugo che si cava dai capi e dalle foglie dei papaveri spremuti, che i greci chiamano meconio», riporta il Ricettario Fiorentino del XVI secolo. Tasso ne esalta le virtù soporifere ricordando che «la mandragora e l'oppio il sonno allice/ma giova ancora a la virtù languente /de le famose donne e de gli eroi /vinti dal mal, benché da l'armi invitti». E' solo all'inizio dell'Ottocento, nota Butel, che «si comincia a rimproverare all'oppio lo stato di dipendenza che genera nei suoi adepti». Allora nasce il concetto di stupefacente. In Francia sono gli anni della «droga romantica», celebrata da scrittori e viaggiatori. La Marina francese è un formidabile veicolo di sogni artificiali: alla fine dell'800, scrive Butel, quattro ufficiali su cento sono oppiomani. Potocki celebra con voluttà nel «Viaggio in Turchia» le memorabili fumate alla corte della Sublime Porta, Chateaubriand quelle dei mercanti siriani nell'«Itinerario da Parigi a Gerusalemme». Théophile Gautier racconta nella «Pipa per oppio» di aver risvegliato, dopo una buona tirata, la bella cantante Carlotta con un bacio (ma più tardi si convertirà all'hashish, e diventerà accanito frequentatore del celebre club dei fumatori del quai d'Anjou, dove cercava ispirazioni per le sue tele anche Delacroix). In Inghilterra molti scrittori sono formidabili consumatori d'oppio: come Thomas de Quincey, che lo usa per ispirarsi, e si dichiara nelle celebri «Confessioni». A De Quincey si rifaranno esplicitamente Edgar Allan Poe e Charles Baudelaire. Anche Keats, Scott e Dickens, assicura Butel, sono consumatori assidui. All'inizio Coleridge lo assume per alleviare il mal di denti, quindi la dissenteria: poi ci prende gusto («il poema Kuhla Khan del 1797 deve molto all'oppio»), e ingaggia con de Quincey una gara all'ultima fumata: verso il 1818 i due scrittori consumano 480 grammi al giorno. In quegli stessi anni, l'oppio diventa un formidabile strumento dell'espansione commerciale dell'Occidente e un segno del degrado morale e spirituale del Celeste Impero. I mercanti inglesi inondano la Cina della droga prodotta in India (3200 tonnellate nel 1838). Il frutto del papavero diventa «il cibo dell'ospitalità». I fumatori di oppio assurgono a simbolo del declino dell'elite cinese: né serviranno a contrastarlo i divieti dell'imperatore, caduti nel vuoto come grida manzoniane, e tantomeno le sanguinose guerre, dette appunto dell'oppio, che segnano il crollo militare della dinastia manciù e aprono l'era della massiccia penetrazione coloniale. Nel 1889, in al- cune zone costiere, un cinese ne consuma in inedia 700 grammi al giorno. Ma gli anni del delirio libero sono numerati. Nella Parigi di Zola l'uso dell'oppio si diffonde dalle classi colte a quelle popolari: e nel quartiere operaio della Goutte d'Or i genitori lo somministrano ai figli per indurli a dormire (e a scordarsi di mangiare). Nel '900 nasce la morfina, usata già negli ospedali della prima guerra mondiale per lenire il dolore dei mutilati, e poi l'eroina. Comincia l'era del proibizionismo, parte la grande azione repressiva sotto la guida - in termini di condanna morale e di organizzazione coercitiva - degli Stati Uniti. L'anno di inizio della campagna antidroga è il 1912: conferenza di Shanghai, le Potenze rinunciano al commercio dell'oppio. Una guerra non ancora vinta. Si dà la caccia ai narcos, si incendiano i campi di papavero, si distrugge quella droga su cui qualche decennio prima l'Occidente aveva fondato una parte del suo predominio economico. L'eroina, moderna nipote dell'oppio, diventa una piaga sociale. Sono lontani i tempi in cui Baudelaire poetava: «L'opium agrandit ce qui n'a pas de bornes/approfondit le temps, creuse la volupté/et de plaisirs noirs et momes/remplit l'àme au-delà de sa capacité». Aldo Cazzullo // vizio «segreto» di Dickens e Scott Rcd Qui accanto. Dickens e, a sinistra, Baudelaire In alto: D'Annunzio. Nella foto grande: un fumatore d'oppio.