Giulini e l'enigma di Schubert

Lingotto: trionfo Lingotto: trionfo Giulini e l'enigma di Schubert TORINO. Non poteva avere esito migliore il concerto per «Gerusalemme città della pace», tenutosi l'altra sera all'Auditorium del Lingotto: un'atmosfera di vera spiritualità, quella che non si limita a predicare ma produce fatti concreti, è scesa sulla sala nelle parole di Ernesto Olivero, animatore del Sermig, riflettendosi, subito dopo, nelle esecuzioni plastiche, rilevate e dense di concretezza formale che Carlo Maria Giulini ha doto della «Incompiuta» di Schubert e della «Quarta sinfonia» di Brahms. La sala era ben affollata, se non stracolma, e davanti a questo pubblico attentissimo e partecipe, l'Orchestra Filarmonica di Torino ha offerto una prestazione perfettamente all'altezza della eccezionalità dell'avvenimento. Giulini dirige ^Incompiuto» con grande tensione, scovando la partitura in profondità, a cominciare dagli accompagnamenti: cellule che ansimano sotto il canto per scivolare poi in primo piano, ingigantirsi, fino a spezzare, brutalmente, le meravigliose melodie. Con inconsueta chiarezza si sentiva, ad esempio, l'altra sera, l'accompagnamento sincopato del famosissimo secondo tema che sarebbe una melodia innocente se non fosse così stranamente incalzato da quella serie ininterrotta di palpitazioni. Ma qui sta il senso della sinfonia: rappresentare l'enigma schubertiano per eccellenza, quello della morte e della fanciulla strettamente avvinghiate, il mistero della bellezza destinata ad essere implacabilmente distrutta. L'esecuzione di Giulini ha colto questo dramma, lasciato da Schubert volutamente irrisolto, con rara potenza, uno spessore di suono e un senso della forma che, personalmente, mi hanno ripagato del fatto di non aver mai potuto ascoltare Furtwangler. Ugualmente grandiosa è parsa, nella seconda parte della serata, la «Quarta» di Brahms, sfaccettata in tutta la ricchezza delle sue prospettive, immagine del mondo e delle sue contraddizioni che l'eroismo borghese dei compositore non risolve, come quello beethoveniano, in senso idealistico, ma domina, stoicamente, con sguardo fermo e disincantato. Giulini ha mostrato come l'interprete debba e possa trovare, davanti a questa partitura, la quadratura del cerchio: da un lato illuminare la miriade di particolari, esplorare le piccole anse in cui va a sfociare, e talvolta sembra arrestarsi, la corrente sinfonica; dall'altra far vedere con quale ferrea logica quei particolari stiano assieme e definiscano la geografia del vastissimo territorio rappresentato dai quattro movimenti. Questo produce un equilibrio tra visione generale e ingrandimento dei dettagli che dà respiro al tutto, rendendo scorrevole il discorso brahmsiano che può, altrimenti, incepparsi ad ogni passo. L'Orchestra Filarmonica di Torino ha seguito il grande direttore con duttilità e precisione, ma anche con una ricchezza e trasparenza di suono che la pone ormai tra le più mature orchestre italiane, in Brahms e nella famosissima pagina dalla «Rosamunda» di Schubert che Giulini ha diretto fuori programma, concludendo la serata nel segno del più irresistibile incanto melodico. Paolo Gallarati

Luoghi citati: Gerusalemme, Torino