Diario intimo di Toscanini

Diario intimo di Toscanini Tornano in Italia le lettere alla Mainardi Diario intimo di Toscanini 1 LAMO siati in molti, lo scorso marzo, a imprecare m contro le istituzioni che an il cora una volta avevano la I h-Li sciato soffiare all'Italia un'interessantissimo pezzo di storia italiana. Si trattava della più eslesa e più importante raccolta di corrispondenza di Arturo Toscanini mai venuta alla luce: circa G00 lettere e 300 telegrammi inviati dal grande direttore d'orchestra negli Anni 30 a Ada Mainardi Colleoni, pianista e moglie del violoncellista Enrico Mainardi. Il carteggio fu venduto all'asta a Berlino a un anonimo collezionista tedesco, e il sottoscrìtto, che era stato mandato all'asta da una fondazione Svizzera disposta ad aiutare qualche museo o archivio italiano ad acquistare la raccolta, dovette assistere impotente alla vendita perche nessun musco o archivio italiano si era, mosso per averla Ma adesso c'è una buona notizia Per motivi personali il collezionista tedesco ha dovuto rinunciare al suo acquisto e i dirigenti della Stargardt si sono messi in contatto con la persona in Italia che più si era occupata della vicenda. E questa volta quella persona è riuscita a mettere d'accordo due privati: la Fondazione svizzera Stiftung Omina-Freundeshilfe e, a titolo personale, un professionista milanese che ha poi fatto donazione della sua «quota» alla Fondazione Sergio Dragoni. La raccolta verrà presentata al pubblico in autunno, e in quel momento si rivelerà anche la destinazione del carteggio e gli antefatti della faccenda. Non si trattava di un epistolario di natura puramente intima (la Mainardi, bergamasca di origine, fu un grande amore del maestro parmigiano), ma di una specie di diario degli avvenimenti e stati d'animo del musicista negli anni della sua massima celebrità mondiale. E poiché Toscanini non rilasciava interviste e non scrisse mai memorie o altre apologie, queste lettere assumono un'importanza davvero speciale. All'amatissima amica Toscanini scrive del suo lavoro con la Filarmonica di New York, i Filarmonici di Vienna, l'orchestra Walter-Straram di Parigi, la Bbc di Londra, la Nbc newyor¬ kesi' l.i neonata orchestra della Palestina (futura Filarmonica d'1sraele), ì festival di Salisburgo e Lucerna, e le scrive anche da altre citta ancora: Bruxelles, Stoccolma, il Cairo, l'Aia e via dicendo. Dovunque andasse le mandava le sue impressioni non solo di orchestre ma .un lir di direttori colleglli (Fritz Busch, Wilhelm Furtwangler, Hans Knappertsbusch, Willem Mengelberg, Brano Walter), di concertisti (Alfred Cortot, Edwin Fischer, Artur Schnabel, Branislaw Huberman, Adolf Busch, Yehudi Menuhin, ,lascila Heifetz, Gregor Piatigorsky e il proprio genero Vladimir Horowitz), di cantanti (Lotte Lehmnnn, tra quelli più famosi) e di compositori (Maurice Ravel, Jean Sibelius, Zoltan Kodaly, Mario Castelnuovo-Tedesco, Ildebrando Pizzetli). Le raccontava anche di amici letterati quali Gabriele D'Annunzio, Stefan Zweig, Emil Ludwig, e di statisti come Cluiim Weizmann. Alla Ada il suo «Arto» (come spesso si firmava), il quale aveva Rtt anni all'inizio della corrispon denza e 73 alla fine (la Mainardi era di trent'anni pio giovane), rac contava anche di personaggi del suo passato. Parlava di problemi di famiglia, dell'amore per i nipotini, del proprio caratteraccio e della paura di invecchiare male e di non poter più lavorare secondo i proprii standard, terribilmente esigenti. E parlava di politica, dell'odio per i nazisti e i fascisti, della disperazione per ogni nuova sconfìtta della democrazia in quegli anni bui, dal 1933 al 19-10. Le inviò un dattiloscritto di quattro cartelle che Benedetto Croce gli aveva mandato e descrisse Croce, come anche Zweig, come uomini «che hanno il corpo ben eretto - perché l'anima non e curvata». In una lettera del 1933 scrive «verità è sinonimo di liberta», ma sei anni più tardi, notando che pochi erano dello stesso parere, aggiunge: «Che orrore, come mi sento solo... sempre più solo». Che perdita sarebbe stata per la storia culturale del '900 italiano! Ma, una volta tanto, la vicenda ha un lieto fine. Harvey Sachs