Le notti macchiate di sangue incubo della dolce Lisbona

Le notti macchiale di sangue incubo della dolce Lisbona Tre morti e 12 feriti in un mese: in città esplode la caccia al nero Le notti macchiale di sangue incubo della dolce Lisbona REPORTAGE IL REQUIEM ALLA TOLLERANZA LISBONA DAL NOSTRO INVIATO Requiem per «Lisbona la dolce». Bisognerebbe poterlo cantare, con una di quelle nenie dolenti che attraversano i vicoli di questa città e, di qualunque cosa parlino, ti fanno sentire come uno che sta perdendo qualcosa o qualcuno. Oppure, se non si può fare altro che scriverlo, bisognerebbe poter usare il portoghese, come fece Antonio Tabucchi quando scrisse il suo «Requiem», perché quella lingua era per lui «un luogo di affetto e di riflessione», ma anche uno scrigno di suoni che sono già eco di se stessi e voci del ricordo, un ricordo che ti parla della Lisbona multietnica eppure pacifica, casa comune di europei, africani, arabi e sudamericani, estranea all'intolleranza per cultura e anche per una ragione quasi fisiologica, un andamento lento del sangue nelle sue vene, delle persone nelle sue strade, dei fervori nella sua anima. Requiem. Quando lo scriveva Tabucchi, nel 1991, lo popolava di personaggi e fantasmi difficili a distinguersi gli uni dagli altri. A scriverlo in questa estate del '95, con l'afa americana già sbarcata nel porto, bisogna popolarlo di incubi, dei moderni incubi di un luogo antico. Il primo ha il cranio rasato e la faccia da robot di uno skinhead. Puoi chiamarlo Machado (19 anni, militare) o Hélder (26 anni, meccanico) oppure dargli un nome femminile e chiamarlo Mendonga (18 anni, studentessa). Sono tre dei cinquanta skin che la notte del dieci giugno (festa della purezza della razza ai tempi di Salazar, ma anche festa per la prima vittoria importante dello Sporting Lisbona dopo tredici anni) hanno assalito il Bairro Alto, quartiere dei ristoranti popolari e dei bar africani, fulcro della vita notturna stracciona e alla portata di tutti. Anche di Alcindo Monteiro (27 anni, meccanico), uno che quando proprio sognava alla grande disegnava una casa con piscina sul bloc notes intestato di una ditta di carburatori e ci metteva davanti un cartello con scritto «casa Monteiro». Il disegno l'ha pubblicato il quotidiano «Publico» il giorno del suo funerale. L'hanno ammazzato gli skinhead, a colpi di mazze da baseball e guanti ferrati. Hanno ferito altre dodici persone di colore, quella notte in cui lo Sporting aveva vinto la Coppa del Portogallo. Sono andati a cena tutti insieme ad Alfama, che è il quartiere vecchio e vero, quello con le case dalle facciate di ceramica e i belvedere infilati nei vicoli. Hanno bevuto, si sono armati, sono saliti sulle loro au to e poi sono andati al Bairro Al to. Hanno invaso le stradine strette abitate da odori e suoni, più che da persone, hanno percorso e ripercorso rua da Atalaia (annunciata dalla scritta rossa «se rubare è peccato, lavorare è reato»), fatto chiudere i battenti delle sue discoteche, distrutto tutto quello che hanno trovato, anche la vita di Alcindo Monteiro. La polizia è intervenuta dopo due ore, che è un po' tanto anche in una notte in cui la città è intasata dai cortei dei tifosi ed è un po' poco per salva re qualcuno. Così hanno fatto il funerale a Alcindo e alla tolleranza di Lisbona. Durante la cerimonia il cantante rap General D lo ha ricordato alla folla: «Gli skin sono la punta estrema, ma tutta la società si sta ammalando di raz zismo». I giornali hanno ripreso dagli archivi un sondaggio di tre anni fa in cui solo il 2% della polazione si dichiarava aperta mente razzista, ma il 52% rico nosceva che avrebbe avuto qualche problema se sua figlia avesse sposato uno zingaro. Al la vecchia zingara che cerca di vendergli la Lacoste falsa e gli mostra il sacchetto con i coccodrillini da applicare, il protagonista del «Requiem» di Tabucchi dedica attenzione e cortesia Alle migliaia di zingare che se ne stanno ai lati delle strade con i loro sacchetti di stemmini di tutte le marche, i lisbonesi dedi cano crescente insofferenza. Gli skin lo teorizzano apertamente molti altri lo dicono solo nel chiuso delle loro case. Ma quan do c'è da fare qualche assegnazione immobiliare e tocca a famiglie di colore la protesta è immediata. E quando in un quar- tiere bianco cerca di insediarsi un nucleo di origini africane, i vecchi residenti non esitano a scendere in strada. Gli skin sono i figli legittimi di queste persone. Vengono da famiglie operaie o di artigiani, abitano