Una colomba sul fiume Kwai

Una colomba sul fiume Kwai Ha fatto del ponte un simbolo di riconciliazione Una colomba sul fiume Kwai L'espiazione dell'ex carceriere giapponese PERSONAGGIO IL SAMURAI DELLA PACE TAKASHI Nagase era un giovanotto nervoso che vedeva tigri appostate dietro ogni cespuglio. Ma sapeva che c'era da aver paura davvero solo quando si vedevano gli avvoltoi piombare sopra il campo dei prigionieri di guerra. Avvicinandosi e tastando il polso dei malati, se le impronte restavano sul polso il verdetto ora chiaro: colera. Un giorno gli ordinarono di controllare il polso a un prigioniero britannico, suo coetaneo, al quale avevano spezzato le braccia e imposto la tortura dell'acqua. L'uomo continuava a invocare la mamma. Alla fine di una sessione di tortura, Nagase non pcté trattenersi dal sussurrargli una frase assurda: «Coraggio!». Il giovanotto che temeva le tigri era un ufficiale della Kempei Tai, la polizia imperiale giapponese. Il ricordo di quel prigioniero, sebbene non fosse che uno dei tanti che aveva visto torturare nei campi di lavoro lungo il fiume Kwai, lo ossessionò a lungo e cambiò la sua vita. Nei 53 anni successivi sarebbe diventato una leggenda tra gli ex prigionieri di guerra britannici per la fedeltà con cui onorò il solenne giuramento che aveva fatto a se stesso nella giungla. «Decisi di essere il giudice di me stesso - racconterà in seguito - ed espiare i crimini che avevamo commesso in guerra. Questa missione avrebbe occupato tutta la mia vita». Nagase, che adesso ha 78 anni, sarà la figura centrale alla cerimonia pubblica per i 50 anni del VJ Day che si terrà il 15 agosto al ponte sul fiume Kwai a Kanchanaburi, l'unica in cui ci saranno anche diplomatici e rappresentanti del Giappone. Gli ospiti potranno vedere con i loro occhi come ha trasformato Kanchanaburi. Dalla fine della guerra, è tornato laggiù ben 86 volte. Ha costruito un tempio buddista dedicato alla pace e un parco della rimembranza. Ha offerto borse di studio ad alcuni dei discendenti delle migliaia di schiavi che lavorarono alla ferrovia. Ha pagato molto di tasca sua, risparmiando sul reddito di una piccola scuola di lingue che possiede a Okayama. Ma la cosa più straordinaria è che ha stretto profondi legami di amicizia con alcuni ex prigionieri britannici. Uno di loro, Bill Allchin, di Winchester, dice: «Nagase è diventato un pellegrino di pace. E' una delle persone più straordinarie che abbia incontrato nella mia vita». La sua più recente, e più improbabile, amicizia è proprio con l'uomo al quale teneva il polso mentre gli pompavano acqua nello stomaco, Eric Lomax, di Berwick-upon-Tweed. Lomax gli dava la caccia perché voleva vendicarsi. La voce dell'ufficiale giapponese tornava continuamente nei suoi incubi. Quand'era prigioniero, Lomax era stato sorpreso con una mappa della ferrovia nascosta addosso: si difese dicendo che era interessato ai treni, ma lo accusarono ugualmente di spionaggio. Tenne duro sotto le più terribili torture, Nagase sempre al suo fianco per tradurre le sue parole. Una voce e un volto che non lo abbandonarono più. Nel 1991, Lomax trovò per caso una foto di Nagase su un ritaglio di giornale. Sua moglie scrisse indignata al giapponese, che rispose con una lettera così bella che tutto l'astio svanì. Si incontrarono nel 1993 sul fiume Kwai. Nagase chiese perdono e Lomax perdonò. Piansero insieme e si strinsero le mani. Uno dei primi a parlare di Nagase in Gran Bretagna era stato il reverendo Henry Babb, che era stato cappellano in uno dei più terribili campi della ferrovia del Kwai. I giapponesi lo chiamavano «soldato Amen» perché lo sentivano recitare le preghiere sui cadaveri dei suoi uomini. Nagase e Babb si ritrovarono dopo la guerra, in ruoli rovesciati. Il cappellano era stato mandato a identificare i corpi dei britannici morti nella giungla. Nagase era allora prigioniero