«Gli amori, il manicomio, il Bacchelli negato» di Bruno Quaranta

«Gli amori, il manicomio, il Bacchelli negato» «Gli amori, il manicomio, il Bacchelli negato» che tu e il minon u EMILANO CCO chi è, chi potrebbe essere, Alda Merini: l'Olona di un antico romanzo di Alpino, la gigantessa che con il randagio eroe Giuan onorava l'imperativo di sbriciolare le oscenità sparse sui muri della capitale morale, sostituendovi grani di sapienza, evangelica e veterotestamentaria. Lei stessa lo ammette, nell'autobiografia visionaria appena uscita per i tipi di Bompiani (La pazza della porta accanto, pp. 158, L. 13.000, a cura di Guido Spaini e Chicca Gagliardi): «Il libro che più mi ha ammaestrato è la Bibbia. E la Bibbia va letta così, aprendola a caso e chiedendo a Dio la risposta al proprio tormento». Spiega ora, inesauribile gomitolo di voce qual è: «La Bibbia è un'immensa enciclopedia del dolore. Il dolore che non è solo ombra, fatica, pena, ma ricchezza, fasto, sontuosità. Le pagine che prediligo? Quelle dove trionfa la sessualità, financo la lascivia, di cui il Cantico dei cantici è un salvacondotto eccelso, mirabile». E' una signora, Alda Merini: «Non potrei vivere senza sentirmi chiamare signora. Eppure tutti mi chiamano Alda». Indossa, rapida, un paio di orecchini, sbucati all'improvviso. Si allontana, gioiosamente imbizzita: «Che diamine, scordavo il rossetto...». Torna, civettuola, nell'officina che giorno dopo giorno riconosce in lei un «vassallo del dovere di scrivere». E' il salotto di Gozzano rivoltato, frullato, messo sottosopra da un uragano, una miscela di estro e di civilissima furia per come gira l'universo mondo: c'è la longeva Olivetti e la gigantografia di Totò, c'è il carrettino siciliano e la bottiglia vuota, e le figure enfiate di Boterò. «Sa che cosa mi è successo? Vengo presentata a una testimone di Geova: "E' la signora Merini, la maggiore poetessa italiana". E lei, l'eletta, la fortunata, non nasconde lo stupore: "Eppure è abbigliata come me". E ha ra- gione: non merito forse l'applauso, lo scettro, il broccato? Perché devo subire l'orgoglio del lattivendolo, ostinato nel ricordarmi: "Anch'io compongo versi"?». Meriterebbe, la signora, la corte di una granduchessa russa o gli onori tributati alla regina degli zingari. E invece raccoglie affronti. Il cruccio dei crucci è la legge Bacchelli, il vitalizio che non vuol saperne di ancorarsi qui, nella casa acciaccata, sentinella fané di un Naviglio impigrito («Milano dai vorticosi pensieri / dove le mille allegrie / muoiono piangenti sul Naviglio»): «Miserrimi, maleducati, insensibili: li conosciamo i politici. Ma lo schiaffo non lo hanno dato alla Merini. Hanno offeso e umiliato gli amici che non si stancano^i^orreggerrni'. Penso a Volponi: si avviava a morire e intercedeva ancora per l'Alda. E a Maria Corti, a Manconi, a Giovanni Raboni...». «E allora il poeta deve parlare, deve prendere questa materia incandescente che è la vita di tutti i giorni, e farne oro cola¬ SI potrebbe vedere Ingrati maestri di Massimo Onofri, edito da Theoria (pp. 175, L. 18.000) da un punto di vista stilistico come la frase si dispieghi, voluminosa ma asciutta, e nonostante l'abbondanza delle subordinate, sappia infallibilmente riacciuffare se stessa; o quell'uso frequente di aggettivi, lucido, avvertito, di derivazione accademica, un po' quaresimale. Oppure, lo si potrebbe leggere, come esclusivamente è stato fatto, dal punto di vista dei suoi, per così dire, contenuti: ahi, quel Contini oltreggiato (con le fatali difese dell'autore: