Anche il sindacato vince con l'accordo di luglio di Alfredo Recanatesi

P OLTRE LA LIRA Anche il sindacato vince con Vaccordo di luglio RENDENDO luna per l'altra le reazioni di parte sindacale al confortante dato sull'inflazione di luglio, emerge una posizione singolare. Un conto, infatti, è essere cauti nel valutare il dato di un mese il quale, naturalmente, non esclude che qualche altro strappo sui prezzi possa ancora verificarsi nei mesi a venire; altro conto è confinare quel dato tra le anomalie statistiche per sostenere, in definitiva, che non significa niente, che non c'è da fidarsi, che il futuro rimane dominato da una prospettiva di inflazione elevata. Evidentemente i sindacati prevedevano, come molti altri, che l'inflazione raggiungesse e magari sfondasse il muro del 6%; e ci contavano per rendere più manifesto lo scostamento dell'inflazione reale rispetto a quella che era stata programmata e, accordo di luglio alla mano, rivendicare un recupero del potere d'acquisto perduto. Se questa è la logica implicita nelle valutazioni espresse dal sindacato, la situazione è più complessa di quanto si poteva ritenere, poiché dimostrerebbe l'incapacità di produrre una reazione coerente ad un problema al quale non può non essere riconosciuto un qualche fondamento. Il problema è che la maggior parte delle retribuzioni del lavoro dipendente hanno perso potere d'acquisto: in termini reali sono rimaste stazionarie o si sono addirittura ridotte. In quanto la stagnazione salariale ha compresso la domanda intema, la stasi o l'arretramento dei redditi reali si sono estesi a molti settori del lavoro autonomo. La circostanza che da quando la ripresa produttiva è partita ai salari si sono aggiunti proventi anche consistenti per gli straordinari o per specifici accordi aziendali, non sposta di molto i termini del problema dal momento che ha riguardato una piccola minoranza di lavoratori. Rimane, quindi, il fatto che la perdita o la stazionarietà del valore reale delle retribuzioni ha colpito la parte decisamente maggioritaria dei lavoratori e che ciò è avvenuto in una economia in sensibile crescita nella quale il reddito prodotto sta proporzionalmente aumentando. Rientra pertanto nella normale dialettica sindacale, e nella fisiologia dei sistemi capitalisti, che una quota di questo reddito venga rivendicata a beneficio del fattore lavoro che indubbiamente ha concorso a produrlo. L'interesse dei lavoratori, tuttavia, non consiste soltanto nell'acquisizione alla retribuzione del reddito aggiuntivo disponibile o di una parte di esso. Anzi, l'evoluzione culturale segnata dall'accordo di luglio è stata proprio quella di concepire e salvaguardare, l'interesso del mondo del lavoro in maniera molto più articolata, non esaurendola alla sola entità del salario o alla sua quantificazione nominale. L'interesse del mondo del lavoro era stato individuato anche (e in alcune circostanze soprattutto) nella dinamica dell'occupazione, da intendere sia come creazione di nuovi posti di lavoro e come pro- nami I tendi I nuov spettiva di stabilità di quelli già esistenti, sia nella salvaguardia del potere d'acquisto dei salari e, quindi, nel controllo dell'inflazione. Se queste concezioni sono ancora valide, la ripresa produttiva e la crescita del reddito prodotto giustificano una rivendicazione sindacale, ma articolata su tre componenti: salario, occupazione, stabilità dei prezzi. Un bilancio di quanto in proposito è accaduto dall'accordo di luglio ad oggi potrebbe indurre valutazioni negative: i salari reali si sono ridotti o sono rimasti stazionari, l'occupazione non è salita o è salita troppo poco, l'inflazione è ripresa. Ma c'è un'altra chiave di lettura, forse più oggettiva: se si tiene conto della grande ripulitura dell'occupazione marginale o antieconomica che in questi anni è stato necessario fare, si può ben dire che l'occupazione ha tenuto e che il ritardo col quale sta seguendo la ripresa produttiva è comunque spiegato; così come, se si tiene conto della inusitata svalutazione della lira, un'inflazione che per qualche mese sia tornata al 5-6% costituisce pur sempre un risultato insperato. Insomma, anche nell'ottica sindacale, l'accordo di luglio ha funzionato; forse finora si è visto poco, ma in questi mesi, anche questa visibilità va diventando più evidente. E allora, puntare ad esaltare la percezione dell'inflazione per ottenere aumenti contrasta con la logica degli accordi di luglio e con le positive conseguenze che ha prodotto anche per il mondo del lavoro, e pertanto non trova alcuna giustificazione se non quella di appagare le istanze di quanti lavorano nelle aree più dinamiche dove il reddito sta notevolmente crescendo e dove non c'è più disoccupazione. A queste istanze va riconosciuto un fondamento e questo, dunque, è il problema di oggi: riaffermare nelle aree favorite dalla ripresa la validità degli accordi di luglio e le ragioni della loro logica sia, nell'immediato, per l'interesse del sistema economico nazionale nel suo complesso, sia, in prospettiva, per il loro specifico interesse, poiché se il reddito aggiuntivo non viene impiegato per consolidare questa ripresa estendendola omogeneamente su tutto il territorio nazionale, qualche nube finirà per addensarsi anche sulle aree più favorite. Non è facile, ma proprio per questo il sindacato non può essere lasciato solo col rischio che, quand'anche rimanga coerente con lo spirito e la logica degli accordi di luglio, perda consensi e rappresentatività proprio nelle aree più avanzate e dinamiche del Paese. Alfredo Recanatesi esi