Un lungo cammino dai giorni del Golfo

Un lungo cammino dai giorni del Golfo LA CHIESA E LA GUERRA Un lungo cammino dai giorni del Golfo SONO tornati concetti antichi nelle parole del Papa, ieri, riguardo alla tragedia della Bosnia. E' il vecchio concetto di guerra giusta, di guerra di difesa, che entra oggi con qualche perplessità nel pensiero della morale cattolica. Una volta, l'idea di guerra «giusta», di guerra «di difesa» era normalmente contemplata nei testi di morale, accompagnata da tre condizioni: che ci fosse una difesa di interessi legittimi, che non si trovassero altri mezzi per far valere la propria giusta ragione, che la decisione venisse presa dalla legittima autorità. In fondo, sono motivazioni che, in teoria, reggono anche oggi. Ma esse si mescolano decisamente con posizioni di rifiuto della guerra. Ricordate papa Wojtyla, per la pace, due volte ad Assisi? ((Assisi, pax mundi», si disse allora. Ma non era vero. Assisi era soltanto una speranza. E c'era qualcosa di patetico e di grandioso insieme in Giovanni Paolo II, in questo pontefice che camminava da Roma alla terra del Poverello, come verso un'ultima spiaggia spirituale che sgretolasse le afflizioni dell'umanità, un pontefice che si affannava a raccogliere attorno a sé uomini in preghiera da tutte le regioni e da tutte le religioni. Poi, si è visto un Papa che, quasi disorientato di fronte agli orrori della guerra, sembrava oscillare nel suo stesso pensiero. Nei mesi del conflitto del Golfo Persico, Wojtyla si era eretto profeta di pace, uomo de! non intervento, mostrava orrore di fronte allo stesso concetto di guerra, disgustato soprattutto di un mondo occidentale che, dimentico della pietà verso gli uomini, voleva soltanto celebrare la propria onnipotenza guerresca e sublimava il conflitto in epopee televisive e di mass media. Da Giovanni Paolo It eia nata, allora, una novità di linguaggio, un'invenzione di espressioni per esecrare la guerra e per cercare di fermarla: «La guerra è un'avventura senza ritorno»; «la guerra sarebbe il declino dell'umanità intera»;; «mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza». Ma la guerra in Bosnia, con le sue atrocità, con il martirio continualo di città e di popolazioni, ha fatto rientrare ancora nelle incertezze morali, teologiche e giuridiche tutti gli schemi e tutte le definizioni. In una visione quotidiana di orro- L'Abbé Pierre I sche ri in una terra martoriata, Giovanni Paolo II ripiegava sul concetto di «ingerenza umanitaria». Si affannava a far spiegare dal suo segretario di Stato, dai suoi cardinali, dai suoi nunzi apostolici, che tale ingerenza diventava obbligatoria in situazioni che compromettavano gravemente la soprav-, vivenza dei popoli o di interi gruppi etnici e, in questi casi, si poteva accettare anche l'idea di un «braccio armato dell'azione umanitaria». E il Papa, di fronte anche all'inazione degli altri Paesi del mondo, soprattutto europei (la guerra in Bosnia, egli ha detto, «è l'umiliazione dell'Europa»), si è posto come creatore di nuovi aspetti del diritto internazionale, qualcosa che era affiorato già nell'enciclica Centesimus annus. Lo ha fatto in un discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, nel gennaio 1992. L'uomo vale più dello Stato, è il pensiero di Wojtyla. Se in uno Stato, l'uomo è minacciato e aggredito, decade ogni principio di sovranità e di non ingerenza: gli altri Stati hanno il dovere di disarmare l'aggressore. Non esiste, per gli Stati, un diritto all'indifferenza. Giovanni Paolo II si è ri volto- ai giuristi perché riflettano sulle nuove realtà, ed egli stesso ha offerto loro la formulazione di nuovi principi internazionali. E' il Papa che, rivestito di autorità morale, fonda il diritto. Alla fine egli stesso riassumeva efficacemente così il proprio pensiero sulla guerra: «Fedele alla mia missione, voglio ripetere nella maniera più solenne e ferma: - la guerra di aggressione è indegna dell'uomo; - la distruzione morale e fisica dell'avversario o dello straniero è un crimine; - l'indifferenza pratica di fronte a tali comportamenti è un'omissione colpevole; - chi si abbandona a queste infamie, chi le scusa o le giustifica ne risponderà non solamente davanti alla comunità internazionale, ma più ancora davanti a Dio». E allora, forse è questa la considerazione conclusiva che si può attribuire a Giovanni Paolo II: se c'è necessità di fermare atrocità e ingiustizie, si ricorra a mezzi di guerra, ma con la ritrovata consapevolezza che è sempre cosa da piangere, non da esaltare. Domenico Del Rio L'Abbé Pierre

Persone citate: Domenico Del Rio, Giovanni Paolo, Giovanni Paolo Ii, Poverello, Wojtyla

Luoghi citati: Assisi, Bosnia, Europa, Roma