ma io parlavo solo del novecentista, non di quell'altro, io parlavo di Pizzuto e del pizzutismo - pronunciato con la solennità di un Porfirio che risponda a un Giamblico sui «misteri d'Egitto»); o l'eterno dilemma italiano: Crocenon Croce, Croce fu un grande maestro, finalmente è tornata la sua ora, maneggiatelo con cura, ecc. Infine, ci si potrebbe accodare alla lista delle lodi o delle rampogne: giovane ardimentoso quell'Onofri, che ebbe il coraggio di rivalutare Giuseppe Antonio Borgese; ovvero: la sua fu restaurazione o provocazione? fu berlusconismo strategico o calar di brache dell'ex sinistra davanti all'Italia eterna e inevitabile? Personalmente, ho conosciuto Onofri in un momento cruciale della rivista Nuovi Argomenti. Da anni frequentavo, in stile seminariale, un gruppo di giovani amici (Affinati, Archibugi, Colasanti, Picca). Vi era l'obiettivo di trovare uno sbocco al fluire di tante energie intellettuali. Perché non proporre a Nuovi Argomenti un infoltimento del quadro redazionale? Da qui data il nuovo che è accaduto. Onofri compreso. Quelle energie maturarono. La rivista Linea d'ombra, il più temibile avversario «Poveri uomini» diceva il vecchio Strindberg. «Poveri dei» scrive il giovane Ventavoli. E giù, in un gioco «giallo» che certo soltanto gioco non è, spiattellate tutte le malefatte, gli intrighi, i delitti della più fascinosa armata brancaleone del mondo mitico, indebolita, quasi arresa, da quello che gli psicoanalisti chiamerebbero sensus finis. Un Assassinio sull'Olimpo di tal fatta poteva lasciare indifferente gli editori d'Acropoli? Certo che no; sicché la Rusconi, a poco più d'un mese dall'uscita, ha «venduto» a Livani ateniese questo romanzo che, ai bei tempi, avrebbe intrigato anche gli abitatori della sacra montagnola. Buon divertimento ai greci di Grecia, mentre ai «greci di Germania», più veri dei veri talvolta, penseranno, c'è da scommetterlo, Diogenes o Berthelsmann. Gli dei «rendono» tuttora molto bene, soprattutto in terra tedesca. De Crescenzo docet. editoriale e culturale, invecchiò d'un tratto. Ma i miei amici, uniti ad altri più giovani (appunto Onofri, Carbone, Trevi), per le inevitabili alchimie della vita, maturarono, o così mi apparve, in modo diverso da come avrei auspicato. Ero stato per vent'anni, più o meno passivamente, nel comitato di redazione di quella rivista. L'inclinazione del direttore Enzo Siciliano all'ascolto ne garantivano, a prezzo d'una certa inefficacia, il pluralismo. Improvvisamente, Nuovi Argomenti si trasformò: da tollerante e democratica divenne ecumenica da una parte e settaria dall'altra; e la mia strada si separò da quella di Nuovi Argomenti a causa del suo successo, o dei motivi di esso. Ma in concreto, come era cambiata Nuovi Argomenti! Risponderò a questa domanda rispondendo ad altre due: com'è il libro di Onofri, ovvero che cosa significa, perché se ne parla tanto, perché si parla tanto di critica. Se nel dodi¬ Alda Merini ^r-rr ■!■■:'■■—— -— \tdti Mirini ti nini /mesta incitili! «IAl pazza della inula accanto», una storia bizzarra: «Ilpoeta deve prendere la materia incandcsrenlr che è la cita e farne ara colalo» to». In forza del dovere compiuto Alda Merini aspetta l'omaggio, anzi: l'esatta mercede. Sessantaquattrenne («Sono nata il ventuno a primavera / ma non sapevo che nascere folle, / aprire le zolle / potesse scatenar la tempesta»). Due mariti, Ettore Camiti, panettiere, e Michele Pierri, poeta tarantino. Tante liaisons, sfuggite ai pubblici ufficiali. Quattro figlie lontanissime, quattro «vuoti d'amore» (ma, a voce, la confessione sulla pagina è scalfita: «Ogni settimana viene a trovarmi Davide, un nipotino, Davide come il carissimo padre Turoldo, un leone religioso»). Un lungo «sequestro» in manicomio (poco importa il motivo inciso sulla cartella clinica, la verità è che in un modo o nell'altro bisogna espiare «il paradiso grande della letteratura»), due lustri e rotti nella pedagogica università della follia: «Croce senza giustizia, non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita. Contro cui nessuna belva ha potuto mai nulla». Sfumato, per adesso, il Bac¬ chelli, Alda Merini si crogiola nel premio Montale, una «laurea» del '93. «Montale: lo incontrai al Corriere, mi regalò un grugnito indimenticabile. Forse perché stavo con Quasimodo: i due non si volevano certo un gran bene. Forse per difendere la relazione con la Volpe, con Maria Luisa Spaziani. Eugenio? Un poeta modernissimo, d'inarrivabile musicalità, l'ultimo romantico». Piacerebbe, al Nobel che «vide» nei limoni «le trombe d'oro della solarità», il biglietto da visita forgiato nella Pazza: «Non è un sortilegio il poeta, è una fata che vuole che il suo Pinocchio diventi carne. Ma intanto è la fata a morire, a trovare una tomba in un difficile camposanto, a respirare aria di terra, a diventare limone. Mentre lui, il burattino, gioca, gioca e si infiamma e diventa solo legno da ardere». Da sempre in bolletta, e al freddo («I termosifoni? Le pazze delle porte accanto hanno voluto toglierli»), e in pericolo («C'era un custode maniaco sessuale, grazie a Dio è morto...»), la si¬ gnora Merini non esitò a scappare, una volta ricevuto l'assegno montaliano: «Mi rifugiai nell'hotel Certosa. Vi andavo con Manganelli, un genio aristocratico, il poderoso assassino della mia giovinezza, colui che l'aveva abbreviata con un alto d'amore catastrofico e iniziati co. Cercai sui polverosi registri i nostri nomi. Nulla, ovvio. In quel tempo ero minorenne e, perciò, ospite clandestina. Giorgio, sino all'ultimo, continuò a mandarmi i suoi libri, immutata la dedica: "Non fosti dimenticata"». «Mi sembravi una foca, Manganelli, / bonaria giocherellona / che invitava i bambini nello zoo, / eri grasso e facondo, / ma quella buffoneria animalesca / nascondeva sapientemente l'ingegno dell'io, / maestro di un'epoca intera». Sono versi della plaquette che Einaudi pubblicò nel '91. Nuove prove sono annunciate per l'autunno: «Le ho intitolate Ballate non pagate. Perché l'editore di via Biancamano non pagò o pagò col contagocce Vuoto d'amore, un suc¬ cesso - cinque, sei ristampe chi; non ha eguali in Italia». Ma non indulgo all'acredine, sono «ulteriori i suoi dei», come per Manganelli, come per il barbone Titano: «Un San Francesco. Ricchissimo, si era liberato di ogni tesoro, scegliendo la strada. Gli offrii un giaciglio, accettò. Capitò che mi assentassi. Temevo e speravo che mi svaligiasse la casa. Al ritorno non mancava neanche un bicchiere. Mi arrabbiai, oh come mi scatenai! E lui, in breve, mi esaudì, ripulendo l'appartamento». La tapparella è a mezz'asta («come una bandiera di lutto») da che Manganelli è morto. Alda Merini-Camiti ved. Michele Pierri - generalità declinate in stampatello sulla porla dall'incerta serratura - freme, l'oracolo che è in lei, che è lei, fe saturo, reclama l'Olivotti. Signora, un saluto, ma d'autore, firmato dall'ultimo romantico: «Tu sciogli / ancora i groppi interni col tuo canto / Il tuo delirio sale agli astri ormai». Bruno Quaranta

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