Un mistico in tight alla conquista del Tibet

GLI ULTIMI A V V ENTUROSI. La storia del colonnello Younghusband che sfidò il Dalai Lama GLI ULTIMI A V V ENTUROSI. La storia del colonnello Younghusband che sfidò il Dalai Lama Un mistico in tight alla conquista del Tibet s IR Francis Younghusband scriveva al Dalai Lama, ma il Dalai Lama non gli rispondeva. Lord Curzon scriveva al Dalai Lama, e le sue lettere ritornavano al mittente con la ceralacca ancora intatta. Gli inglesi erano furiosi. Come osava quel piccolo monarca delle nevi ignorare il grande impero britannico e insultare con l'indifferenza uno dei suoi più alti funzionari, e lo stesso Viceré delle Indie? Anche a questo, il giovane, bellissimo Dalai Lama, il dio-re del Tibet buddhista, non rispose mai. Non fossero morte migliaia di persone per il suo silenzio, quello che accadde allora tra inglesi e tibetani ai piedi dell'Himalaya sarebbe una delle storie più stravaganti, e anche ironiche, di questo secolo. Una storia che ha alimentato la leggenda di un eroe fallito, quella del colonnello Francis Younghusband, il malinconico funzionario imperiale assetato di conquiste, che con trent'anni d'anticipo sull'Orizzonte perduto di James Hilton, trovò il suo Shangri-La tra quelle montagne innevate e finì la sua vita da mistico visionario. Younghusband fu l'ultimo grande avventuriero dell'epoca vittoriana e chiunque abbia la fortuna di recarsi nei luoghi delle sue esplorazioni, dalla Manciuria coperta di iris e genziane al deserto di Gobi, alla Mongolia o al lunare paesaggio di roccia del passo del Mustagh, troverà un improbabile elmetto britannico tra le offerte di un tempio buddhista, o nella memoria della gente i segni del suo passaggio. A dispetto del suo secco profilo di funzionario imperiale dai lineamenti squadrati e il carattere ombroso, aveva una personalità variegatissima: giornalista a più riprese per il Times, spia, geografo per la National Geographical Society, scrittore di decine di libri, filosofo ed esploratore, amico di un conservatore come il Viceré delle Indie Lord Curzon e di un intellettuale trasgressivo come Bertrand Russell. Un uomo che a 24 anni scoprì una via d'accesso sconosciuta al deserto di Gobi, attraversando l'immenso ghiacciaio del passo del Mustagh con soltanto un paio di calze ai piedi. Che quasi scatenò un conflitto armato tra Inghilterra e Russia quando si sparse la notizia che i russi lo avevano assassinato in una misteriosa località del Pamir («Dove diavolo si trova Buzai Gambaz?», telegrafava a Calcutta il Foreign Office, annaspando). Che, come un personaggio di un romanzo di Kipling, partecipò al Grande Gioco dei servizi segreti delle grandi potenze nell'Asia Centrale, ansiose di affermare la loro influenza sul territorio strategico del Tibet, mentre il Dalai Lama ostentava indifferenza. E che alla fine di una vita intensamente religiosa, spesa nella solitudine di un matrimonio senza sesso, trovò a 76 anni la vera illuminazione mistica nel letto di una gentildonna quarantenne, tra le cui braccia amorosissime mori, nel 1942. Younghusband, con quel suo nome assurdo e un po' ridicolo che significa giovane marito, firmò persino un libro sull'esercizio del libero amore come via alla conoscenza - scritto con la sua giovane amante, Lady Lees - e lo intitolò Wedding, matrimonio: l'ultimo, dopo quasi trenta volumi dedicati ai viaggi e alle avventure dello spirito. «Lo pubblicammo perché era un nostro autore da sempre», quasi si scusa il suo editore inglese, John Murray. Dunque Younghusband scriveva al Dalai Lama, ma il Dalai Lama non gli rispondeva. Perciò il 18 luglio del 1903 quest'inglese nato in India quarant'anni prima, ed educato alla maniera dura in un collegio di Bristol, varcò i confini del Tibet alla testa di un piccolo esercito e tenne un discorso formale alla folla incuriosita. Era un elenco di lamentele. Innanzitutto, il Viceré delle Indie Lord Curzon era infuriato per l'insultante modo del capo del loro governo di non rispondere alle sue lettere. Inoltre, i tibetani non rispettavano i confini col Sikkim e imponevano restrizioni ai commerci con l'India, in cui ovviamente gli inglesi avevano grandi