L'agonia del socialfelipismo di Mimmo Candito

l/qgoniq del socialfelipismo l/qgoniq del socialfelipismo Finale noir per il romanzo delpsoe IL DECLINO DEL CAUDILLO ROSSO SM AVVIA alla fine, dunque, ™ anche la storia di Felipe. E' una fine triste, con un'ombra di ignobiltà che s'infila perfida tra accuse sempre più stringenti e smentite sempre meno credibili. Finisce una storia, un tempo, anche un ciclo intero della vita di un Paese che era stato recuperato alla democrazia in anni difficili; e a scandire le ultime pagine di questo ciclo tornano ancora una volta i dossier, i servizi spionistici, la mala pianta del terrorismo e delle leggi di emergenza. Sono pratiche già consumate. Ma proprio per questo da Madrid sembra traspirare ora il mefitico lezzo di una peste dannata, un morbo che vaga ormai incontenibile sulle vecchie pianure d'Europa a contagiare in ogni terra dell'antico orgoglioso Occidente i sistemi politici della democrazia liberale, trascinando in un calderone confuso di lingue, di popoli, di esperienze e progettualità diverse, un medesimo inquietante dubbio: che la crisi transnazionale dei sistemi di governo vada oltre la congiuntura politica dell'una o dell'altra capitale, e possa riflettere, invece, l'inadeguatezza della democrazia tradizionale di fronte alle condizioni nuove che le società postindustriali pongono alla gestione del potere. La rilettura di Pareto, Mosca, di Weber, aiuta forse a raffreddare l'intensità della domanda, e a rimettere all'interno di un processo di razionalizzazione il problema della natura della democrazia e del ruolo delle leadership; ma certamente la crisi della politica in questo momento angoscioso della scena mondiale (con l'affanno delle democrazie europee a trovare una risposta alle bande serbe) proietta anche sulla Spagna dubbi e incertezze di difficile risoluzione. Felipe, allora, c'entra poco. E il suo diventa, piuttosto, un modello specifico della degenerazione che la lotta parlamentare - e l'ambizione, o comunque l'illusione del potere - producono sul corso naturale di un progetto politico. La specificità di questo modello ha trovato anche un geniale parafatore nel più incatalogabile, forse, e indisponente, intellettuale dei salotti politici madrileni, Paco Umbral, che per il dizionario della democrazia ha classificato l'esistenza di un «Socialfelipismo)) come variabile spagnola del controllo autocratico della democrazia, qualcosa di simile, insomma, a una demodittatura, cioè a una deriva progressiva delle regole democratiche verso uno ; sbocco dittatoriale. E va detto che Gonzàlez ha fatto ben poco per convincere la Spagna che l'invettiva di Umbral era piuttosto una provocazione intellettuale, non una vera accusa politica. Il latto è che il socialfelipismo è esistito davvero, e di socialfelipismo va morendo oggi la prima democrazia spagnola. Perché Gonzàlez ha peccato sicuramente di delirio di onnipotenza, confondendo per sua personale sapienza politica la pochezza dei suoi avversari, e pilotando cosi il suo gruppo a una gestione del potere staccata da quei meccanismi reali di controllo che, nelle democrazie, equilibrano sa-. namente l'esercizio di governo. Le unzioni del Signore sono tentazioni senza frontiere, e non sempre chi le esercita ne fa anche pubblica confessione. In una Spagna dove la lunga tradizione storica delle dittature borghesi e militari, fino all'ultima nata con Franco dalla trage¬ dia della Guerra Civil, ha creato la cultura dell'egemonia e il fascino del caudillismo, Felipe Gonzàlez non ha saputo percorrere itinerari politici davvero autonomi: il suo progetto di una società nuova («Cien ahos de honradez», «cento anni di onestà», diceva il suo vecchio slogan di orgoglio socialista) è scivolato progressivamente nelle panie di una conduzione d'affari dove lo Stato si faceva terreno di caccia e l'affiliazione al psoe diven¬ tava la tessera di libero assalto alle casse pubbliche. E' andata avanti per 13 anni, ora arriva il tempo di un'agonia poco dignitosa. Quella nuova Spagna che, nell'82, consegnava al psoe e a Felipe il suo intenso desiderio di rompere le costrizioni di un lungo passato, e ritrovare finalmente i legami con il mondo che stava di là dai Pirenei, non spezzava soltanto i vincoli della storia politica: cancellando (o comunque accantonando) i vecchi fantasmi del dualismo iberico, dava a Felipe e al psoe anche il progetto di una modernizzazione che inglobasse ogni aspetto della vita nazionale, inventandosi una vera rivoluzione culturale. Era «el Destape», lo sturare un tappo che troppo a lungo e troppo violentemente aveva compresso energie e bisogni di un popolo di grande vitalità. I socialisti spagnoli hanno saputo realizzare, una parte almeno, di questo progetto: cori un rifiuto drammatico di Marx, Gonzàlez ha voluto prima una Bad Godesberg spagnola che pagava vecchi debiti al padrinaggio di Willy Brandt, e ha poi guidato partito e Paese verso un solido ancoraggio alle tradizioni liberali della democrazia occidentale. La Spagna, per quasi tutti gli anni Ottanta, è stato l'angolo più vivo e interessante di un'Europa in forte trasformazione, e il suo prodotto nazionale si è raddoppiato redistribuendo (anche senza iniquità eccessive) la nuova ricchezza e il nuovo benessere. La vecchia Spagna rurale si è fatto un Paese di forte industrializzazione, e la borghesia e le classi medie sono diventate' la sua primaria forma di identità sociale. Ma il socialfelipismo stava già dentro questo successo. Felipe era re e donno della vita pubblica, per come gli chiedeva d'altronde la tradizione culturale della politica spagnola; ma nel potere assoluto che il voto gli ha consegnato fino a quest'ultima legislatura (ora l'alleanza con i catalani di Pujol era un condizionamento autentico), trovare scorciatoie alle situazioni imbarazzanti diventava un rischio di poco conto. E' stato così anche per i poliziotti assassini delle bande antiterrorismo: chi mai avrebbe osato metterci il naso? chi mai avrebbe condannato una scelta fatta per aiutare comunque un governo democratico minacciato dai separatisti baschi? Certamente nessuno; e con leggerezza imperdonabile, tutto diventata legittimo. Il lungo potere socialista ha creato in Spagna una nuova classe sociale, li chiamavano «los biutiful», i belloni, quelli che alla tv hanno abbronzatura eterna, amanti bionde, yacht e fuoristrada. Los biutiful hanno la cultura dell'impunità, e vivono non soltanto a Madrid. Ma a Madrid avevano anche un'ideologia, quella del socialfelipismo. Ora è finita: nelle democrazie, i conti alla fine si pagano. Mimmo Candito

Persone citate: Felipe Gonzàlez, Marx, Paco Umbral, Pujol, Umbral, Willy Brandt