«Curo Mazowiecki così distrugge ogni speranza»

G «Curo Mazowiecki, così distrugge ogni speranza» LETTERA ALL'INVIATO DI GHALI G ENTILE Signor Mazowiecki, ho letto che lei ha dato le dimissioni dal ruolo di inviato speciale dell'Onu per la violazione dei diritti umani nella ex Jugoslavia. Le ha date dopo la caduta di Srebenica e Zepa, zone protette dall'Onu, e l'aumento dei crimini di guerra commessi dai serbi contro i civili nelle ultime due settimane. Capisco che il suo è un gesto di protesta contro l'incapacità dell'Occidente - e dell'Onu in primo luogo - a confrontarsi in modo efficace con l'aggressore serbo e la sua minaccia alla stabilità dell'Europa. Io concordo con tutte le sue ragioni. Chiunque abbia visto questa guerra da vicino, capisce la disperazione alla quale lei è arrivato. Ma mentre una parte di me plaude alla sua scelta, un'altra è tristissima e non può appoggiare la sua decisione, per quanto giu¬ sta e comprensibile. Mi permetta di spiegarmi meglio. Io non ho il diritto di scriverle questa lettera per almeno due ragioni, e penso che siano pochissime le persone che hanno il diritto di farlo. Innanzitutto perché lei ha fatto tutto ciò che era in suo potere per rispettare il difficilissimo e sgradevole compito di raccogliere le testimonianze sui crimini commessi in questa guerra dei Balcani. Lei ha fatto tutto il possibile per attirare l'attenzione dei politici e dell'opinione pubblica di tutto il mondo sulle indicibili sofferenze delle vittime, la popolazione civile. La seconda ragione per cui non dovrei scriverle è che credo che noi, tutti noi che viviamo nei Balcani, dovremmo innanzitutto chiederci se abbiamo fatto abbastanza in questo caso, prima di chiedere agli altri di fare qualcosa per noi, e ancor meno accusarli di fare troppo poco. Chi di noi può sostenere di avere fatto abbastanza? Certamente non io. Mi sono limitata a scrivere sulla guerra e, come ormai abbiamo capito, scrivere non basta. Eppure le scrivo lo stesso, consapevole che le sue dimissioni so- no probabilmente irreversibili come lo sarebbero anche le mie, in una situazione del genere. L'unica ragione per cui lo faccio è che il suo gesto ha un alto significato simbolico. La sua relazione sui diritti umani nei Balcani o, per dirla in termini più espliciti, sui crimini di guerra, dal mio punto di vista aveva un solo scopo: essere presentata alle autorità, a tutte le istituzioni, governi, organizzazioni, capaci di fermare, prevenire e punire azioni del genere. Ma che senso ha, se non si possono raggiungere i criminali, pur avendo i loro nomi? Che senso ha, se nessuno è veramente interessato a punirli perché, dopo tutto, chi ha il potere ha deciso che questa è una piccola, sporca, circoscritta guerra tribale in cui nessuno dovrebbe mettere il naso? Sono sicura che lei non immaginava che tutte quelle persone si sarebbero limitate ad ascolare le spaventose descrizioni dei crimini commessi per anni, poi avrebbero scrollato le spalle e se ne sarebbero andate proprio come sta facendo lei adesso. Così lei dà le dimissioni. Bene. Però... Il problema è che, con le sue dimissioni, cade anche l'idea stessa della testimonianza. Che senso hanno i racconti di chi ha tanto sofferto, se non portano a nulla? L'idea che dà forza alla testimonianza è che qualcuno abbia visto non solo ciò che è successo, ma anche chi l'ha commesso e che un giorno la mano della giustizia calerà su quelle persone e sull'intero governo per punirle. L'idea di testimonianza è l'idea stessa della giustizia. Rinunciarvi significa assai più che rinunciare ad agire in nome dell'umanità (un'umanità astratta, come