Marocco-Algeria, la frontiera dell'odio

Marocco-Algeria, la frontiera dell'odio In viaggio lungo la costa d'Africa che guarda all'Europa per scacciare l'incubo del fondamentalismo Marocco-Algeria, la frontiera dell'odio Filo spinato tra la Svizzera musulmana egli ultra LTANGERI A frontiera fra l'angosciosa Algeria e il disciplinato Marocco taglia con il filo spinato l'acqua del Mediterraneo e la terra bruna. E taglia anche due civiltà arabe diversissime c nemiche. Il posto di blocco appare tremante nella luce spietata, come un miraggio: in questo scorcio di luglio la costa africana è colpita da un'ondata di afa furibonda, stravagante persino per la settimana centrale del periodo Sah'li, che corrisponde al cuore rovente dell'estate più infausta. I militari se ne stanno sonnolenti, i tetti di lamiera emanano un alone rosato. Le bandiere sono flosce. I gesti esausti, le parole essenziali. La montatura metallica degli occhiali mi costringe a separarli dal viso e restare ad occhi nudi. E' stato proclamato lo stato di emergenza a causa di questa calamità e i viaggatori sono invitati a restarsene a casa o nelle capanne. I capelli scottano, l'acqua esce dalla bottiglia di plastica come se venisse dallo scaldabagno. Il furore di questo calore che aspira e prosciuga la voglia di vivere disegna intorno agli oggetti e alle creature animato una cornice infernale, baluginante. Anche le uniformi sombrano ardenti e trasformano i soldati in pigri fantasmi. II giovane Raduan, sempre preoccupato per la sorte di quello scassone cigolante che è la sua Mercedes con il condizionatore rotto, si fa cogliere da una vera crisi di panico di fronte alle guardie algerine, ma poi si decide a contrattare il permesso di un paio d'ore sulla strada che da Alifir, ultimo avamposto marocchino, entra in Algeria e, oltre Nedroma, porta ad Orano. Gli algerini non hanno espressione: magri come scheletri, i baffetti ispidi, gli occhi chiari, l'uniforme e la pelle tessute nella polvere: «Soltanto un'ora», promettiamo, ma quelli alzano le spalle. Il problema semmai è rientrare in Marocco, ma la questione si risolve. Sono gli algerini che non possono entrare. I viaggiatori stranieri, se sono pazzi, i'acciano quel che vogliono. La frontiera con l'Algeria devastata dalla guerra civile e religiosa è stata chiusa a chiave dal re del Marocco Hassan II, cui spetta il titolo non formalo di Principe dei Credenti. Persino il Mediterraneo, che lava la costa bassa di Ghazaouet, deve supplicare affinché le sue ondo siano ammesse nel regno del Maghreb che dalle montagne d'Atlante allo stretto di Gibilterra sorveglia e tiene ringhiosamente a distanza la piaga del fondamentalismo tenendola al di là della frontiera. Cosi entriamo arrivando in vista di Sidi Bel Abbes Là un militare ci avverte che è «plus prudent, très plus prudenti) girare i tacchi, ovvero le gomme e tornare da dove siamo venuti, abbandonando senza rimpianti il ristoratore che pretendeva di trasformare in grigliata il contenuto di una plastica obitorialo. E torniamo. E il paesaggio algerino si svolge lungo una costa di sabbia e terra color melanzana oltre la quale il Mediterraneo cova i suoi rancori sotto ondo di madrepora. A Beni Saf, prevedendo realisticamente di morire volatilizzato, decido di immergermi nel Mediterraneo per sentirne odore e sapore. Sulla spiaggia giocano parocchi bambini e le madri giacciono riparate da tende formate di veli legati ad arbusti. E' un piacere breve e non privo di inquietudine. Alla frontiera gli armati sono sempre lì, come inebetiti da una vampata atomica al rallentatore. Sono partito da Casablanca e da lì sono arrivato a Tangeri e a Tetouan. In tutto, quasi 500 chilometri fra montagne, deserto, pianure e di autostrada fra «Casa» (come chiamano Casablanca) e la capitale Rabat, cinta di alte mura rosse e merlate. Tangeri è l'altro corno di questo viaggio sul Mediterraneo e i suoi fuochi, incubatrice delle civiltà occidentali e di guerre perverse, che adesso cova, rinnovati, incubi antichissimi e ben conservati. La strada fra la città incongruamente legata ad Humphrey Bogart del «Rick's Bar» e alle note di «Time goes by» e Rabat è pavesata a festa con bandiere