Lupi solitari tra le pallottole di Igor Man
Lupi solitari tra le pallottole Lupi solitari tra le pallottole Da Capa e Cartier-Bresson a Peter Arnett Se c'è un'immagine la notizia diventa Storia w E guerre possono copi minciare o finire, i polì tenti trionfare o cadere, i I ma l'unico fattore deterga minante, nel mondo, è arrivare primi con le notizie. La massima è di un grande reporter, Peter Arnett, e risale alla guerra del Vietnam. C'è un codicillo, sempre di Peter: se, poi, la notizia è arricchita da una foto si può anche pensare che noi giornalisti qualche volta si scriva la Storia. Peter Arnett, allora, lavorava alla Ap e vinse il Pulitzer per il suo lavoro di cronista coraggioso, anticonformista, dedicato alla verità anche la più sgradevole. Andando in giro con lui scoprii che, ogni tanto, riponeva il taccuino in una delle tante tasche di quelle complicate sahariane che i giornalisti acqui- stavano al mercato delle pulci di Saigon. Riponeva il taccuino per mettersi a fotografare. Dava bucature a tutti, lo odiavano, imparzialmente, i colleghi della concorrenza e i funzionari dell'Usis, Barry Zorthian in testa. Fu Barry, che sotto sotto lo ammirava, a battezzarlo the Ione wolf, il lupo solitario. Peter aveva sposato una vietnamita, Tu Nga che vuol dire Autunno. Bellissima, coraggiosa, Autunno qualche volta accompagnava Peter e un giorno lui la fotografò con in braccio un piccolo bambino vietnamita ferito, il candido ao-dai, il costume nazionale, lordo di quel sangue innocente. Quella foto, Peter non la spedì mai ai giornali. Posso farlo perché sono un reporter, non un fotoreporter, spiegò. Io sono padrone dei miei negativi, loro no. E' stato sempre così, anche per Bob (Capa), per Chini (David Seymour), Bill (V andivert) e Henri (Cartier-Bresson). E Papa (Rodger): i mitici fondatori della mitica Magnum. Superstite di quella straordinaria cronaca permanente per fotogrammi, Henri ha scritto che il fotoreporter è lo stenografo delle realtà. Giusto. Dicono che i fotoreporter siano, chi più, chi meno, un po' svitati: ricordo Ky Nhan, un giovine vietnamita /ree lance della Ap, che scattava in prima linea in un vortice di proiettili urlando bao chi (giornalista). Per esorcizzare la paura. I nostri Cozzi, papà De Biase e il caro Jim Pringle, romano di adozione, e tutti gli altri han sempre detto che l'obiettivo scaccia le pallottole. Ma non è proprio così: ce lo dicono le cronache della guerra di Bosnia sature di fotoreporter morti in servizio. Il fotoreporter più folle e più drammatico in assoluto è Angelo. Angelo e basta. L'ho visto lavorare in Salvador, anche lui un lupo solitario. Correva con una jeep modificata, uno straccio bianco a mo' di bandiera siili'antenna-radio, correva tessendo tutto il territorio di guerra, passando dai regolari ai muchachos e tutti, irritati dalla sua epica sfrontatezza, gli sparavano addosso. Una volta che per poco un tenentino dell'esercito non lo colse in piena nuca, Angelo frenò di colpo, bruciò il trattura a pazzesca marcia indietro, e infine, agguantato il tenentino, gli tolse la pistola e minacciandolo con quella lo fotografò inesorabilmente mentre strisciava invocando pietà. Che il Dio dei bambini ti aiuti, Angelo solitario, dovunque tu sia, caro furlan armato solo di Nikon, squassato da quella lucida follia che qualcuno chiama «amore del mestiere». Igor Man
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