Procura di Locri, frontiera nel Far west della mafia di Vincenzo Tessandori

Procura di Locri, frontiera nel Far west della mafia I giudici: difficile vincere qui in Calabria, ogni 350 abitanti c'é un uomo dei clan Procura di Locri, frontiera nel Far west della mafia DOVE COMANDA L'NDRANGHETA LCCRI DAL NOSTRO INVIATO Nella piazza tormentata dal sole, sono 41, varcata la soglia, finalmente all'ombra, si toccano i 35. Gradi, naturalmente, un caldo maledetto. Qui a Locri, cuore di una zona definita ad altissima densità mafiosa, il tempio della legge è un'orrenda costruzione tirata su senza il minimo garbo all'inizio dei Sessanta. In ogni modo una cattedrale e così, a metà scala, una lapide è dedicata «a Zaleuco, locrese, primo legislatore del mondo occidentale». Nell'atrio fervono i lavori: presto i carabinieri avranno la garitta con i vetri antiproiettile, verranno montati i metaldetector, insomma sarà fatto un minimo di controllo della gente che entra in palazzo. «Finalmente!», sospira Rocco Lombardo, procuratore della Repubblica. Perché? e Perché finora la gente è arrivata alla porta dei magistrati, così, bussa ed entra. E non si sa chi sia». E proprio in questo momento qualcuno, da fuori, suona. «Ecco, di nuovo. Scusate, ma il sistema nervoso...». Quello del dottor Lombardo ha tutte le ragioni per essere in tensione: minacce, alcune pittoresche, altre davvero preoccupanti. Una mattina ha trovato sul cancello di casa un cappio, un'altra volta i carabinieri hanno individuato un gruppetto che da sei mesi pedinava il magistrato, e poi le telefonate. «Tante, da perdere il conto, le ultime un mese fa, per tutto il giorno. E alla fine una voce di uomo sui quaranta ha detto: "Preparati, che ti dobbiamo ammazzare". Queste persone vorrei vederle in faccia. No, le minacce non ini condizionano certo nel lavoro, semmai provocano un effetto contrario. Ma su un giovane magistrato, proveniente da regioni più pacifiche, non so che effetto possano fare». Nove magistrati, di cui due scli con vera esperienza, «anziani», perché alla procura di Locri si arriva magari di prima nomina, si rimane lo stretto necessario, che poi sono due anni, e si riparte. Insomma, più che una sede di giustizia, una stazione, una stazione in questo che qualcuno chiama il Far West italiano. Un'occhiata al tricolore, nell'angolo della stanza, e il dottor Lombardo spiega, il tono imbarazzato: «Non e una fuga, non vorrei che si pensasse questo, non sarebbe giusto. Ma ognuno ha 1 suoi problemi, la famiglia lontana, gli affetti, son tanti i motivi». E ogni volta e un guaio perché quando uno saluta, si porta dietro la propria esperienza e con i nuovi è necessario ricominciare dal principio. «Dico di essere l'istruttore del Caug, Centro Addestramento Uditori Giudiziari: naturalmente inesistente, ma tanto vale scherzare un po'». La prossima partenza è per settembre, e il rimpiazzo arriverà due mesi dopo e sarà una ragazza. C'è una sola donna, in procura, Maria Rosaria Parruti, ma un tempo l'avamposto era tenuto dal «colonnello» e quattro sostituti in gonnella: primi mesi del '90, un'era remota. Oggi Marina Nuccio è sostituto a Pinerolo e dice di avere «grande nostalgia» per l'esperienza calabrese. «Anche se all'inizio di noi dissero di tutto, tranne, forse, che eravamo delle majorettes». Ma anche lei ha abbandonato? «No, sono tornata via perché sono di Torino, semplicemente. In fondo non siamo dei missionari. Me ne sono andata con rimpianti, per il tipo di lavoro, per esempio, così diverso, o per i rapporti con i colleghi, che erano strettissimi. Sì, le indagini, ricordo, quelle per gli omicidi e quelle per i sequestri di persona: si andava avanti tutta la notte». E risultati? «Pochi, perché omertà e paura sono forti, la 'ndrangheta ha radici profonde, la gente non vuol testimoniare perché lo Stato è visto come un nemico, come chi si fa gli affari suoi e nemmeno bene. Certo, la gente al Nord ha il gusto di parlare, Il procuratore S di collaborare, anche perché non ti ammazzano il vicino di casa, di solito, o ti scoppia una bomba davanti alla porta. Il sangue è sangue». Reati di mafia: un'infinità. E se da Palermo il procuratore Giancarlo Caselli ripete con monotonia che «si sta abbassando la guardia nella lotta alla mafia», qui, in questo coriandolo di frontiera ripetono che la guardia, forse, non è mai stata alzata. «Il fatto è che la