Mazowiecki «J'accuse»

Mazowiecki: «l'accuse» Parla l'ex premier polacco all'indomani delle polemiche dimissioni da inviato dell'Onu in Bosnia Mazowiecki: «l'accuse» «Occidente, sei debole e ipocrita» VARSAVIAADEUSZ Mazowiecki, dopo aver accompagnato Lech Walesa sulle barricate di Danzica ai tempi di Solidarnosc come suo consigliere politico, è stato, nel 1989, dopo il crollo del comunismo, il primo capo di governo democratico in un Paese dell'Europa orientale. Nel 1991 aveva cercato, senza successo, di contendere proprio a Walesa l'elezione alla presidenza della repubblica. Dall'agosto del '92 aveva accettato l'incarico di relatore speciale dell'Orni per i diritti umani nell'ex Jugoslavia da cui si è polemicamente dimesso qualche giorno fa. Al di là della sua dichiarazione ufficiale, quali sono le vere ragioni delle sue dimissioni? «Le Nazioni Unite si erano impegnate a difendere le popolazioni all'interno delle zone di sicurezza, ma la caduta di Srebrenica e soprattutto l'abbandono di Zepa al suo destino sono stati per me la conferma che l'Onu era pronta a violare le proprie decisioni, quelle del Consiglio di Sicurezza, e a stravolgere i principi dell'ordine internazionale. Il mio vuole essere un atto d'accusa contro i risultati, o meglio i non risultati della conferenza di Londra. Sono tre anni che i vari Paesi così detti importanti non riescono a concordare una linea comune, e a Londra è stato raggiunto il culmine della cacofonia. Non potevo più sopportare questa situazione». Ma come lei dice, sono tre anni che l'Occidente manifesta la sua impotenza. Perché proprio ora le dimissioni? «Abbiamo assistito ad una presa di ostaggi dell'Onu, alla liquidazione delle zone di sicurezza, cosa dovevo ancora aspettare per reagire? Perché non ci domandiamo come mai la così detta "linea rossa" alla conferenza di Londra, la linea di non ritorno, è stata tracciata solo attorno a Gorazde? Così facendo ci si poteva limitare, ancora una volta, a minacciare, a muovere il dito senza impegnarsi in azioni concrete. Il tracciarla attorno a Zepa avrebbe imposto invece una decisione immediata, di cui i Paesi rappresentati a Londra, cioè i "migliori" di questo mondo, non sono stati capaci. Così si è concordato, ipocritamente, che Zepa è indifendibile, mentre si è poi difesa ancora per 10 giorni. Sulla mia decisione hanno certo influito anche le conversazioni che ho avuto con i rifugiati all'aeroporto di Tuzla, i racconti delle raccapriccianti violenze e sofferenze che avevano subito». In giro si sentono ancora «esperti» per i quali la colpa di quanto sta succedendo nell'ex Jugoslavia sarebbe da condividere tra tutte le parti. Lei sembra che tenda a renderne responsabili i serbi? «Chi sostiene che non c'è né una vittima né un aggressore lo fa solo per comodità, per giustificare la propria incapacità a prendere una decisione. In questa guerra c'è chiaramente una vittima e c'è un aggressore. E la vittima è uno Stato riconosciuto internazionalmente e membro delle Nazioni Unite, la Bosnia-Herzegovina. Io già da tempo avevo messo in guardia nei miei rapporti che metodi simili agli aggressori sarebbero stati adottati anche dalle altre parti in lotta. Ma che siano stati i serbi-bosniaci ad iniziare la pratica della pulizia etnica, su questo non ci sono dubbi. Poi certo l'hanno adottata anche i croati, c aggiungo che i musulmani non sono degli angeli nemmeno loro. Tutti hanno dei crimini sulla coscienza, ma non nella stessa misura. E da parte dell'Occidente si cerca di confondere le idee, di non esprimere delle valutazioni chiare, di camuffare la realtà di un aggressore contro il quale bisognerebbe intervenire. Il tutto per giustificare la propria inattività, per crearsi l'alibi: non facciamo nulla perché non sappiamo chi abbia torto e chi ragione. E ci si limita a dire: questi popoli dei Balcani sono tutti insopportabili, e noi ce ne laviamo le mani. E lei parla con qualcuno che quando l'ha ritenuto giusto, ha difeso i serbi: ultimamente sono stato nelle zone occidentali della Slavonia dove ho sostenuto il principio della permanenza e del ritorno delle