Scrittori allo specchio termometro del mondo

Da Seneca a Montale, storia d'un oggetto letterario Da Seneca a Montale, storia d'un oggetto letterario Scrittori allo specchio termometro del mondo PICCOLO quiz letterario. «Non può specchio ritrar sì dolce imago/ né in picciol vetro è un paradiso accolto/ Specchio t'è degno il cielo, e ne le stelle/ puoi rimirar le tue sembianze belle». Un ispirato stilnovista? Un trasognato petrarchesco? Sbagliato: è il tormentato Tasso della Gerusalemme Liberata. Riproviamo. «Erano gemme inafferrabili e mari magici/ erano immensi specchi abbacinati/ da tutto ciò che riflettevano». Un'ubriacatura di assoluto di Ungaretti? Una gioiosa allucinazione di Pound? No, uno dei (rari) incubi a lieto fine di Baudelaire, che, nell'interpretazione di Jean Starobinski (La malinconia allo specchio), in quei versi sogna un universo fatto di vetri, che riflettono tutto il creato. Riservano strane sorprese, gli specchi, fedeli alla realtà o deformanti che siano. Attraversano tutta la storia della letteratura, dal Seneca delle Naturales quaestiones al Montale degli Orecchini («Nel nerofumo della spera...»). Libri che riflettono specchi, e specchi che riflettono libri. Da oggetto della letteratura, gli specchi divennero, nel Medioevo, genere letterario. Come racconta Einar Mar Jonsson, storico islandese, «maitre de conférence» alla Sorbona, che ha appena pubblicato Le miroir, Naissance d'un genre littéraire (Les Belles Lettres). Lo specchio, scrive Jonsson, è fatto per diventare un simbolo. In sé non è nulla, solo un pezzo di vetro. Ma può contenere il mondo. E' immagine del sole, quindi di Dio, secondo i padri della Chiesa e il Dante del Paradiso. E' veicolo dell'amore, dal mito di Narciso innamorato della propria immagine riflessa nell'acqua, alle liriche di Marino e altri barocchi. Soprattutto, è segno dell'universo, dell'infinita teoria delle cose che nello specchio trovano una collocazione sintetica e armonica, Plotino e Marsilio Ficino concepiscono il mondo come un sistema di specchi che riflettono le Idee platoniche - qualcosa di simile al Sogno parigino di Baudelaire -: una concezione che affonda le radici nel celeberrimo passo della seconda lettera ai Corinzi di San Paolo, Videmus nunc per speculum et in aenigmate. L'immagine di Paolo ha ispirato grandi pagine - Dante, tutta la letteratura religiosa rinascimentale, fino al Nome della Rosa di Eco -, e oggi viene correttamente interpretato così: lo specchio ci consente una visione mediata di Dio, che l'uomo non può conoscere direttamente, ma indirettamente, attraverso la sua opera, il creato. Lo specchio concepito come il «doppio» di ogni cosa diventa genere letterario. L'archetipo è lo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais (1247), una sorta di enciclopedia che si ripromette di analizzare ogni frammento della natura e del pensiero umano, dove specchio è tutto ciò che merita «speculatio», cioè riflessione, fisica e mentale. Dagli «specula» medievali deriva il nostro termine «specchietto», per indicare un riassunto della realtà. Lo spec¬ chio erotico di Narciso diviene ora un tramite tra l'uomo e Dio: così, nello Specchio della Chiesa (1103), Onorio la descrive come una donna che si prepara per il suo sposo celeste. Attenzione però, l'immagine riflessa è vera, ma non reale; quindi, può essere ingannatrice. Usata con saggezza, è uno strumento per conoscere se stessi. Socrate, scrive Platone, considerava lo specchio la traduzione materiale del «conosci te stesso». E il suo più grande discepolo auspicava che «gli ubriachi possano guardare il proprio volto deforme, per guarire dal vizio del vino». Seneca vive ai tempi dell'invenzione degli specchi di vetro, che vanno sostituendo quelli di metallo. E' affascinato da «questo oggetto inquietante», che può elevare lo spirito, o precipitarlo al livello dei bruti. E ricorda il cattivo^sempio di Ostio Quadra, omosessuale romano che si era fatto foderare la camera da letto di vetri, che gli ri- mandavano ogni attimo delle sue imprese amatorie (venti secoli dopo, un analogo specchio sul soffitto moltiplicherà gli amplessi della Sandrelli nella Chiave di Tinto Brass). Anche nella pittura l'immagine riflessa può celare la vanità e l'inganno. Nei grandi cicli del gotico internazionale, la lussuria ha il volto di una donna che si rimira in un vetro. E il Narciso di Caravaggio perde se stesso dentro la sua stessa immagine. Altre volte lo specchio realizza un gioco illusionistico, attraverso cui fa irruzione nello spazio pittorico una realtà altra e inattesa. Come in Las Meninas di Velàzquez, che ispirarono a Michel Foucault le migliori pagine di Le parole e le cose. E nelle fantasie di Bosch, che alcuni studiosi interpretano come specchi magici, dove si riflette l'infinita vertigine dei possibili con cui la natura ci travolge- Ma, se per l'uomo che si sente «Il rapporto con l'immagine riflessa rivela il modo in cui pensiamo la cultura» Noi e il «doppio» al di là del vetro: l'indagine di uno studioso islandese Charles Baudelaire. Sono: Narciso A destra: «La geometria» di Salviati

Luoghi citati: Caravaggio, San Paolo