La Spagna non vive solo di Mirò e Dali

La Spagna non vive solo di Mirò e Dali A Verona arrivano i surrealisti, con molte sorprese La Spagna non vive solo di Mirò e Dali V~| VERONA NA buona idea, una volta tan Ito, d'importare anche in Italia una mostra intelligente che, partita dal Reina Sofia di Madrid, lascia questa settimana la KunstHalle di Vienna per trasferirsi a Palazzo Forti di Verona, dove sarà inaugurata il 28 luglio (catalogo Skira). La storia dell'arte nostrana (ma non soltanto) è fatta anche di pigrizie, di sacche di disinteresse. Per esempio, siamo abituati a considerare il surrealismo spagnolo come qualcosa di assolutamente episodico, legato soprattutto a due o tre nomi internazionali, che tra l'altro hanno esplicato il loro credo d'avanguardia soprattutto in ambiente francese: e cioè gli imprescindibili Buriuel, Dall' e Miro (qualcuno ci mette an- che discutibilmente Picasso, qualcun altro più sofisticato anche e giustificatamente Oscar Dominguez, il maestro delle forme forti, da cui Picasso stesso «sarebbe andato a scuola di scultura», lui che era capace di trarre dal manubrio di una bicicletta uno splendido monumento al toro e alla corrida). Ma il surrealismo spagnolo era qualcosa di ben più complesso e di capillarmente agglomerato (un po- co come succedeva in un'altra ansa per così dire «provinciale», il Belgio): e questo vuole documentare appunto la ben concertata mostra sui Surrealisti spagnoli. Del resto, anche la mostra a Trento su Romanticismo e Natura aveva dimostrato che pure nella lontana e misteriosa per noi Spagna esistevano all'epoca fermenti e correnti di gruppo, così come un'altra miziativa svizzera aveva ben docu¬ mentato, all'interno di insospettate realtà nazionali, la fervente presenza di un impressionismo spagnoleggiente. Non avrebbe senso redigere qui un elenco di nuove e sconosciute personalità, tolte dall'ombra della nostra ignoranza, non rimarrebbero che nomi. Qualcuno conosciuto in parte, come Julio Gonzàles o come De Lekuona (morto troppo giovane, ed autore anche di rivoluzionari fotomontaggi fotografici d'avanguardia, cui Barcellona dedicò anni fa una interessante retrospettiva); ma ci sono pure nomi completamente da scoprire, come Mallo, con i suoi brontosauri preistorici e la sua pittura impiombata, fatta anche di architetture minerali e di materiali escrementizi, che può ricordare certi pianeti vaganti di Magnelli; oppure Joan Massanet, che ruba a De Chirico certe piazze incantate con statue instupidite dalla calura e poi Palencia, con le sue forme amorfe e le tentazioni polimateriche del pietrisco e della carta-vetro, ripresa da Mirò. Se qui Picasso viene considerato tout court un surrealista almeno sino a Guemica (e cioè sin quando l'onirismo bretoniano di maniera si trasforma in Surrealismo al servizio della Rivoluzione, per parafrasare il titolo storico di un manifesto emblematico) e se di Dali si documenta il gusto morboso dei la bleaux vivants masochistici e fotografici con Gala, in cui il corpo vivo diventa scultura, materia artistica da plasmare, da far attraversare da oggetti kitsch e da fantasie androgine, è ben sensato far nascere lutto (non soltanto la mostra) dalle costole di Mirò, che con molte opere del 1925 (ad un anno soltanto dal manifesto ufficiale del Surrealismo) dimostra che aveva capito tutto e quanto aveva anticipato. La pittura monocromatica di Klein e di Rauschenberg, con La peinture bleu, per esempio. Ma anche Magritte, con quel Ceti est la couleur de mes réves: un universo annegato nell'ironia della pura pennellata, una macchia blu da cui pescare «arte». La libertà assoluta dei possibili: il grumo di colore come buco nella tela-tavolozza e tutte le partenze possibili. L'arte come tabula rasa del Bello. Marco Vallerà Un'opera di Dali al centro della mostra di Verona. Insieme a Mirò è lui il maestro riconosciuto dei surrealisti spagnoli, molti dei quali costituiscono vere sorprese per stile e originalità