E il fotografo andò alla guerra di Fabio Galvano
la memoria. Morto a 87 anni George Rodger : fondò la grande agenzia la memoria. Morto a 87 anni George Rodger : fondò la grande agenzia E il fotografo andò alla guerra Magnum, nel mirino la ferocia del mondo LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Decise che la guerra non faceva per lui quando nel 1945 entrò a Belsen. «Quando scoprii che potevo guardare l'orrore dei quattromila cadaveri viventi attorno a me - amava ricordare ai fotografi delle ultime leve - e che l'unica cosa a cui pensavo era una buona inquadratura, capii che mi era successo qualcosa, e che era ora di finirla». Dopo essere stato uno dei grandi testimoni fotografici dell'ultimo conflitto, George Rodger decise quel giorno che mai più avrebbe ritratto scene di violenza. Ma non immaginava certo che di lì a due anni, nel 1947, avrebbe fondato con tre illustri partner - Robert Capa, Henri Cartier-Bresson e David Seymour - l'agenzia fotografica che proprio nelle guerre sarebbe brillata, e che a tutt'oggi resta la più celebre e forse la migliore: la Magnum. Rodger è morto lunedì nella sua casa del Kent, a 87 anni, portando con sé migliaia di immagini che attraverso gli anni avevano fatto il giro del mondo: il blitz di Londra, «rincorso» in auto dopo avere visto a Dover, seduto in un prato, gli aerei della Luftwaffe che passavano, diretti verso la capitale; il bombardamento di Coventry; quel pugno allo stomaco che lo aveva atteso dietro i cancelli di Belsen. Aveva seguito la Legione straniera in Eritrea, l'esercito indiano in Etiopia, gli americani in Italia, i cinesi in Birmania. Nel D-Day era sbarcato in Normandia con i tommies inglesi, poi aveva attraversato il Reno con Churchill e Montgomery. Ma soprattutto ha portato con sé il sogno della sua Magnum, nata come cooperativa idealistica di fotografi decisi a contrastare gli editori, a mantenere un controllo sull'uso del loro lavoro e soprattutto sulla scelta dei temi. Sarebbero state le esigenze di mercato, ma anche le menti delle nuove leve sgombre dei ricordi di Belsen, a riproporre immagini di guerra, inevitabilmente le più drammatiche. George Rodger ne fu turbato, ma cercò di superare lo sconforto di un mondo feroce e crudele cercando la pace fotografica fra le tribù nubiane, nelle montagne del Kordofan; oppure fra gli scavi archeologici in Medio Oriente, mentre altri registravano, poco distante, morte e guerre per un pezzo di terra. Soprattutto ha portato con sé lo stupore con cui, nel suo modo sempre affabile, reagiva di fronte a chi lo metteva su un piedestallo. «Se mi guardo alle spalle - diceva - non vedo nessuna spinta bruciante a fare il fotografo, semmai la piacevole sorpresa di avercela fatta». Figlio di un commerciante di cotone del Cheshire, era uno di quei ragazzi che non sapevano bene che cosa fare nella vita. Tentò il lavoro nei campi, ma né castrando maiali né mungendo vacche («Cercavo di suonare un preludio di Rachmaninov con gli zampilli del latte nel secchio, ma mi mancavano le note alte») si sentì appagato. Fece allora un paio di giri del mondo come allievo ufficiale sulle navi della Cunard, poi per sette anni - durante la depressione - fece l'operaio negli Stati Uniti. Fu al ritorno in Inghilterra nel 1936, aveva 28 anni - che cominciò a scattare fotografie: ritratti per il Listener, poi per la Bbc, infine all'agenzia Black Star dove si occupava di feste mondane e balli di beneficenza. Quando scoppiò la guerra voleva arruolarsi nella Raf; ma non ne ebbe il tempo. La rivista americana Life lo assunse come fotografo di guerra. Il resto è storia: una storia che George Rodger amava ricordare ai giovani fotografi che andavano a trovarlo, anche in questi ultimi anni, nella casa del Kent dove abitava con la seconda moglie Lois (la prima, Cecily, era morta partorendo nel 1949): raccontava e, guardando le loro foto con la lente, dava consigli e benedizioni. Come un santone, un nume sotto l'aureola della Magnum. Fabio Galvano Dopo aver visto le vittime di Belsen, decise che non avrebbe mai più ritratto la violenza Nella foto sopra George Rodger. A lato due suoi celebri scatti: da sinistra la fossa comune di Belsen nell'aprile '45 e Londra dopo un bombardamento nel '40
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