degli alleati ed era stato assegnato al sacerdote come interprete, nel caso avessero incontrato dei giapponesi che nulla sapevano della resa. Babb all'inizio detestava Nagase, anche se era divertito dalla sua paura delle tigri. Ma più tardi venne colpito dall'orrore che il suo compagno provava per le dimensioni della strage che le loro ricerche rivelavano: trovarono 13 mila corpi. In quelle settimane, diventarono amici per la vita. Babb aveva perso la fede ed era diventato professore di matematica. Le lettere di Nagase lo aiutarono a ritrovarla. Nagase gli scrive¬ va: «Sei l'unica persona che mi capisce, perché eri con me in quel tristissimo viaggio nella giungla». Takashi Nagase era figlio di un medico di campagna. Aveva frequentato l'accademia militare, assorbendo una fede cieca nella dottrina dell'obbedienza all'imperatore. Si era arruolato come volontario ed era stato felicissimo di essere assegnato come interprete della Kempei Tai a Kanchanaburi, dove si costruiva la ferrovia per invadere l'India. La sua fe¬ de nell'obbedienza venne scossa una prima volta quando vide la pioggia colare lentamente dalle logore coperte dei soldati britannici malati di malaria, allungati sul terreno senza neppure un tetto sulla testa. «Cominciai ad avere dei dubbi su quale fosse il vero obiettivo dell'esercito dell'Imperatore - scrisse in seguito -. Mi dicevo che se avessimo perso la guerra, quel destino sarebbe toc- calo a noi. Dovevamo assolutamente vincere. Poi mi abituai a quella vista. Ed ò quello che dovremmo veramente temere... Ma le cicatrici dei ricordi di guerra mi sono rimaste impresse a una a una ...». Gli ultimi brandelli di fede imperiale vennero distrutti dal viaggio con Henry Babb. Due anni dopo il ritorno in Giappone, Nagase sviluppò una serie di disturbi che vennero diagnosticati come «nevrosi cardiaca». Rivedeva come in un flash back Eric Lomax torturato e gli venivano spossanti attacchi di cuore, dagli effetti simili a quelli di malaria. Il senso di colpa gli trasmetteva alcune delle sofferenze fisiche delle vittime che aveva visto. Decise allora di fare qualcosa di concreto. Nel 1963, appena il governo giapponese permise ai suoi cittadini di andare all'estero, andò a Kanchaburi per visitare le seimila tombe nel cimitero di guerra del Commowealth. Sull'areo che lo portava laggiù, ebbe uno dei suoi attacchi più terribili. Seduto rigido, stringeva al petto una piccola lapide che aveva portato per i prigionieri morti. Il suo corpo era diventato così freddo che sua moglie lo credette in punto di morte. Ma appena entrato nel cimitero, i sintomi scomparvero. Anno dopo anno, continuo a tornare a Kwai. Nel 1976 annunciò la prima riunione di ex prigionieri e giapponesi sul ponte, in segno di amicizia e riconciliazione. Alcuni veterani britannici minacciarono di ucciderlo. Ma lui tenne duro. E il giorno stabilito, tre inglesi, diciotto australiani, due americani e cinquantun giapponesi attraversarono il ponte, scortati dalla polizia che temeva disordini. La cerimonia venne ripetuta quasi ogni anno. Nel 1986, Nagase cominciò a prepararsi spiritualmente per l'inaugurazione del tempio Kwai, rasandosi il cranio e camminando a piedi scalzi. E scrisse a Babb: «I miei piedi sono freddi ma la mia anima sta diventando sempre più limpida». John Ezard Copyright «The Guardian» e per l'Italia ■■La Stampa» «Non scorderò mai gli orrori che vidi al campo sul Kwai» «Sono diventato fratello dell'uomo che vidi torturare» ritrovarono dopo la guerra, in ruoli rovesciati. Il cappellano era stato mandato a identificare i corpi dei britannici morti nella giungla. Nagase era allora prigioniero degli alleati ed era stato assegnato ca. Le lettere di Nagase lo aiutarono a ritrovarla. Nagase gli scrive¬ re lIndia. La sua fe«Sono diventato fratello dell'uomo che vidi torturare» v.

Luoghi citati: Giappone, Gran Bretagna, India, Italia