Calabria è tagliata fuori», afferma Salvatore Boemi, procuratore distrettuale antimafia. Tagliata fuori da chi? «Magari fra dieci anni scopriremo che certe persone che sono al potere erano legate alla mafia». Fa eco il procuratore Lombardo: «Qui da noi esistono 185 cosche, 130 solo nel Reggino. Gli abitanti della Calabria sono circa 2 milioni, i mafiosi 5700, 1 a 350. In Sicilia sono 1 a 1000». Estorsioni, rapine, droga, sesso prezzolato, traffico di armi, sequestro di persona, minacce: un bel ini campionario del codice penale è racchiuso nei due o tremila fascicoli che sommergono le scrivanie di ogni magistrato in procura, qui a Locri. Sul destino di circa 2 mila processi deve decidere il gip, il giudice delle indagini preliminari, e la situazione è assai migliorata, nell'ultimo anno, sottolinea il giudice Olga Tarzia. Davanti al tribunale attendono 300 processi, molti con decine di imputati, e «centinaia» sono quelli su cui dovrà emettere sentenza la Corte d'Assise. Eppure, sospira il procuratore Lombardo, «lo Stato ha fatto uno sforzo, quattro o cinque anni fa era peggio». I buchi, per esempio, negli organici delle cancellerie erano numerosi e larghi. Oggi è vuota la poltrona di un solo pubblico ministero. «Lo Stato è presente nel territorio, parecchi latitanti mafiosi sono stati arrestati e i sequestri di persona sono diminuiti, grazie anche alla legge sul blocco dei beni. E poi, è vero che esistono sequestri di serie A e di serie B. Per esempio, quello di Roberta Ghidini, la ragazza di Brescia, fu di serie A. Mentre era ostaggio, per 100 chilometri di costa gli alberghi erano occupati dagli uomini delle forze dell'ordine. Lei fu rilasciata una notte; al mattino, men- tre venivo in ufficio, mi accorsi che gli alberghi erano deserti. Se n'erano andati tutti. Eppure, in quel momento, altre due persone erano in ostaggio, Pasquale Malgeri e Vincenzo Medici. Non sono toniate». E non è tornato Adolfo Cartisano, un fotografo, l'ultimo preso, due anni esatti fa. La famiglia ha pagato 200 milioni, ora, per il secondo anniversario del rapimento, la moglie ha scritto una struggente «lettera d'amore a un sequestrato». A chi raccomandarsi? Domani sera il vescovo di Locri Giancarlo Maria Bregattini parteciperà a una veglia di preghiera. Giustizia impotente? «Oh!, mamma mia, che domanda difficile», lamenta il vescovo Bregattini, 46, sceso al Sud vent'anni fa dalla Val di Non, in Trentino. «Certo, si rimane sconcertati per quello che sta succedendo, un giorno arresto di un giudice e un giorno arresti di tanta gente. Registro una grande confusione, non si hanno più le idee chiare di come combattere, se le persone con cui lavori siano affidabili. C'è un senso di frana, non si sa se la società ti garantisce o ti tradisce. Bisogna insistere di più sulla formazione delle coscienze ai valori del bene». Una scommessa difficile, questa, in una zona dove la disoccupazione giovanile tocca punte del 48 per cento. E' lì che la mafia sa di poter raccogliere; sono i giovani a rischio, quelli che spesso riempono i fascicoli sulle scrivanie dei giudici e le celle delle prigioni. «Molti detenuti erano giovanissimi e questo ci colpiva profondamente», ricorda Giuseppe Bova, segretario regionale del pds. Voleva dire che gli altri, quelli con le spalle in qualche modo coperte, gli amici degli amici, ricevevano trattamenti di favore. Eppure, con la mafia non c'è che da misurarsi: ora lo fanno le procure distrettuali, quella di Reggio, per esempio, come quella di Palermo, quella di Napoli. E Locri? Si sente tagliata fuori. Lamenta il procuratore: «Fra qualche anno avremo magari imputati di cui ignoriamo tutte, che appartengono alla 'ndrangheta, per esempio, e se un'organizzazione simile può andar bene per regioni non mafiose, qui non va. No, non vogliamo esser tagliati fuori, vogliamo anche noi partecipare alla lotta alla mafia». Altrimenti? Altrimenti, si lascia capire, tutto diventa frustrante e il tempio della giustizia, inutile. Del resto, sulla facciata grigia spiccano due cose: la targa in marmo che avverte del «divieto di affissione, art. 663 c.p.»; e, sotto, il manifesto che annuncia la morte di Franco Ghiozzi, un medico morto di malattia, figlio del presidente degli avvocati. Vincenzo Tessandori II vescovo sceso dal Nord «Non sai di chi fidarti» iili|R 111 Il procuratore Salvatore Boemi e il vescovo di Locri Bregattini