Contrada torna libero dopo mille giorni
Cronache Palermo, il giudice: non c'è più il rischio che inquini le prove. Lui: «Ho fiducia nei magistrati» Contrada torna libero dopo mille giorni 77 questore: «Ho un desiderio, voglio vedere il mare» PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Dopo 32 mesi eli carcerazione preventiva, Bruno Contrada è a casa con la moglie Adriana e i due figli. Si è lasciato alle spalle, ieri alle 17,05, il carcere militare di Palermo, in corso Pisani, dov'era l'unico recluso. Il suo primo desiderio? «Andare al mare», ha risposto il questore ex numero tre del Sisde che è orinai diventato un «caso nazionale», come a suo tempo lo fu Enzo Tortora. Abito chiaro, camicia azzurra ben stirata, cravatta blu, Contrada ha varcato il portone di ferro ed è stato subito circondato da giornalisti, fotografi e cineoperatori, tra gli applausi di un centinaio fra passanti, amici e aderenti al Club Pannella Riformatori. «La mia è stata una carcerazione punitiva dura - ha detto Contrada soppesando le parole, emozionato, ma consapevole dell'importanza del momento -. Dura perché lunga e preventiva». Ha aggiunto di avere fiducia nei giudici e nel dirlo ha fatto il possibile per dare l'impressione di non pronunciare una frase di circostanza, ma di essere sincero. «Ho incondizionata fiducia nei giudici che mi stanno giudicando, che mi giudicheranno - ha proseguito -. Pertanto non mi resta che sperare nella serena e obiettiva valutazione». Il questore è accusato di concorso in associazione mafiosa e, secondo sette pentiti, fra i quali Tommaso Buscetta, favorì la latitanza di Totò Riina e fu amico del capomafia Rosario Riccobono, fatto uccidere dallo stesso Riina dopo un pranzo luculliano. Quel Riccobono che in aula Contrada non ha esitato a definire «un pericoloso criminale». Il questore, che per tantissimi anni ha avuto fama di essere un nemico giurato delle cosche, ha quindi preso posto sulla «Fiat Uno» del figlio Guido, avvocato, e si è allontanato subito dopo. Prima di raggiungere l'alloggio, padre e figlio si sono fermati in un negozio di generi d'abbigliamento per fare acquisti e sono andati nello studio dell'avv. Giacchino Sbacchi che cura la difesa con l'on. Pietro Milio. Una lunga, intensa, emozionante giornata per Contrada, che in mattinata era stato presente a palazzo di Giustizia nell'aula della quinta sezione del tribunale presieduta da Francesco Ingargiola. In 110 udienze, dal 12 aprile 1994 quando è cominciato il processo (ieri è stato rinviato per le ferie estive al 19 settembre) a oggi, si è parlato di colpevolezza e innocenza tra testimonianze contrastanti. Dopo l'arresto, avvenuto il 24 dicembre del 1992, quando Contrada passò dal molo di primo 007 antimafia d'Italia a quello di imputato di essere in combutta con i boss, è successo di tutto. Per tre volte la Cassazione e il Tribunale della Libertà hanno respinto i tentativi dei difensori di fare uscire il questore prima da Forte Boccea, il carcere militare di Roma, poi da quello di Palermo Ieri il tribunale ha deciso in ventisette minuti di permanenza in Camera di Consiglio. La decisione era attesa. Un po' tutti ci credevano. E' stata determinata anche dal fatto che i pm Alfredo Morvillo e Antonio Ingroia hanno infine cessato la loro irriducibile opposizione a che Contrada lasciasse la prigione. Sono venute meno le esigenze cautelari, ha stabilito il tribunale. «E lo erano già da gran tempo», hanno commentato i difensori. Finito il pericolo d'inquinamento delle prove, gli avvocati Milio e Sbacchi si sono richiamati ai motivi di salute soltanto in via subordinata. Nelle sette pagine dell'ordinanza lette dal presidente Ingargiola e che si collocano certamente nel clima arroventato dalle fortissime critiche piovute da ogni parte sulla lunga carcerazione preventiva subita dall'imputato, si ritiene cessato il rischio di reiterazione del reato «in considerazione della dismissione da parte di Contrada di tutti gli incarichi professionali». E dopo il malore che lo colse in aula il 13 giugno, dopo il tentativo di suicidio in ospedale, Contrada ò stato sostenuto anche dalla perizia medica di parte in netto contrasto con quella dei periti d'ufficio, uno dei quali, lo psichiatra palermitano Silvio Fasullo, addirittura aveva ipotizzato che la reclusione potesse giovare al suo equilibrio psichico. Anche la farsa, dunque, in questa brutta storia italiana per la quale l'altro giorno i giovani liberali hanno anche presentato ima denuncia ad Amnesty International. Antonio Ravidà «So che questa storia non è finita Voglio che si prepari per la battaglia finale. Lui si sente un soldato»
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