«Parlerò deIl'OIgiata ma non verrò a Roma»

«Parlerò deIKOIgiata ma non verrò a Roma» L'imprenditore cinese coinvolto nel giallo «Parlerò deIKOIgiata ma non verrò a Roma» «Sono estraneo al delitto della contessa ma ho paura della giustizia italiana» ROMA DALLA REDAZIONE Ha paura Franklin Yung, l'imprenditore cinese che secondo i magistrati che ancora cercano l'assassino dell'Olgiata potrebbe sapere molte cose sull'omicidio della contessa Alberica Filo della Torre. Ha paura che «la giustizia italiana possa commettere un errore», anche se lui si proclama innocente e totalmente estraneo ad un «giallo» che dura da quattro anni. E così, il cinese manda a dire ai giudici che se vogliono interrogarlo si può fare ad Hong Kong, a New York oppure in un consolato italiano all'estero. Insomma, ovunque tranne che in Italia, dove da un normale interrogatorio si può passare in men che non si dica nella cella di un carcere. L'appuntamento fissato pur oggi nel palazzo di giustizia romano, dunque, è saltato. E se l'avvocato di Yung, Gianmichele Gentile, dice che l'invito a comparire inviato al suo cliente specificava che doveva presentarsi in compagnia di un difensore - facendo così intendere che l'uomo che quattro anni fa abitava pure lui all'Òlgiata è indagato nell'inchiesta per il delitto -, lui parla con il Tg2 e spiega che con la morte della contessa Alberica lui proprio non c'entra. «Non l'ho uccisa - dice Yung intervistato all'estero -, per quale motivo avrei avuto bisogno di ammazzare la contessa Alberica? Il motivo in questi casi è o di affari, o di soldi o di amore. Io non avevo alcuno di questi interessi, io non c'entro niente». Eppure c'è il problema dell'alibi, per la mattina del 10 luglio 1991, il giorno dell'omicidio. Secondo una ricostruzione, Yung sarebbe uscito dalla sua casa dell'Olgiata alle 8 per arrivare al negozio in cui lavorava intorno alle 9,30. Dalle prove effettuate risulterebbe che la di- Franklin Yung stanza tra casa e posto di lavoro di Yung si percorre in non più di 20 minuti; ne deriva un «buco» di almeno un'ora nell'alibi del cinese, che ribatte davanti alle telecamere: «Questa cosa non è vera, perché io sono partito da casa alle 8,30, e sono arrivato al negozio verso le 9. Non so l'orario, 20 o 30 minuti, però la verità è questa». Un altro motivo di sospetto nei confronti del «cinese dell'Olgiata» è l'allontanamento dall'Italia, una partenza che sa di fuga avvenuta nel febbraio scorso, giusto pochi giorni prima di quando magistrati e investigatori hanno cominciato a cercarlo. Ma anche questo, a sentire Yung, non è vero: «Io ero già stato in Cina e in America per lavoro, prima che i giornali facessero il mio nome. Io sono partito da Roma il giorno 17 febbraio, non dopo. Che mi cercavano l'ho sentito dal mio avvocato solo il 24 febbraio». Ma no- nostante questa ostentata sicurezza, l'imprenditore confessa che non se la sente di consegnarsi semplicemente ai magistrati che indagano sul delitto dlel'Olgiata: «Io voglio tornare in Italia il prima possibile, perché sento la mancanza dei miei figli. Mi fido della giustizia italiana però, avendo paura che la giustizia italiana possa commettere qualche errore contro di me, non lo faccio. Io non ho ammazzato la contessa Alberica, non c'entro niente con questa storia». A difesa del suo cliente, l'avvocato Yung ha consegnato al procuratore aggiunto di Roma Italo Ormanni, che coordina l'inchiesta, una fotocopia del passaporto dell'imprenditore cinese con le date dei suoi spostamenti, e 'ndicato alcuni testimoni che sarebbero pronti a confernare l'alibi di Yung per la mattina del 10 luglio 1991. Fra questi, il padre dell'imprenditore e la servitù delle ville di Ischia e dell'Olgiata. Franklin Yung