Le verità di Vierchowod di Fabio Vergnano

«Gli anni non mi pesano: mi rendo conto d'esser vecchio, ma buono per un terzo scudetto» «Gli anni non mi pesano: mi rendo conto d'esser vecchio, ma buono per un terzo scudetto» Le verità di Vierchowod «Sono taciturno, sincero e orgoglioso» CHATILLON DAL NOSTRO INVIATO «Detesto le interviste, non vado mai in tv, sono un taciturno per natura e nei rapporti con gli altri voglio chiarezza: una cosa è bianca l'altra è nera. Se mi fregano chiudo e non riapro più il dialogo». Cosi Pietro Vierchowod, a muso duro. Trenta luglio, data quasi storica, il «msso» si racconta. I tifosi prendano nota, perché non capiterà spesso da qui alla fine della prossima stagione. Detesta i compromessi a costo di rischiare l'impopolarità. E' fatto così, prendere o lasciare. Odia il pettegolezzo, esige la chiarezza, non gli interessa finire in prima pagina. Un giocatore scomodo, per qualcuno perfino antipatico, ma senza dubbio coerente. Non ha mai cambiato atteggiamento in vent'anni di carriera, non si converte neppure oggi, anche se l'esperienza dovrebbe avergli insegnato che nel calcio le pubbliche relazioni hanno un poso importante. Vierchowod, al terzo tentativo approda alla Juve. «La prima volta fu nell'83: Boniperti venne a trovarmi in vacanza a Levico Terme. Allora ero della Samp, ma giocavo in prestito nella Roma e avrei voluto restarci per disputare la Coppa Campioni. In quell'occasione non fui io a rifiutare la Juve, ma fu la Samp che mi rivolle a Genova. Nel '90, invece, non mi andò di lasciare una squadra che poteva danni tante soddisfazioni e feci la scelta giusta. Adesso eccomi qui». Meglio tardi che mai. Ma perché non ha chiuso la carriera a Genova? «A 36 anni ero ormai convinto di non muovermi più. Ma già dopo Natale ho capito che la Samp non era più la squadra che conoscevo. E' finito un ciclo e soprattutto non c'è più Mantovani, grande come presidente, grandissimo come uomo». Ma Sven Goran Eriksson è davvero il numero uno degli allenatori perdenti? «Ha un carattere troppo mite, non riesce ad imporre le proprie idee. I buoni di rado vanno lontano, bisogna saper fare la voce grossa altrimenti ti fregano». A lei invece il carattere non manca. Ha perso l'ultimo Mondiale per aver parlato chiaro a Sacchi. «Gli ho detto semplicemente che in America andavo se avevo la garanzia di giocare. Non mi ha dato nessuna certezza e sono rimasto a casa». Il suo rapporto con la Nazionale non è mai stato facile. «Potevo fare di più, anche se 45 presenze e tre Mondiali non sono pochi. Comunque ho avuto più fortuna con le squadre di club, visto che ho vinto duo scudetti e quattro coppe, realizzando tutti i miei sogni. Nell'82 in Spagna fui sfortunato, un dolore a un ginocchio mi costrinse alla tribuna. Nell'86 in Messico la Francia ci eliminò agli ottavi. Poi Vicini mi disse che ero vecchio, anche se mi riconvocò a 31 anni nel '90 per il Mondiale italiano. Misteri del calcio». E a 36 anni ha ancora voglia di tentare una nuova avventura, sembra un giocatore senza età. «Magari fosse cosi. Per la verità gli anni non mi pesano, quello che mi distrugge sono gli allenamenti che facciamo. In tutta la carriera non avevo mai faticato tanto. La Juve è una squadra che ti dà stimoli incredibili e poi qui sono di casa. Mi guardo attorno e vedo soltanto facce amiche. Da Vialli a Fusi, a Bordon, a Pezzotti, a Orlando. Perfino Bettega. Lo affrontai quando ero a Como. Ecco, quando ci penso capisco davvero che sono vecchio». Moggi ha detto che lei è un uomo vero perché ha firmato per una sola stagione. «Roma e Fiorentina mi avrebbero fatto un contratto biennale. Ho scelto la Juve perché non mi piace restare per forza in una squadra, non voglio essere sopportato. Anche nell'85 dopo una stagione balorda nella Samp chiesi di essere ceduto nonostante avessi tre anni di contratto. Mi convinse Mantovani a restare ed ebbe come al solito ragione lui». Bettega sogna la Coppa dei Campioni. Anche per lei vincerla sarebbe un motivo di riscatto dopo la delusione di Londra? «Ma non sarebbe malo neppure lo scudetto. Mi piacerebbe conquistarne tre in tre squadre diverse». Senza Baggio è tutto più difficile? «Credo che abbia fatto la scelta giusta. Quando capisci che non ti vogliono più, allora è il momento di cambiare». Vialli era un leader alla Samp. Che giocatore ha ritrovato? «Lo stesso Vialli, ovvero un uomo di carattere e di notevole intelligenza. E' sempre il capo. Dopo duo anni difficili è tornato su grandi livelli e merita la Nazionale. Sacchi non può fare a meno di lui. Ma la sorpresa della Juve sarà Jugovic, forse non lo conoscete bene». Fabio Vergnano