Vegetariani non sparate sui carnivori di M. V.
Vegetariani non sparate sui carnivori Vegetariani non sparate sui carnivori CARNIVORI o vegetariani? Il dibattito è aperto da sempre ma negli ultimi tempi, con il rafforzamento del movimento animalista, la polemica ha assunto toni più aspri. In realtà, sotto il profilo strettamente scientifico, spesso l'emotività fa velo alla sostanza delle argomentazioni. Mangiare carne, in quantità proporzionata alle esigenze (per un adulto, 1-2 grammi al giorno per chilo di peso) fa bene. Soprattutto ai giovani le bistecche forniscono un apporto proteico completo, facilmente assimilabile, indispensabile per la costruzione ed il mantenimento in efficienza dell'organismo. Un etto di carne copre circa la metà del fabbisogno proteico e fornisce anche un buon apporto vitaminico e minerale, in particolare di ferro. E' vero, d'altra parte, che le stesse sostanze si possono trovare anche nei vegetali, ma in questo caso una dieta ben bilanciata è più complicata e richiede una maggiore varietà di alimenti. Certamente la cultura gastronomica dominante ha il suo peso e due o tre milioni di anni di camivorità non possono essere spazzati di colpo. Si è anche tentato, piuttosto scorrettamente, di gettare sulla carne l'ombra sinistra del rischio cancro, ipotizzando un rapporto diretto tra consumo di bistecche e fettine e l'aumento di probabilità di contrarre il male del secolo. Sarebbe soprattutto il grasso a veicolare sostanze cancerogene. Dalla ricerca medica arrivano pero puntuali le confutazioni: ad esempio, i casi di cancro al colon non sono affatto collegati alla quantità di carne ingerita ma piuttosto alla carenza di fibra. Lo dimostrano gli studi epidemiologici nei Paesi dove i consumi carnei sono nettamente superiori a quelli europei. Smentisce anche l'Istituto di epidemiologia dell'Università di Boston, che ha seguito per dieci anni 90.000 donne, senza trovare traccia di collegamento tra dieta carnea e tumori al seno. Però, attenzione, ribadiscono i medici; le assicurazioni valgono solo nel caso in cui i capi siano allevati in ambienti controllati, senza forzature dei ritmi fisiologici e, soprattutto, senza ricorso agli anabolizzanti. Un perentorio invito a produrre pulito, che dovrebbe indurre le associazioni allevatori a emarginare sempre più duramente i sofisticatori. [m. v.]
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