interessi. Per essere sicuro che l'intimidazione fosse ben recepita, alla fine del suo discorso Younghusband ne fece circolare alcune copie scritte tra gli attoniti funzionari governativi. «Si fosse trattato di una vipera», scrisse più tardi a sua moglie, «si sarebbero liberati di quel foglio con minore precipitosità». Ma per quanto comica dovesse essere la scena, era il preludio di una tragedia. Chi avrebbe potuto immaginare che quell'uomo dallo sguardo ombroso e gentile, che era entrato pomposamente in Tibet con un guardaroba di 67 camicie, un abito da sera, un tight, un abito da messa, numerose tube, elmetti e un panama bianco, si sarrebbe comportato non da diplomatico, ma da conquistatore? Nemmeno il governo di Londra, che apprese l'esito degli eventi con grande imbarazzo. Younghusband aveva perso la testa, dissero, e dopo quel che fece in Tibet lo nominarono baronetto ma gli affidarono solo incarichi burocratici, cercando inutilmente di far dimenticare il suo nome. In realtà, sia Younghusband sia il suo amico Viceré Lord Curzon, ansiosi di estendere l'influenza dell'Impero, avevano perso la misura delle cose. Dopo quel ridicolo e solenne 18 di luglio in cui Younghusband rese pubbliche, davanti alla fortezza di Khamba Dzong, le doglianze dell'Impero, seicento tibetani erano caduti sotto il fuoco degli inglesi a Chumi Shengo, seicento soldati inermi e stupefatti che tutto si aspettavano fuorché un'aggressione da parte di quel mistico dandy che aveva fama di grande esploratore. «E' stato un giorno orribile», scrisse Younghusband a sua moglie, che era rimasta a Darjeeling a scrivere una biografia di Maria Antonietta (venne anche pubbli- cata, qualche anno dopo con sgomento della critica). «E' stata una vista orribile, ma sento di aver fatto tutto il possibile per prevenire quest'incidente, ed è stata solo la stupidità e l'ignoranza dei tibetani a causarlo». Le cose non stavano affatto come lui scriveva, checché ne dicano la prima biografia che gli fu dedicata, pessimo esempio di agiografia neovittoriana, o i suoi resoconti autobiografici. Ma che vi fosse la più totale incomprensione tra due culture così diverse è certamente vero, e che quell'incomprensione abbia aggravato le cose, anche, come testimoniano i più recenti studi su questo strano e visionario avventuriero. Un anno dopo infatti Younghusband non aveva ancora lasciato il Tibet, ma era ansioso di chiudere la sua missione così poco diplomatica, e propose un incontro per una trattativa nella pianura di Gyantse. Fissò l'ora a mezzogiorno, e per quell'ora fece lucidare gli stivali, stendere i tappeti e riunire la Guardia imperiale. Ma i delegati tibetani si presentarono con tutta calma all'una e mezzo, vestiti sontuosamente di sete sgargianti. Fuori di sé Younghusband li fece attendere fino alle quattro del pomeriggio, ma è improbabile che la sua vendetta cronometrica sia stata recepita. La trattativa fallì e il generale MacDonald, che comandava il piccolo esercito imperiale, ordinò ai suoi scozzesi, gurkha, irlandesi a. sikh di aprire il fuoco sui tibetani, uccidendone duemila. Un altro massacro inutile. Poi via alla volta di Lhasa, dove sorgeva la residenza del Dalai Lama, il leggendario palazzo d'inverno di mille stanze con i soffitti d'oro. Ma lui, ancora una volta, aveva voltato le spalle agli inglesi e se n'era andato. Un osservatore locale racconta che al'entrata marziale degli ufficiali in alta uniforme e di trecento soldati accompagnati da una banda di gurkha, gli abitanti di Lhasa si misero a gridare e a battere le mani per scacciare gli invasori. «Ma gli stranieri, che interpretano questi gesti come manifestazioni di benvenuto, si toglievano il cappello e ringraziavano». Decisamente stentavano a capirsi. Eppure, fu durante quel lungo anno tra le nevi del Tibet, che si chiuse con pesanti sanzioni imposte ai tibetani senza che il Dalai Lama si sia mai fatto vedere e abbia mai offerto una «resa», che Younghusband ebbe la conferma di ciò che nei suoi viaggi precedenti aveva intuito: che, per quanto possa sembrare assurdo, la sua «vera missione» era un'esplorazione del cuore e l'anima delle cose. «Che esista un Potere nel desiderio di