«La speranza? Corano e fucile» di Giuseppe Zaccaria

«La speranza? Corano e fucile» «La speranza? Corano e fucile» Sarajevo si affida alla solidarietà islamica ALLEANZA MUSULMANA LSARAJEVO A «Bosmer» è una società d'intermediazione con sede in un palazzotto semidevastato della Sarajevo antica. Avrà al massimo 4 impiegati, le scrivanie sono vecchissime, gli uffici puliti ma molto, molto dimessi. Il solo televisore di quegli uffici ieri è rimasto acceso l'intera giornata solo per seguire gli sviluppi della visita a Spalato e Mostar di Ali Akbar Velayati, ministro degli Esteri iraniano. Quando avrete saputo qualcosa in più sulla «Bosmer» capirete perché. La società ha meno di due anni di vita, è nata dall'idea di un avvocato quasi settantenne, Edah Begirbegovic, che a Sarajevo tutti conoscono e alcuni venerano quasi. L'acronimo accosta due nomi, Bosnia e Merhamet e adesso questo intreccio sta dando vita ad una vera e propria potenza finanziaria. L'avvocato Begirbegovic è persona mite, molto religiosa ed egualmente tollerante: lo vedi comparire di rado nelle occasioni pubbliche, predilige il lavoro e lo studio. Eppure è stato tra i fondatori dell'Sda, il partito di governo e soprattutto è presidente del Merhamet, la fratellanza musulmana, versione islamica della nostra Caritas, organizzazione che continua a convogliare verso la Bosnia forse il 70 per cento di tutti gli aiuti umanitari. Gli aiuti però, si sa, muovono centinaia di miliardi: ecco dunque sorgere la «Bosmer», che da due anni si occupa di riversare sul Merhamet tutti gli eventuali utili di operazioni compiute all'estero. Fin qui saremmo nell'ambito di una normalissima, anche se finanziaramente cospicua, attività umanitaria ma proprio in questi giorni la società sta compiendo un salto formidabile. Uno dei suoi uomini-chiave è a Teheran dove sta per concludersi un accordo storico. Il governo iraniano affida alla «Bosmer» la qualità di intermediario per tutte le forniture di petrolio richieste dall'Austria. E' solo un primo passo ma molto, molto lungo. Con questo accordo, di colpo la «Bosmer» diventa una società potentissima che per giunta si candida a gestire enonni flussi finanziari anche per i futuri contatti fra Iran e altri Paesi consumatori di petrolio. Capito l'interesse con cui a Sarajevo si seguiva la visita di Velayati? E comincia a tratteggiarsi un'idea di quanto fondamentale si stia rivelando, per la massacrata Bosnia, l'appoggio iraniano? Facciamo un passo indietro, neanche troppo lungo. Settembre '92, tutte le agenzie del mondo lanciano una notizia da Zagabria: la polizia croata ha bloccato all'aeroporto un Boeing delle linee aeree iraniane che avrebbe dovuto trasportare aiuti umanitari, ma fra sacchi di riso e fa- rina nascondeva anche 4 mila mitragliatori e un milione di pallottole. L'Iran smentisce sdegnosamente, fatto sta che l'aereo riparte vuoto e il carico viene sequestrato dai croati. E' il momento in cui i contrasti fra Zagabria e Sarajevo sono più acuti, e in Bosnia si sta combattendo un'altra guerra cui le milizie serbe assistono soddisfatte dalle alture. Sono passati meno di 3 anni e adesso il ministro degli Esteri croato siede sorridente accanto a quello bosniaco in un meeting con Velayati. Si parla di cooperazione, di strategie comuni, di un'attività concertata che possa fennare il genocidio dei musulmani di Bosnia: in meno di 3 anni, la potenza finanziaria iraniana ha provocato un'ondata di conversioni. Sono più di 3 anni che periodicamente un giornalista o una troupe televisiva calano a Sarajevo e tentano di raccontare la sua islamizzazione, cercando i segni di un fondamentalismo che non c'è. Quel