marocchine e tricolori francesi. Quando passo all'andata, Jacques Chirac 6 atteso; quando torno, è ormai nelle mani del re che lo porta suo ospite nel Grand Palay Royal. Mentre scrivo, il corteo con il presidente francese e il re del Marocco passa sotto le finestre accompagnato da un concerto di sirene e trombo: la limousine e scortata da nove motociclisti e seguita da un corteo di 36 automobili, due furgoni blindati e, a discreta distanza, da un'autolettiga della Mezzaluna Rossa. Il Marocco, che affaccia sull'Atlantico e sul Mediterraneo, in questa giornata di festa clamorosa dichiara ovunque, sulle strade, sui giornali e in televisione, di essere figlio e amico della Francia, e attraverso la Francia dell'Europa che qui è vicinissima, sull'altra riva del Mediterraneo. I giornali sono pieni di rievocazioni di guerra: le «trouvailles» comuni, la campagna d'Italia durante la Seconda guerra mondiale e la battaglia del Garigliano. Certo, qui nessuno ha letto «La Ciociara» e risulta poco conosciuta la «Tammurriata nera» con lo altre e da noi più note gesta marocchine, dove si canta del modo in cui «'e signurine e Capodichine fann'ammure co'i marucchine», da cui le note conseguenze demografiche e genetiche. I marocchini, la gente che incontro per strada e nelle taverne, odiano gli algerini, guardano con paura e rancore al fondamentalismo e in ogni bettola espongono come antidoto alla sindrome di Algeri il ritratto del re Hassan, Principe dei Credenti in quanto unico e incontestato discendente del Profeta. Il titolo non è soltanto onorifico, né insignificante: vuol dire che il re se ne può allegramente infischiare delle pretese rigoristiche dei fondamentalisti algerini, e persino di quelle degli iraniani (i quali gli portano infatti rispetto), perché la sua autorità religiosa è certificata e indiscussa. Sua maestà del resto ha imparato presto che non è «politicaly correct», e tantomeno gradito alla madre Francia, spedire al boia eventuali contestatori islamici: infatti quando l'intellettuale fondamentalista 'Abd asSalam Yasin osò trasmettergli nel 1974 un pubblico ap- pello in cui gli ingiungeva di «scegliere da che parte stare», i regi magistrati spedirono per tre anni Yasin in un ospedale psischiatrico, secondo la moda sovietica, e più tardi in carcere per buona misura. Dunque su questa riva del Mediterraneo, ordinalissima come una Svizzera musulmana, governa un uomo di Dio che gode della doppia leadership, spirituale e temporale. Modernista e tecnologico, non trascura certo l'ortodossia: nel 1962, agli inizi del suo regno, non esitò a far incriminare alcune centinaia di sudditi sorpresi a mangiare durante il digiuno religioso del Uamadam. Quest'uomo di Dio gode dunque del privilegio di ordinare e decretare, con adesione ai testi e alla dottrina, la più stretta e filiale alleanza con la Francia moderna e modernista, imporre scuole di computer ovunque sia possibile, far funzionare le citta comò città francesi, con leggi francesi, segnaletica francese, mentalità francese. Nella piccola Tetouan non ho visto un turista straniero, non c'è nulla di europeo, ma le contravvenzioni per divieto di sosta fioccano, i taxi blu sono lucidi e ordinati e ai caffè la buona borghesia mangia li.' paste e legge i giornali. Le ragazze sono eleganti, la musica fragorosa e si sentono sia il rock, versione maghrebina, che canzoni tradizionali. Oggi, con Chirac sottobraccio, questo re musulmano di scuola francese e particolarmente fiero di aver sostituito nel cuore dell'attuale abitante dell'Eliseo quel che ancora restava del mito amaro dell'Algerie francaise, fallito e perverso. E la Francia mostra di aver rimosso il grumo di nostalgico rancore per le sciagurate province «metropolitane» che la condussero sull'orlo della guerra civile, con generali e colonnelli in rivolta, le bombe dell'Oas e le sue vendette. Tutto finito. Dopo Tetouan il mare si rivede a El Jebha dopo una lunga pista di sabbia e poi ad Al Hoceima, alla spagnola Melili» e attraverso una lunga linea di camping sonnolenti. Tutti coloro con cui parlo nelle taverne parlano con fastidio prossimo all'odio degli algerini, descritti come predatori e incivili. Occorre fermarsi di