innalzarsi e di estrarre il bene dal male è il vero segreto dell'Himalaya», aveva scritto durante uno dei suoi primi viaggi in Tibet. E in The Heart of Nature, uno dei suoi testi di filosofia mistica degli Anni 20, aggiunse che la vista del profilo nitido e smagliante del Kainchenjunga, la terza vetta più alta del Tibet in cui converge «l'etereo spirito» dei monti minori che la circondano, «ci eleva verso Dio». Quando si allontanò da quel paesaggio metafisico di grandi gole fluviali chiare e aride come la sabbia, battute d'estate dai monsoni e da immensi fiumi di neve sciolta, e si mise a scrivere del libero amore, del Dio Bambino, di umanitarismo cosmico e di altre teorie mistiche che quasi anticipano i concetti delle filosofie New Ago, era tornato ormai in Inghilterra e si era messo a frequentare i filosofi della Società Aristotelica, mentre sua moglie, assetata di mondanità, organizzava brillanti weekend in campagna con i duchi di Devonshire, il principe Cristiano di Danimarca e altri aristocratici incuriositi. Younghusband «scrive libri dilettanteschi», spiegava Bertrand Russell alla sua amante Lady Ottoline Morrell, «ma ha il pregio di essere sinceramente semplice, e questo lo rende apprezzabile. Si sforza di costruire una religione fondata sull'ateismo, infarcendola di cose irrilevanti come il libero divorzio». «Ma lo adoro», concludeva in un'altra lettera, «è pieno di amore universale». Che questo amore universale sia in contraddizione con il massacro di 2600 tibetani è vero solo in apparenza, perché sempre Younghusband fu convinto dell'assoluta bontà dei valori dell'Impero, che secondo lui andavano estesi alla massima area di influenza per il bene dell'umanità. E quando scoppiò la Grande Guerra, non a caso ebbe l'intuizione propagandistica di interpretarla come una guerra santa, trascinando ogni domenica tutto il Paese in festival di canti, recite e musica, come aveva appreso dalla tradizione indiana. Stavolta il governo gliene fu grato. Nel 1919 Younghusband ebbe un'occasione per tornare al suo grande amore di gioventù. Fu nominato presidente della celebre National Geographical Society di Londra, e all'interno di questa istituzione a cui facevano capo i grandi esploratori inglesi spese tutte le sue energie per organizzare le prime quattro spedizioni sull'Everest. Erano una sorta di continuazione del Grande Gioco spionistico dell'Asia Centrale, a cui la Prima guerra mondiale aveva messo fine, avventure piene di rischi ma prive di scopi stra tegici. Gli scalatori dovevano seguire l'antico percorso di Young husband, da Darjeeling fino alle pendici dell'Himalaya, ripercorrendo pacificamente il tragitto dell'invasione del Tibet del 1903. Fu allora che il vecchio colonnello, ritrovando un sentimento romantico per quel mondo che lo aveva escluso e allo stesso tempo stregato per la vita, scrisse una lunga lettera di ringraziamento al Dalai Lama, per non essersi opposto alle spedizioni della National Geographical Society, badando bene a non menzionare l'invasione del Tibet del 1903. Non richiesto, dava ampie rassicurazioni che gli scalatori avrebbero obbedito alle autorità tibetane e concludeva cercando una fraterna intesa con il suo vecchio, inafferrabile nemico: «Con grande rispetto e ammirazione, mi creda, Sua Santità, Suo amico sincero, Francis Younghusband». Ancora una volta, il Dalai Lama non gli rispose. Livia Manera Esploratore, giornalista, spia: nel 1903 invase il pacifico regno e massacrò 2600persone Arrivò con un piccolo esercito e 67 camicie, entrò nell'immenso palazzo imperiale dai soffitti d'oro per trattare la resa, ma il re-dio non volle mai incontrarlo Si pentì del sangue che aveva versato e scrisse testi di filosofia «himalaiana» per riuscire a estrarre il bene dal male Lasciò il cuore sul Tetto del Mondo, visse religiosamente, morì a 76 anni tra le braccia di una gentildonna 'entrata marzi I SepLvt Un'immagine di Lhasa: il colonnello vi entrò con 300 soldati, una banda di Gurkha, e gli ufficiali in alta uniforme I soldati inglesi durante la spedizione del 18 luglio 1903 Un Sikh «punisce» un tibetano; qui sotto il colonnello Younghusband con la moglie; sotto due ministri di Lhasa