Roma-Venezia, acquisti per caso

Roma-Venezia, acquisti per caso I capolavori del '900 comprati dalla Galleria Nazionale alle Biennali Roma-Venezia, acquisti per caso Vuoti e ritardi, dagli impressionisti alla Pop EROMA A Biennale di Venezia fin dalla sua prima edizione nel 1895 divenne il luogo deputato del governo italiano dove acquistare le opere destinate alle collezioni della futura Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. La scelta tra un'arte di respiro internazionale, segnata dal clima secessionista europeo e dal simbolismo d'oltralpe e un'arte nazionale, più propensa a un paesaggismo elegiaco (Bartolomeo Bezzi, Pietro Fragiacomo), all'aneddotica, al quadro di genere (Ettore Tito, Alessandro Milesi) e alla ritrattistica (Cesare Tallone), furono i termini entro cui si articolò il dibattito culturale dell'epoca e, conseguentemente, la politica degli acquisti. Una sorta di schizofrenia, di casualità è, quindi ciò che si percepisce dall'esposizione, organizzata dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna (fino al 24 settembre) delle opere acquistate alle Biennali veneziane dal 1895 al 1914. Erano gli anni durante i quali vennero completamente ignorate le esperienze dell'impressionismo francese o in cui un'opera di Picasso - probabilmente del «periodo rosa» - fu tolta dal padiglione spagnolo perché ritenuta troppo scioccante per il pubblico dei visitatori. Solo nel 1910, infatti, si iniziarono ad avere presenze artistiche internazionali di assoluto rilievo, con le personali di Klimt, Courbet e Renoir. Fino al 1899 gli acquisti riflettono il clima regionalistico, per scuole locali, voluto da Ojetti nell'ordinamento delle Biennali e si dovrà attendere la fine del secolo per incontrare un'importante acquisizione. Il successo riscontrato dalle due grandi tele di Giulio Aristide Sartorio, La Gorgone e gli eroi e La Diana d'Efeso e gli schiavi spinse la commissione ad effettuarne l'acquisto. Questo dittico - tra i capolavori ora esposti - ben esemplifica una delle poche emergenze internazionali espresse dalla cultura fi- Di tenore completamente diverso è l'altra sezione della mostra dedicata alle opere acquistate nelle Biennali del secondo dopoguerra (1948-1968). L'imperativo della Biennale, dopo sei anni di interruzione, fu quello di aprirsi all'arte internazionale, sia dando finalmente spazio alle esperienze dell'avanguardia - da Kandiskij a Mondrian, da Klee a Picasso - che documentando le poetiche contemporanee, l'Informale e la Pop Art. La parsimonia con cui lo Stato italano finanziò gli acquisti colmò, però, solo in parte le grandi lacune createsi nelle raccolte della Galleria verso le opere dei protagonisti dell'arte straniera e, ancora più grave, vennero trascurate le opere dei grandi maestri italiani (da Boccioni e Balla a De Chirico, Morandi, Carrà, Sironi, fino a Burri e Fontana - oggi presenti alla Galleria solo grazie a generose donazioni). Anche in questa sezione, circa venti opere, sembra la casualità a presiedere alle scelte. Alla Figura di Giacometti si alterna un piccolo olio di Mirò, all'informale Tapies fanno riscontro diversi acquisti di interessanti opere dal padiglione giapponese, tra il 1958 e il 1964. In quell'anno, trionfo della Pop Art, non venne acquistata nessuna opera di Rauschenberg, ma una scultu- ra dell'ungherese Kemeny. Solo dopo l'infatuazione per l'arte cinetica si cercò di riparare alla grande svista sulla Pop, comprando nel '68 un assemblage di lamiere dell'americano John Chamberlain. Era, però, ormai troppo tardi. Dal '68, anno della contestazione, la Galleria non acquistò più nulla. Federica Pirani «Diana di Efeso» un dipinto di G. A. Sartorio alla Galleria nazionale d'arte moderna a Roma

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