La banda dell'Aids libera per legge di Ezio Mascarino
Torino: hanno ottenuto gli arresti domiciliari. Il giudice: sono ammalati, devono uscire Torino: hanno ottenuto gli arresti domiciliari. Il giudice: sono ammalati, devono uscire La banda dell'Aids libera per legge Ma prima sfascia la stanza d'ospedale TORINO. Sono arrivati con le manette ai polsi. L'orologio al posto di guardia delle Vallette segnava le 11,10. Antonio La marra è sceso per primo dal cellulale che si era fermato nel cortile del carcere. Si appoggiava ad una stampella. Si è lamentato con un carabiniere della scorta: «Questo piede mi fa male, temo di rimanere zoppo». Poi è sbucato Ferdinando Attanasio. Ha sorretto il compagno: «Dai Cucciolo, coraggio, andiamo». E assieme sono saliti al primo piano, sala dei magistrati. Per le scale hanno incontrato il loro difensore, Wilmer Perga: «Avvocato, per capirci: noi siamo innocenti, noi siamo ammalati, noi fra poche ore siamo fuori». E' così è stato. Hanno ottenuto gli arresti domiciliari. Stava facendo buio quando hanno lasciato il carcere delle Vallette. Li accusano i soldi presi dalla banca, il film con le immagini delle loro rapine, quando saltano il bancone, quando minacciato impiegati e clienti, quando fuggono con il bottino. E il magistrato, pur ritenendo valide tutte quelle prove, ha dovuto applicare la legge. Antonio Lamarra è affetto da Aids conclamato dal 1994; Fernando Attanasio dal '92. Non possono restare in carcere. E il magistrato, sul foglio intestato Repubblica Italiana, ha scritto: «Agli arresti domiciliari». Poi la sua firma: Federica Gallone. La dottoressa Gallone è giudice per le indagini preliminari. Lei, ieri, doveva soppesare gli elementi di accusa raccolti dal vicequestore Salvatore Mulas, capo della Mobile e valutare gli eventuali elementi di difesa forniti dall'avvocato. Cronaca di quella udienza. Cucciolo Lamarra e Ferdinando Attanasio si sono seduti su una panca, accanto alla gabbia degli imputati. Il segretario li identifica. Nomi, cognomi. Quando gli viene chiesta la professione, Attanasio sorride. Mormora: «Ma che cosa devo fare? Aspetto di morire». A lui si rivolge con severità la dottoressa Gallone: «Proprio io le avevo concesso, pochi mesi fa, gli arresti domiciliari. Certo che dar fiducia a lei significa farsi tradire». Attanasio ribatte: «Che cosa posso fare per vivere? Io mangio tutti i giorni, lei no?». Si comincia con Cucciolo Lamarra. L'accusa: rapina. Lui ride: «Ma come potevo farla con queste stampelle?». Poi: «Comunque mi avvalgo della facoltà a non rispondere». Il gip parla con il difensore, poi: «Lei è ammalato, Aids conclamato. Non può restare in carcere. La metterò agli arresti domiciliari. Magari in casa dei suoi genitori». Cucciolo si arrabbia: «No, lì non ci vado, piuttosto resto in carcere». Perché? «Loro non mi vogliono, non posso stare in quella casa. Mi controllano, giorno e notte. Voglio restare in carcere». Interviene l'avvocato Perga. Lo convince: «Lei non può rimanere in carcere, il magistrato violerebbe la legge». Lamarra alla fine accetta: andrà in casa della convivente. Tocca ad Attanasio. Si alza, si avvicina al tavolo dove siede il magistrato. Dunque, ammette di aver commmesso quella rapina? «Signor giudice, mi avvalgo della facoltà a non rispondere». Questa volta la dottoressa Gallone non vuole perdere tempo: ha un indi¬ rizzo per gli arresti domiciliari? Attanasio ride: «Mi metta sotto un ponte». No, replica il magistrato, non facciamo battute. Voglio un indirizzo, di parenti, dei suoi genitori. «Nessuno mi ha mai aiutato, mai, signor giudice. Non trovo lavoro, sono stato quindici anni in carcere, chi vuole che adesso pensi a me?». L'avvocato suggerisce di andare dai genitori. L'indirizzo, chiede il segretario per verbalizzare. Attanasio: «Non lo ricordo, ve lo farò poi sapere». Il segretario scrive, il giudice delle indagini preliminari sottoscrive. Antonio Cucciolo Lamarra e Ferdinando Attanasio possono lasciare la sala udienze. Scendono assieme, il loro difensore chiede che cosa era accaduto in mattinata all'ospedale Amedeo di Savoia, dove erano stati ricoverati dopo l'arresto. 1 due alzano le spalle: «Niente». E se ne vanno. Era accaduto questo: alle 9 hanno allagato la stanza aprendo i rubinetti, poi divelto un'inferriata, bucato la controsoffittatura e oscurato la telecamera interna. E infine hanno tentato di salire sul tetto del padiglione, incitando altri detenuti a seguirli. Sono stati fermati. Perché la protesta durata un'ora? «Vogliamo essere interrogati dal gip ed essere subito scarcerati. Vogliamo anche il pacco che i parenti hanno portato ieri e che non ci è stato consegnato». Breve trattativa. Hanno ricevuto quei pacchi. Le indagini. Continua la caccia per arrestare Sergio Magnis. E identificare il quarto complice, ancora sconosciuto. Il commissario Sergio Molino, capo della sezione rapina, dice: «E' questione di ore, anche lui avrà un volto». Qualcuno lo ha visto: 30 anni, capelli ricci. Non abita a Torino. Mezz'ora dopo l'assalto alla banca di Druento si è allontanato dalla città in treno. Di più gli uomini della Mobile, per ora, non vogliono dire. Ezio Mascarino A sinistra Antonio Lamarra e Sergio Magnis
Luoghi citati: Repubblica Italiana, Torino
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