che è più facile notare e traduce hi immagini sono gli scorci di una città che si è ruralizzata e oggi trabocca di rifugiati con vecchie pipe, vecchie con le gonne a sbuffo, ragazze con velo, arrivati dalle montagne dell'interno o dalle alture del Sandjak. Vedono queste immagini e concludono: «La Bosnia si sta islamizzando» con la stessa sbrigatività di chi giudicasse lo stato religioso degli italiani da una processione in Sicilia o dal corale esorcismo ai tarantolati. Ci sono piuttosto, questo sì, i segni di un tentativo di penetrazione che come accade in Turchia si rivolge ai più poveri, a quanti vivono l'Islam in senso più tradizionale. A Sarajevo gli inviati di Kuwait e Arabia continuano a muoversi su questo terreno e a rendere il proprio intervento il più evidente possibile. L'Iran no. C'è una farmacia a Buljak Potok che da qualche settimana è la più frequentata della città, bombe permettendo. Basta recarvisi con una ricetta e si esce coi medicinali in tasca, senza aver pagato un dinaro e con la prescrizione tùnbrata da una scritta in caratteri arabi. Il gestore e comproprietario si chiama Idris, è un saudita di 42 anni che ha studiato farmacia, si è trasferito a Sarajevo e prima di aprire la farmacia ha sposato una ragazza di 16 anni. Identiche organizzazioni sono nate a Doni Kumrovec, nel sobborgo di Butmir e a Bjelave, a due passi dal seminario cattolico di don Topic. Accanto alle farmacie spesso sorgono ambulatori che, come quello di Dom Kumrovec, sono destinati soprattutto alle famiglie dei soldati e dispongono perfino di dentisti. Gli orfani o le vedove dei «sehidi», i morti in combattimento, nelle cure hanno diritto a precedenza. Naturalmente, tutto il personale femminile dev'essere velato, ma la cosa non determina crisi di coscienza. Nella devastazione di questa città, un buon impiego vai bene uno «chador». L'aiuto dei «fratelli» arabi si sta manifestando soprattutto cosi: io ti aiuto a sopravvivere, tu ti vesti all'antica e vai in moschea. Ma sono sempre più numerosi anche quelli che a Sarajevo guardano queste attività con un fastidio appena dissimulato dallo stato di guerra. Alla fine del «ramadam», negli ultimi giorni di maggio, c'è stato perfino chi ha pensato di distribuire 50 marchi a chiunque si fosse recato in moschea: erano i kuwaitiani, questa volta, e nei bar di Basjarscia si scherza ancora su questa trovata. I rappresentanti di Teheran non se lo sarebbero neanche sognalo. E' una strada completamente diversa, quella che gli iraniani stanno seguendo in Bosnia: più discreta ma infinitamente più efficace, e destinata a condurre lontano. Non c'è giorno senza che a un passo dai ruderi della Biblioteca, nella villetta di Alifakovac che ospita provvisoriamente l'ambasciata, si presentino delegazioni che domandano aiuti o finanziamenti. Ibrahim Taherian, l'ambasciatore, è un affabile quarantenne che riceve tutti, ascolta tutti e a tutti promette interessamento. Se il progetto è di quelli che meritano attenzione, il finanziamento arriverà immancabile: ma saranno gli iraniani a conservarne la gestione. Gli iraniani ed il «Bosmer». La mossa decisiva, mi racconta una fonte più che seria, forse è già stata compiuta: attraverso la società del Merhamet il governo iraniano sta affidando la gestione di tutti i suoi finanziamenti a due banche. Due banche bosniache. Da questo momento il flusso di aiuti iraniani anche se indirizzato alla Croazia passa attraverso i telex delle banche di Sarajevo. Ci sono argomenti che a volte si rivelano più forti delle armi. Giuseppe Zaccaria

Persone citate: Ali Akbar Velayati, Arabia, Dom Kumrovec, Ibrahim Taherian, Potok, Topic, Velayati