popolazioni serbe dopo l'azione militare dei croati. Il fatto è che si è riusciti a creare l'impressione che nei confronti dei serbi c'è una grande congiura internazionale». Se oggi, come lei sembra constatare, c'è poca speranza di fermare il conflitto, cosa si sarebbe potuto fare prima, per evitarlo? «Per esempio aiutare le forze democratiche all'interno della Serbia. Non è stato fatto, ed è un peccato, perché se queste forze oggi avessero maggiore influenza, il corso degli avvenimenti sarebbe stato ben diverso». Vittima di questa guerra è anche l'Occidente? Il suo prestigio, la sua capacità di influire? «Io credo che ci troviamo di fronte ad una seria minaccia all'ordine internazionale, come continua a sottolineare con lucidità il Santo Padre: non si tratta più di un fenomeno limitato all'ex Jugoslavia. Il fatto è che dopo il crollo dell'ordine stabilito a Jalta, manca un pro- tagonista, un leader mondiale, l'Onu è paralizzata dalla incapacità di decidere ed è del tutto inadatta a svolgere questo ruolo di guida. Se si decide di instaurare delle zone di sicurezza che poi esistono solo sulla carta, se una organizzazione importante come la Nato accetta tali umiliazioni, ecco io devo dire che come polacco rni sento insicuro, direi quasi minacciato». ~~ — , » ... _„., La posizione della Russia rende più difficile la ricerca della pace? «Anche questo è un pretesto molto comodo per i Paesi Nato, da loro abilmente utilizzato per starsene con le mani in mano. Non credo che la posizione della Russia sia così rigida, penso invece che faccia comodo alla Nato esagerarne l'intransigenza per giustificare la propria inattività sostenendo la tesi che se la Russia non è d'accordo non si può fare nulla». Ma lei è a favore di un intervento militare? «Non sono un esperto in materia, ma certo non si può tollerare una situazione in cui il signor Karadzic detta le sue condizioni a tutto il mondo e tiene in scacco la Nato, l'Onu, i Paesi occidentali che si comportano come se fossero del tutto impotenti. Io in ogni caso sarei a favore della proposta di Chirac di una forza di rapido intervento a condizione che venga estesa anche a difesa delle popolazioni che vivono nelle zone di sicurezza». E l'embargo? Il Senato americano vorrebbe abolirlo. Lei è d'accordo? «Penso che non si possa non rispettare il diritto all'autodifesa, anche se mi rendo conto quali complicazioni possano essere collegate con la decisione di abolire l'embargo. Ma bisogna prendere una decisione, e subito». Cosa prevede nel prossimo futuro? «Temo che non cambierà molto. Continuerà questa linea di evitare di prendere una posizione netta, che può portare solo ad un peggioramento della situazione nell'ex Jugoslavia. E tutto questo sotto l'alibi della pace. Ma certo, tutti vogliamo la pace, ma bisogna rendersi conto che nessuna iniziativa di pace avrà successo se primis non si dà una dimostrazione di forza, se prima non si fanno vedere i muscoli e si dimostra che si è disposti ad usarli. L'esperienza di questi ultimi tre anni dovrebbe aver insegnato qualcosa». Jas Gawronski «Non possiamo tollerare che il signor Karadzic detti condizioni al mondo intero» «Sbaglia chi sostiene che la colpa sia un po' di tutti C'è una vittima e un aggressore» y «NON VOGLIO ESSERE COMPLICE» j i Non abbandono il popolo bosniaco: la mia e una protesta che faccio a nome di tutti loro per l'ipocrisia con cui sono trattati e per il sistema dei due pesi e due misure con cui la comunità intemazionale misura il rispetto dei diritti umani. In Bosnia sono ormai in gioco i principi della civiltà e la stabilità dell'ordine mondiale j j tifi Non posso più partecipare a un processo fittizio di difesa dei diritti umani davanti all'orribile tragedia che ha travolto la popolazione privandola dei "rifugi sicuri"garantiti da accordi internazionali. Quando accettai l'incarico, il mio proposito non era solo di stilare rapporti ma di aiutare la gente concretamente i «Sulla mia decisione hanno influito gli agghiaccianti racconti dei profughi a Tuzla»

Persone citate: Chirac, Jas Gawronski, Karadzic, Lech Walesa, Mazowiecki, Walesa