Torna Murat tarantella per una rivoluzione

orna Murat, tarantella per una rivoluzione Al Festival di Positano teatro, musica e danza per raccontare il re di Napoli e la sua utopia orna Murat, tarantella per una rivoluzione Si innamorò dell'idea di un'Italia unita: fu l'errore fatale POSITANO RA bello, aveva riccioli capricciosi e occhi dolci, 'ofetiente. Era spavaldo, fortunato e magnanimo, «A volte per le pulci / a per i guai / Gioacchino can- o re. volte Murat non dormiva mai», tavano i lazzaroni. Le donne si gettavano ai suoi piedi presentandogli suppliche e pretendendo miracoli, perché quando entrò a Napoli aveva la «faccia gialluta»: itterizia, come San Gennaro. «Mirate al cuore, salvate il viso», intimò al plotone di soldati borbonici incaricato della sua esecuzione. Ottobre 1815: fine di una leggenda, in un angusto cortile sotto la mole del castello aragonese a Pizzo Cala- bro, dove Gioacchino era sbarcato con 30 fedelissimi e gli ultimi spiccioli per tentare l'impossibile rivincita. Sono le sue ultime parole a dare ii titolo allo spettacolo che ha debuttato con successo al Festival di Positano, e che verrà replicato ancora stasera e domani. Teatro, musica e danza per raccontare la vita, l'utopia di questo capitano di cavalleria diventato leggendario per le sue cariche di sfondamento a Marengo, alle Piramidi, ad Austerlitz. Sposo di Carolina, cognato di Napoleone, re di Napoli per sette anni, prima della restaurazione borbonica. Il testo e la regia di Ezio Alovisi ci conducono nella stanza dove Gioacchino attende la fucilazione: un'ora di tempo per ripercorrere la sua esistenza. La devozione a «Dieu, la gioire, les dames», la passione per i cavalli, le uniformi e per l'immagine di sé, con quella snowhite piume (piuma bianca) che esibiva nei ritratti ufficiali e che incantò Byron. Amò Napoli, offriva banchetti al popolo con un pollo a testa, timballo e ragù, mozzarelle e caffè. Ma costrinse «i baroni» a pagare le tasse e voleva distribuire le terre, iniziò a costruire l'osservatorio di Miradois, la strada di Capodimonte. Ma commise un errore fatale, si innamorò dell'idea di un'Italia unita. «La Provvidenza vi chiama infine ad essere una nazione indipendente, italiani. Non v'ho chiamato napoletani, calabresi, marchigiani, lombardi, ma italiani», scrisse nel proclama di Rimini della primavera del 1815, dopo la sconfitta di Tolentino. Insospettì tutti, Napoleone, i Borboni, gli inglesi, gli austriaci, e si ritrovò solo. «Si può dire che Gioacchino abbia anticipato il Risorgimento e che la sua voce abbia attraversato l'intero processo unitario italiano fin dal suo sorgere», ha scritto Antonio Spinosa che al mancato re d'Italia ha dedicato un'importante biografia. Non lo dimenticherà il popolo di Napoli, i suoi ex soldati, i pescatori da Positano allo Stretto a Messina, che annunciavano la sua venuta, quasi un Messia. Nascevano ritornelli e canzoni, alcune sono riportate da Benedetto Croce nella sua raccolta. «Tra Macerata e Tolentino è finito il re Gioacchino, / tra il Chienti e il Potenza è finita l'indipendenza». E mentre l'attore Vittorio Viviani, nipote di don Raffaele, affronta con tracotante regalità e vero dolore l'angoscia del ricordo e della morte imminente, il complesso guidato da Nando Citarella propone le musiche che 'o re volentieri ascoltava. Napoli capitale europea della musica, dove il colto e il popolare si incontravano, con evidenti prestiti reciproci. Ecco l'ouverture dalla Villana rico¬ nosciuta di Cimarosa, un anonimo Bolero spagnolo alla napolitana, poi Fenesta vascia, canzone del 1701. Un'ebbrezza, una nostalgia di suoni, una spietata tarantella ballata con l'innocenza di una Lolita da Sabrina Amato - «Les dames», ricorda il bel Gioacchino moribondo -, il grido di un lazzarone: «'0 re è tornato / e ci dà 'a Costituzione». Verrà invece «re Nasone», Ferdinando di Borbone. Una marcia del Pazzariello e l'eco triste di una tromba accompagnano il crepitio dei fucili: il re dalla piuma bianca, che voleva unire l'Italia, muore come un brigante. Destinato alla leggenda. Sandro Cappelletto Bello, generoso, spavaldo venerato dalle donne morì come un brigante fatto nascere in Giappone una mentalità da vittima e aver cancellato tutto ciò che è venuto prima. E' giusto? Sì. Per quanto concerne le vittime ella bomba atomica e quelle delimperialismo giapponese (le done costrette a prostituirsi per l'eercito nipponico, i massacrati di Nankino), U governo non sta dalla arte di chi ha sofferto. Adotta una osizione politica, cioè cinica. A Hiroshima è stato commesso un rimine e il Giappone si dichiara ittima di una forza temibile. E osì pensa di avere un carta da gioare nei confronti degli Stati Uniti del resto del mondo (la rivinita della vittima): presentanosi come il primo Paese al j mondo ad aver subito un attaco atomico, si compera l'indulenza e mette fianco a fianco i due tipi di atrocità, cercando di nnullarli l'uno con l'altro. Ma si neutraliz- J gli aiuti Ma una senso: dzione cole armi nel 1994pilastri senso: ubolizionscuse uaver scagression«Per qpoqufroclec«QABello, generoso, spavaldo venerato dalle donne morì come un brigante e la regduconoGioacczione: percordevozidamesli, le udi sé, cme (pinei rit Napoleone e Gioacchino Murat che, re di Napoli per 7 anni, offriva banchetti al popolo e costringeva i «baroni» a pagare le tasse