IDENTIKIT CRITICO DEL NUOVO CRITICO

IDENTIKIT CRITICO DEL NUOVO CRITICO IDENTIKIT CRITICO DEL NUOVO CRITICO dolente? Lo stesso Onofri (giustamente) giudica robusto, in quanto assiduo e fedele, Stefano Giovanardi. Aggiungerei i nomi di Giorgio Ficara e Giorgio Patrizi, il primo un po' confinato in un suo sogno classicista, il secondo in un suo «moralismo dell'avanguardia». tenerne in vita almeno uno, il primo, che dell'arte offre una versione degradata e gestuale, i più giovani reagiscono al suo stesso materialismo, sempre più spesso rovesciato dalla tentazione idealistica del sistema, della sintesi; e al materialismo di ciò che chiamano semiologia, strutturalismo, formalismo: accusati di negligere il senso. Aspettando la fine si fa pressante la richiesta di «valori», ritorna il «primato della vita», altrettanto idealistico che il primato della letteratura (o del saggio): di qui i rovesciamenti forti di Onofri, il suo razionalismo; e lo spiritualismo di Trevi e Colasanti. Fateci caso, Trevi per parlare di Rodenbach, parla solo di Petrarca: il testo è lontano le mille miglia, forse non lo ha neppure letto, che bisogno c'è? Ciò che conta è non più il «grande stile» ma il disegno, così grande da risultare vacuo. E questo, lo spiritualismo, è una nemesi storica della impotenza precedente. L'altra faccia della medaglia, l'altra mera reazione fisiologica, è non il meschino ritorno a Beltramelli e Panzini, come è apparso ad Arbasino, ma certamente un «ritorno a casa», un riaffondare nelle radici linguistiche e, insomma, anche qui, una reazione al cosmopolitismo, poi degenerato in astratto internazionalismo (negli Anni Ottanta). Quello che accade nel mondo, accade nella letteratura: tutti hanno nostalgia (o fingono di averla) della propria identità. E insomma: tutto qui, in ciò che è storicamente fisiologico, in ciò che è seconda natura? Naturalmente no. Se Onofri è un energico e acuto storico delle idee, sulla scena sono apparsi due critici, due «lettori» di una purezza e di un'altezza indubitabili. Guardate con che pietà Eraldo Affinati affonda la sua spada nella umiliata vicenda di Ottieri [Nuovi Argomenti n. 41 e ne restituisce alla storia il senso; e guardate uno qualunque dei saggi di Raffaele Manica, su D'Arrigo ('871, su Parise ('94), su Coinisso ('951, guardate con che devozione costruisce la sua «spola infinita» (è un titolo di Michele Perriera), luminosa e tremante, e con essa avvolge e protegge il suo testo, e lo consegna a nuova vita. Gianfranco ( 'ontini e (fotopiccola) ('race tra iprotagonisti di «Ingrati maèstri» di Massimo ( Inafri Il lungo sonno della critica ebbe termine nel 1991, con la Storia di Ferroni; e; come sempre succede, l'abbattimento di una specie di tabù fu come l'abbattimento di una diga. Le acque si riversarono. La critica ridivenne se non un privilegio, una necessità. Ma necessità, di che? Io credo: di bilanci. Ci avviciniamo alla fine di un secolo. Le energie creative, inflazionate, segnalano invero una sterilità. Poco meno che fatale che il discorso critico prenda il sopravvento anche con nomi di scrittori di napoletano snobismo come Silvio Perrella, alla ricerca di un suo classicismo novecentesco; o obiettivamente insignificante come Lagazzi, La Porta, Leonelli. E, a pensarci adesso, non meno necessario che esso, il discorso critico, abbia quella certa coloritura che è la stessa di Ingrati maestri. Mentre Berardinelli, fedele alla rivista Linea d'ombra, abbandona l'università perché nel suo stemma, «l'esteta e il politico», il secondo termine è venuto meno e la sirena dell'arte è potente, egli deve man¬ cennio 1968-1980 vi era stato un lungo sonno del romanzo, quello della critica fu più lungo. Scrittori e popolo di Alberto Asor Rosa, del 1965, fu l'ultimo libro a provocare discussioni. Poi, nel firmamento della critica, apparvero stelle che brillavano di luce propria, ma di sé appagate, che non avevano influenza (Baldacci, Garboli, Mengaldo); o costellazioni (la neoavanguardia: Barilli, Giuliani, i due Guglielmi, Pedullà; ma anche: Arbasino, Manganelli, Sanguineti) che ne ebbero moltissima, ma in quanto, appunto, costellazione. La generazione successiva non ebbe critici. Se il romanzo non era un valore, come poteva averne il commento? Solo molto tardi si fecero riconoscibili Berardinelli e Ferron. Ma Berardinelli era un critico? Non era piuttosto un saggista e anzi, vista la sua inclinazione al meta-saggismo, un polemista «spettacolare», da vita rubata, assente? E Ferroni non era essenzialmente uno storico innamorato e Franco Cordelii CÌKNNAKO COSTANZO Un giovane sfido il mondo e soprattutto se stosso por ovoro più squilibrio o più armonio nello azioni; por diro a chi lo ama cho la boi lezzo e conveniente. ripostes uditore 190 Pag. £ I3XKX) Un romonzo di idee che scorre come uno poesio.

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