le deve sembrare ora). Significa ammettere che la violenza ha vinto, che il crimine e la repressione pagano. Significa anche che noi, come esseri umani, come civiltà, siamo incapaci di imparare dalla nostra storia, e perciò siamo condannati a ripe terla in continuazione. Lei sarà d'accordo con me che questo è duro da accettare. La sua decisione ha messo simbolicamente, anche questa volta - un peso insopportabile sul le spalle delle persone, delle centi naia di migliaia di persone coin volte in questa guerra proprio come è coinvolto lei, sebbene in modo meno visibile. Che cosa pense ranno ora i volontari, i difensori dei diritti umani, i medici, i giornalisti, la gente comune, tutti che hanno fatto del loro meglio per aiutare le vittime? Che cosa devo no fare ora? Rinunciare anch'essi all'azione, alle parole, al lavoro? Sono sicuni che non le sto dicendo nulla di nuovo. Anche lei può prevedere che probabilmente altri rinunceranno: sembra che l'Onu si ritiri, le grandi potenze sono pronte a uscire da questo caos, la Nato è già screditata da tempo... Le popolazioni balcaniche servono giusto per comprare le armi dall'occidente e non hanno diritto a nulla di più, nulla di meglio? Se le persoiif rome lei si ritirano - anche se lo fanno in segno di protesta - allora non c'è più speranza per noi. E proprio la speranza è in gioco, mi creda. Glielo dir.» in un altro modo, per la salvezza degli altri anche se lei lo sa meglio di me, anche se lei l'ha già sentilo moltissime volte e perciò non è giusto che 10 glielo ripeta. Ascolti il racconto di uno dei rifugiati di Srebenica a un giornale croato: «Poi un cetnico ha preso un ragazzino per il naso, con due dita. Il ratizzino si sentiva soffocare, ha iDerto la bocca per respirare e il i "tnico ha preso un coltello. Il naso è caduto a terra. Il ragazzino sanguinava e 11 cetnico gli ha tagliati» ; :ima le orecchie, poi la gola. E' Imito per terra... allora la madre, vedendo cos'era successo, si è gettata addosso all'uomo, gli ha tolto il coltello di mano e se l'è conliccato nel cuore». Tutto quello che dico e questo: il padre del ragazzino, i parenti; i vicini di casa o chiunque abbia avuto dei morti in famiglia solo perché appartiene alla nazionalità «sbagliata» - tutta questa gente ha il diritto di sperare che gin''.zia sarà fatta. Vive per questa speranza. Nessuno ha il diritto di togliere la speranza alle vittime E tutti dobbiamo poter sperare die l'ingiustizia sarà punita e il demonio esorcizzato. La giustizi è qualcosa in cui deve poter ere re ogni individuo, si tratti di un criminale o di una vittima. Senza quella certezza, siamo privati non solo della speranza e del senso, ma anche dell'umanità. Non possiamo permettercerlo. Ed è prò prio questo in gioco nella Bosnia e, simbolicamente, nelle sue il: missioni. Per concludere, voglio solo dirle, signor Mazowiecki, chi senza il suo aiuto le vittime di questa guerra saranno sempre pi sole. Ammesso che sia possibile Slavenka Drakulic A Washington, dopo il Senato anche la Camera vota a favore della revoca dell'embargo Clinton: porrò il veto \verso Zagabria | SERBO-BOSNIACI FEDERAZ CROATO MUSULMANA CROAZIA SERBA 2 (KRAJINA) CONCENTRAZ. DI TRUPPE CROATE BOSN I A GRAHOVO, CONQUISTATA DAI CROATI Donii Vakuf ■a Ce Travnik Gornji Vakuf Sopra, una madre di Sarajevo porta in ospedale il suo bambino ferito Qui accanto, il croato Tudjman [FOTO ANSA] La scrittrice croata Slavenka Drakulic risponde all'ex premier polacco

Persone citate: Clinton, Mazowiecki, Slavenka Drakulic, Tudjman

Luoghi citati: Balcani, Bosnia, Croazia, Europa, Jugoslavia, Sarajevo, Washington, Zagabria