il mio cinema è zero di Lietta Tornabuoni

Taormina Cinema: la rabbia del direttore Taormina Cinema: la rabbia del direttore GHEZZI // mio cinema e zero ROMA. «Volevamo chiamarlo "Quel che passa il convento". Invece lo chiameremo "Taormina Zero"», scherza Enrico Ghezzi, creatore di «Blob», inventore d'un nuovo modo frammentato ed emotivo di guardare i film, direttore artistico di Taormina Cinema. Ma di scherzare ha poca voglia. Dopo tensioni, attese, delusioni, rabbie, scontri burocratici, quella che doveva essere la sua quinta edizione della manifestazione si riduce da una settimana a tre serate al Teatro Greco (28, 29, 30 luglio) e poco di più a Messina: i fondi della Regione Siciliana troppo tardivi e problemi giudiziari d'avvisi di garanzia non hanno permesso di fare altrimenti. Oppure ci sono ragioni diverse, magari politiche? «Era già apparso chiaro che, forte del miliardo e mezzo con cui contribuisce a Taormina Arte, la Provincia di Messina, governata a maggioranza da Alleanza nazionale, voleva una revisione di uomini e direttori. Gabriele Lavia è stato sostituito da Giorgio AJbertazzi, sostenuto da Alleanza nazionale; per il cinema si sentiva parlare di Pasquale Squitieri o di Franco Zeffirelli, che magari hanno tutt'altro da fare e neppure lo sanno. Insomma, pareva che la loro idea fosse: azzeriamo e rilottizziamo. Che il festival non si facesse pareva gli interessasse poco: quest'anno affondiamolo, l'anno prossimo diventerà nostro. Ma insieme con eventuali ragioni politiche c'era il solito costume: l'abituale sconsideratezza e imprevidenza organizzative, la leggerezza nel considerare i problemi, la casualità anche bonaria, la trascuratezza non malintenzionata, la sottovalutazione totale di cosa voglia dire fare un festival cinematografico. E i tempi sempre più ridotti: il primo anno partimmo di corsa alla "Fuori orario" e quella velocità da pazzi maniaci è stata presa per normale ("Tanto sono bravi, ce la faranno"). L'anno scorso abbiamo dovuto organizzare tutto in un mese e mezzo. Quest'anno non avevamo più di quindici giorni: impossibile. Le difficoltà non ci hanno mai spaventato, neppure l'impianto d'aria condizionata che dopo due giorni si bloccava lasciando la gente a boccheggiare, neppure i pasticci nelle proiezioni dei primi due anni, ma stavolta alle fatali accuse di confusione, accumulazione caotica, "ultimomomentismo", abbiamo preferito lo strappo: niente festival, soltanto tre serate di programmazione. Forse, in dicembre, faremo un veglione di Capodanno lungo quattro giorni, un seminario-festivalfesta di film con Benigni, Chiambretti». Oltre le difficoltà burocratiche o politiche, ha avuto opposizioni culturali? «Non certo dal pubblico, costantemente crescente: alla tradizionale platea turistico-politica si sono aggiunti tanti ragazzi arrivati da Catania o da altre città. Soltanto alcuni lamentavano la lesa maestà del Teatro Greco contaminato dal nostro modo di guardare il cinema, dalla nostra mescolanza di generi, stili e durate, dalla nostra somma di film popolari e raffinatissimi, corti e lunghi, originali e di montaggio, di fiction e di documento...». Una tecnica molto imitata. «Giustamente imitata ai festival di Cannes e di Locarno, alla Mo¬ stra di Venezia dove però non amo la rassegna "Finestra sulle immagini" considerata come un recinto di cose curiose. Inevitabilmente imitata. Il pubblico dei festival s'è fatto molto esigente, si aspetta sempre di più. I festival si moltiplicano, e non si può seguitare a nutrirli di falsi inediti né di restauri risibili. I film nuovi adatti diminuiscono, e i festival non possono continuare a contendersi e strapparsi gli stessi titoli coi trucchi anche più sleali e volgari. L'elemento centrale d'una manifestazione è ormai un altro: il palinsesto, gli accostamenti e i contrasti, gli intrecci, le persone che presentano film e i loro perché, il mix». Nello «strappo» di Tao-cinema 1995, quali sono le cose perdute? «Nel mio festival virtuale c'erano ogni giorno una retrospettiva di tre-sei film scelti e presentati personalmente da gente come Roberto Benigni, come Ray Bradbury, come Madonna alla quale avevo chiesto di scegliere opere erotiche, come Mario Martone e Nanni Moretti a cui avevo chiesto una scelta generazionale. Speravo d'avere per la prima volta una presenza del cinema italiano, forte e di tendenza: il film di Cipri e Maresco che è un capolavoro assoluto, meraviglioso, tra Bresson e Ford, un "Freaks" di Tod Browning bressonizzato; "Buchi neri" di Pappi Corsicat.o che ò pure bellissimo, rischia tutto su un progetto molto folle; "Il verificatore" di Stefano Incerti, giovane assistente di Martone, un film fassbinderiano in una Napoli livida, nordica, oppressa». Di questo festival virtuale, cosa resta? «Ci sono Pedro Almodóvar e Mario Martone, che illustreranno una loro prediletta scena di film. Qualche filmone: "Il villaggio dei dannati" di John Carpenter, un rifacimento di serie B-Z; "Dumb and Dumber", "Beyond Rangoon", "Buttorfly Kiss". Poi "O convento" di Manool De Òliveira, "Haut bas fragile" di Jacques Ri vette: e se viene Rivetti; si potrà ridiscutere con lui la sequenza di "Kapo" di Pontecorvo che lo indignò tanto oltre trent'anni fa e di cui s'è riparlato in questi giorni. Sono straordinari i due montaggi di film dei Lumières fatti da Henri Langlois e "Criminals", un documentario del grande vecchio Joseph Strick sulle prigioni americane con alcune interviste ai carcerati durissime, insostenibili». Dati i guai e la sua decisione di diventare regista di film, vuol lasciare la direzione di Taormina Cinema? «No. Fuori dall'angoscia, con un minimo di garanzie, continuerei volentieri. Un festival, in fondo, è come un Iperfilm». Lietta Tornabuoni. Tre soli giorni di proiezioni «Siamo nel caos, viva lo strappo» Qui accanto Enrico Ghezzi. Foto piccole, a sinistra: Madonna e Nanni Moretti. Lei avrebbe dovuto scegliere opere erotiche; lui film della sua generazione. Ma Ghezzi ha dovuto rinunciare a tutto questo Qui accanto Piero Chiambretti. che dovrebbe fare un Capodanno taorminese lungo 4 giorni Foto piccole, a destra. Almodóvar e Martone: illustreranno la loro preferita scena di un film y ypppresenza del cinema italiano, forte e di tendenza: il film di Cipri e Maresco che è un capolavoro assoluto, meraviglioso, tra certi, giovane assistente di Martone, un film fassbinderiano in una Napoli livida, nordica, oppressa». Di questo festival virtuale, cosa resta? «Ci sono Pedro Almodóvar e Mario «No. Fuori dall'angoscia, con un minimo di garanzie, continuerei volentieri. Un festival, in fondo, è come un Iperfilm». Lietta Tornabuoni.