frequente per annaffiare le gomme. E ogni volta è prudente annaffiare anche la gola con acqua o tè alla menta. Così supero Souk Arba, invasa di mercanti di terraglia come ogni mercoledì, e una catena di villaggi che guardano il Mediterraneo protetto da mura ad altezza d'uomo, bianchissime con finiture celesti, che sembrano villaggi di bambini. La ferrovia della costa appare e scompare, inghiottita da improvvise colline rosse come le natiche di un babuino o livide come un cadavere. La città di Tangeri, chiave di volta occidentale del Meditcrranero come Istanbul è quella orientale, appari; dopo un grandioso tratto di strada che corre sopra bracci di mare penetrati nella terra e che sembrano fiumi agitati dal vento caldissimo. Tangeri non esibisce una travolgente bellezza, anche se è imponente: il porto pieno di navi emana l'odore acre delle risacche stagnanti. I caffè all'aperto sono affollati e la gente guarda il mare senza vederlo. Oppure ciabatta pigramente sulla promenade maiolicata davanti alle onde, sotto una doppia fila di palme. Il fascino della mitica città franca, del porto di mare e d'avventura, deve essersi perso dopo la sua restituzione al Marocco indipendente. La terrazza del panorama affaccia sulla piazzola di un cannone antico, tenuto in posizione fino all'ultima guerra, ormai di traverso su rotaie arrugginite. Di turisti non si vede quasi traccia: quest'anno la leva è fiacca, sia per il caldo che per i timori suscitali dal fatto che questo Mediterraneo è ormai zona di frontiera. Gli echi di quel che accade lungo questo grande e disperato mare riverberano amarezze e inquietudini visibili: vecchi uomini in abito tradizionale leggono scandalizzati le notizie sulla Bosnia e i telegiornali mostrano le imprese dei nuovi crociati serbi che, come quelli di Baldovino Boemondo e Tancredi, da secoli e per secoli distruggono, umiliano, stuprano, bruciano, ardono, sterminano. Qui, da questo conio proteso dall'Africa verso l'Europa e da cui ha inizio e fine il Mediterraneo, si può cogliere un senso di allarme antico, un suono interno come un boato trasmesso da uomo a uomo. E ripete, riflette e amplifica la voce e il pianto di milioni di innocenti, rivela come nuove antiche concatenazioni di orrori indicibili, resi scandalosi e intollerabili dalla televisione. E' qui, oltre il vallo di mare che separa dall'Europa, che senti la distanza disperata dell'Europa. Ci fermiamo a mangiare carne di capra appena sgozzata arrostita sulla brace. Testa e zampe giacciono in una cesta. Ovunque nei locali pubblici e nelle case vedi esposte ed onorate le foto del re che sorveglia la vita, in nome di Dio grande e misericordioso. Sui bracieri cuoce la carne e il suo odore aspro si confonde con quello che viene dal Mediterraneo, non meno aspro. Appena fuori dalla città, sul ciglio della strada, ben eretto e rispettabile, se ne sta un vecchio dalla lunga barba bianca, come la sua lunga veste da profola. Tiene per le zampe posteriori un coniglio vivo e inerte e lo agita in direzione dello macchine, sperando di venderlo. Nell'altra mano ha pronto però un lungo e sottile coltello. Il vecchio guarda il Mediterraneo che si va dorando al tramonto; il coniglio guarda il coltello; e la scena contiene la giusta dose di crudeltà e necessità. La mitezza del coniglio, così banalmente inenne, rende la pena della resa e della rassegnazione. Paolo Guzzanti (4 - Continua) A Tangeri il porto è pieno di navi e i caffè sono affollati La gente ciabatta pigramente ma i turisti, spaventati, sono pressoché scomparsi Per le strade di Rabat passa la limousine del re scortata da 9 motociclisti e seguita da un corteo di 36 auto e da 2 furgoni blindati A destra, il lungomare e il porto di Orano, città algerina vicina al confine con il Marocco In alto, un'immagine di Casablanca Tre anziani avvolti nei costumi tipici In ogni casa e in ogni bettola la gente v, espone il ritratto del re Hassan, «principe dei credenti», come antidoto al fanatismo che ha precipitato Algeri nella guerra civile v, A sinistra, la grande tomba di Mohamed V a Rabat

Persone citate: Abbes, Baldovino Boemondo, Chirac, Humphrey Bogart, Jacques Chirac, Mezzaluna, Paolo Guzzanti, Profeta