Natura morta a seno nudo

Si riporta alla luce il dimenticato pittore veneto, sintesi «minore» del secolo I Tozzi, surreale e metafisico Tozzi, surreale e metafisico Natura morta a seno nudo ri —Yì VERBANIA-PALLANZA L gran dipinto campeggia in fondo alla seconda sala, dedicata al pittore I *Jnei primi anni 1920, della mostra di Mario Tbzzi al Museo del Paesaggio, aperta fino al 30 settembre con catalogo Mazzotta contenente saggi della curatrice Marilena Pasquali e di Renato Barilli. La modella - la moglie francese -, con il «valore plastico» del forte busto nudo modellato dalla luce fredda dell'alba, è, in primo piano, una statua quotidiana che recita e simboleggia La toeletta del mal tino, Venere borghese a piedi nudi sul lenzuolo stazzonato come una lastra metallica, che ostenta la stessa forma e materia di quelle su cui si agitano le carrozzerie in forma femminile di Tamara de Lempicka. Sul lenzuolo, una brocca che ci parla di abluzioni ottocentesche nel catino e un paio di pantofole blu si ritagliano il loro inserto di realismo magico, romano o tedesco, mentre la Venere quotidiana, pur nata nella testa di ponto parigina presidiata per ora dal solo Tozzi e da Magnelli, raggela aure milanesi tra Funi Dudreville. Tutto questo si riferisce alla forma evidente, ma la cultura di seconda intenzione è più complicata e sottile, fa sì che la Venere si ritragga al riparo e all'ombra di una porta aperta, spalancata a destra sulla prospettiva ribaltata ed enigmatica del pavimento di legno, su una seconda (freudiana?) porta aperta con due donne, austere in panni grigio-viola, al tavolo della prima colazione: astrazione magica del quotidiano, astrazione metafisica nell'accezione casoratiana, alternativa a De Chirico-Carrà. II richiamo ò ancora più evidente nella tela coeva, 1922, con La tre sorelle sul fondo e in forte primo piano una natura morta, esemplare dell'ondata neocezanniana europea, dalla Francia di Derain all'Italia, dalla Germania ai sovietici «da cavalletto», sul versante plastico-metallico. La Toletta del mattino ha ancora altro da raccontarci, sulle oscillazioni del pendolo nella fortuna di Tozzi, personaggio che fu - e volle fortemente essere - emblematico di tutta una stagione dell'arte italiana da esportazione. Fu la «pièce» d'esordio parigino al Salon d'Automne del 1922 e fu tela d'esordio alla Biennale veneziana nel 1924, circolò con Novecento da Zurigo ad Amsterdam all'Aja nel 1927, poi accompagnò tutta la vita dell'artista fino alle antologiche postume di Ferrara e di Fiesole. E', tutto sommato, un fenomeno curioso questo abbinamento molto novecentesco e molto italiano di una plasticità «classica» alla Funi e di un reali¬ smo magico nella specifica accezione letteraria di Bontempelli, affine a quello anticipato nelle bellissime sintesi «sospese» del quotidiano tipiche del Guidi romano, che viene imposto con successo in una Parigi di tutt'altre tradizioni e interessi; tanto da fare di Tozzi l'abile «manager» degli italiani a Parigi, attraverso l'alleanza con i corifei della reazione antiavanguardista, Waldemar George ed Eugenio d'Ors. In questa veste, dalla mostra del 1928 al Salon de l'Escalier, a cui partecipa anche Menzio, fino alla sala degli italiani a Parigi alla prima Quadriennale romana del 1931, Tozzi elabora la sua forma pittorica definitiva, fra surreale e metafisica. Fanciulle e bambini «fittili», con teste glabre da manichino, modellati in color terracotta da una stesura arida, asciutta, da affresco arcaico, intrecciano gesti e danze misteriose fra semplici elementi architettonici novecenteschi, in uno spazio illusorio che si arricciola su se stesso come un foglio di pergamena. Con forti affinità con Severini, queste immagini sono l'alternativa, fra classicistica e arcaizzante, ai giochi surreali parigini di De Chirico e di Savinio e un'indicazione di percorso per Campigli e Paresce, ma priva del dono della leggerezza poetica e ironica. In mostra questa forma compare, con un ultimo ricordo d'intimismo quotidiano, nella Prima colazione del 1927, culmina con i Personaggi in cerca d'autore e con Madre e figlio del 1929 (mentre ò quanto meno enigmatica la datazione della replica Souvenir d'enfance, nota solo a partire da un'asta Christie's del 1985) e già sfiorisce in maniera nel Mattino alla fattoria del 1938. Proprio per esser fuori dalla «maniera Tozzi» e dall'infinita cinquantennale ripetitività delle fanciulle in terracotta, colpisce in mostra la doppia qualità pittorica e metafisica delle due magiche nature morte del 1931, Oggetti dinanzi al mare e La Carta da gioco. Forse se ne rendeva conto ogni tanto anche l'autore, strano e patetico prigioniero di quelle fanciulle e di un amoro di pittura mal corrisposto lungo tutta la vita. Nelle sale finali dedicate al dopoguerra, l'unico pezzo di pittura vera è la Natura morta antica del 1948, dove il soffocamento di luce dei bruni ocracei e dei grigi d'asfalto raggiunge un autentico valore espressivo; e l'unica alternativa alle gabbie ritmiche di fanciulle affini a quelle scolpite da Emilio Greco sono le ingenue ma delicate Parure morte intorno al 1960 ispirate all'astrazione metafisica di Soldati. Marco Rosei «La fisarmonica» di Marco Tozzi, in mostra al Museo del paesaggio a Verbania