in quartieri periferici, i loro padri sono per lo più comunisti. Il loro avvocato (che conta di farli assolvere tutti, perché arrestati a ore e chilometri di distanza dal luogo del delitto) è anche segretario di Azione nazionalista, che vuole diventare partito nazionalista con lo slogan «prima i portoghesi». E pensare che, in questo Paese, negli Anni Venti, l'idea nazionalista veniva diffusa da un movimento fondato da un poeta (Teixeira de Pascoaes) e chiamato, con un nome più sognante che minaccioso «saudadismo», da «saudade», parola che significa nostalgia e che tutti conoscono perché è la malattia millantata dai calciatori brasiliani alla prima manifestazione di broccaggine. Ora il nazionalismo ha parole più dure e volti più temibili. Gli africani, che a Lisbona sono il 10% della popolazione, vanno in giro con distintivi su cui sta scritto «Assassinato Alcindo, Exigimos Justiga», «Hanno ucciso Alcindo, Vogliamo giustizia», ma non ci credono troppo. Organizzano cortei e concerti antirazzisti, ma sono sicuri che altri morti verranno e fanno fatica a frenare l'ala dura dei loro, quella che chiede vendetta e non giustizia e che, cinque giorni dopo l'assalto al Barrio Alto, ha aggredito tre militari scambiandoli per skinhead. Non ci sono più neppure i simboli dell'aggregazione: non torea più Ricamo Chibanga, torero negro mozambicano, un immigrato che era entrato nel sacro cuore della tradizione locale, uno che quando si esibiva in Spagna rimediava fischi, un po' perché negro e un po' perché voleva seguire i dettami della corrida portoghese, che termina senza l'uccisione dell'animale confermando, anche in questo, un rifiuto delle esperienze cruente. Ora, invece, il sangue macchia Lisbona. E' accaduto anche all'alba di domenica 16 luglio. Altre due vittime capoverdiane: Adelino Joao Gomez ( 18 anni) e Arlindo Fernando dos Santos (21). Li hanno ammazzati alle quattro, con una raffica di colpi di pistola sparati da due moto e una jeep, all'uscita di una discoteca afro chiamata Kussunguila, a cento metri dagli uffici della Supersquadra di polizia creata per fare fronte alla crescente criminalità. E' accaduto in un altro palco della vita notturna, il quartiere di Alcantara, che nel giro di pochi anni ha copiato tutto quello che poteva da Manhattan e Barcellona, proponendo una notte modaiola con locali come l'Alcantara Café (fabbrica riattata, portoni di vetro, buttadentro Versace style) che sei sicuro di aver già visto sulle banchine del porto di New York e che fa il pieno di tipini in carriera. Infatti Adelino e Arlindo erano diversi da Alcindo Monteiro, non facevano disegnini per sognare, ma si compravano davvero quello che volevano con proventi sospetti. Quando li hanno trovati morti ammazzati si è pensato subito alla pista razzista, ma non era così. Era un regolamento di conti fra bande rivali, dice ora la polizia. Dietro, c'è l'altro grande incubo di Lisbona: la droga. Tutte le capitali del mondo sono popolate di eroinomani, ma nessuna li esibisce nella sua strada più importante. A Lisbona è cosi: fanno i posteggiatori sulla Avenida da Libertad, dalla statua (impacchettata) del marchese di Pombal al Rossio. Barcollano a ridosso dei marciapiedi, tenendo in mano un giornale arrotolato con il quale attirano l'attenzione degli automobilisti in cerca di un parcheggio e tentano di indicarlo. Non sempre ci riescono. Hanno occhi sbarrati e schiene piegate. Quando sono troppo vicini alla dose appartengono a un'altra dimensione, quando ne sono troppo lontani, l'astinenza li rende furiosi. Gli automobilisti ne hanno paura. L'insicurezza è la nuova ma- lattià dei cittadini di Lisbona. Hanno paura di parcheggiare, di usare il bancomat (c'era la banda del «multibanco», come si chiama qui, che sequestrava i clienti e si Cacava consegnare tesserino e codice), di uscire a piedi la notte. E' una psicosi, dice qualcuno, alimentata da chi vuol fare della lotta alla criminalità un cavallo di battaglia alle prossime elezioni politiche, facendo passare in secondo piano i problemi economici. Ma le psicosi generano comportamenti irrazionali e, anche loro, evocano fantasmi. In questo caso, il fantasma si chiama Zorro. Zorro è l'eroe fantastico che più di ogni altro ha incarnato la figura del vendicatore e il sogno della giustizia popolare. A lui si richiamano i promotori delle «brigate popolari», formazioni giustizieri della notte, che hanno cominciato ad agire in piccole città, ma ora sono arrivati fino a Lisbona. Nel loro mirino ci sono tutti quelli che hanno a che fare con la droga, sia gli spacciatori che i semplici consumatori ma, stranamente, colpiscono soprattutto quelli di origini africane o zingare. All'inizio di giugno sono scesi in strada a Serém, con i cappucci sulla testa e le armi in mano, facendo ronde nelle zone a rischio. Poi, a Carregaro, hanno ucciso un negro mentre cercava di rubare un'auto. Tra i pochi di loro che si sono tolti la mascherina nera di Zorro ci sono soprattutto commercianti e militari. Il timore di svelare l'identità è relativo. La polizia, anche in questi casi, non interviene né prima, né durante, né dopo. Quanto all'opinione pubblica, nei sondaggi eseguiti dopo i primi assalti, il 50% approva la «giustizia popolare» e esprime la voglia di pena di morte (il 2% la comminerebbe allegramente anche ai ladri d'auto). Nella fantasia popolare ormai le brigate sono Zorro, l'inconcludente polizia è il sergente Garcia e la criminalità africana e zingara rappresenta il dispotico governatore Aguila. La questiono tornerà d'attualità a fine estate, con l'awcinarsi del voto. Ora è stagione di vacanze, sogni e divertimenti. Pattuglie di turisti presidiano le strade, compatto e motivato il contingente italiano. Il Benfica ha diciannove giocatori nuovi e grandi aspettative per il nuovo campionato, il suo presidente spaccia come un grosso acquisto perfino il bulgaro Iliev che a Bologna chiamavano l'uomo di marmo anche senza aver visto il film di Wajda. E sempre nuove zone della città diventano oasi per la vita notturna. Dopo Alcantara tocca alla zona del fiume: trenta locali in via di apertura, altrettanti già in funzione, bar, ristoranti, discoteche, piste di pattinaggio, gallerie d'arte in una striscia di pochi chilometri vietata alle auto e consigliata alle biciclette, che proietta le sue luci sull'acqua e vuole diventare lo specchio della nuova movida di Lisbona. Per ora, sembra la copia di un'altra città, nonostante le musiche e le voci, che appartengono a questa, o forse è solo che anche Lisbona sta cambiando per non morire, perché il senso di disfacimento che ha sempre ostentato non diventi preannuncio di morte, per non ascoltare, tra tante parole che la sommergono, un requiem per lei. Gabriele Romagnoli Spacciatori neri e zingari nel mirino delle squadre dei giustizieri MB ro ferici, i loro padri sono per lo più comunisti. Il loro avvocato (che conta di farli assolvere tutti, perché arrestati a ore e chilometri di distanza dal luogo del delitto) è anche segretario di Azione nazionalista, che vuole diventare partito nazionalista con lo slogan «prima i portoghesi». E pensare che, in questo Paese, negli Anni Venti, l'idea nazionalista veniva diffusa da un movimento fondato da un poeta (Teixeira de Pascoaes) e chiamato, con un nome più sognante che minaccioso «saudadismo», da «saudade», parola che significa nostalgia e che tutti conoscono perché è la malattia millantata dai calciatori brasiliani alla prima manifestazione di broccaggine. Ora il nazionalismo ha parole più dure e volti più temibili. Gli africani, che a Lisbona sono il 10% della popolazione, vanno in giro con distintivi su cui sta scritto «Assassinato Alcindo, Exigimos Justiga», «Hanno ucciso Alcindo, Vogliamo giustizia», ma non ci credono troppo. Organizzano cortei e concerti antirazzisti, ma sono sicuri che altri morti verranno e fanno fatica a frenare l'ala dura dei loro, quella che chiede vendetta e non giustizia un rifiuto delle esperienze cruente. Ora, invece, il sangue macchia Lisbona. E' accaduto anche all'alba di domenica 16 luglio. Altre due vittime capoverdiane: Adelino Joao Gomez ( 18 anni) e Arlindo Fernando dos Santos (21). Li hanno ammazzati alle quattro, con una raffica di colpi di pistola sparati da due moto e una jeep, all'uscita di una discoteca afro chiamata Kussunguila, a cento metri dagli uffici della Supersquadra di polizia creata per fare fronte alla crescente criminalità. E' chese di Pombal al Rossio. Barcollano a ridosso dei marciapiedi, tenendo in mano un giornale arrotolato con il quale attirano l'attenzione degli automobilisti in cerca di un parcheggio e tentano di indicarlo. Non sempre ci riescono. Hanno occhi sbarrati e schiene piegate. Quando sono troppo vicini alla dose appartengono a un'altra dimensione, quando ne sono troppo lontani, l'astinenza li rende furiosi. Gli automobilisti ne hanno paura. L'insicurezza è la nuova ma- A destra la statua di Pessoa. Sopra donne di colore al mercato di Lisbona e i pescatori. Sotto la torre di Belem