Tramonta il mito dell'accendino di Vittorio Zucconi

Tramonta il mito dell'accendino Tramonta il mito dell'accendino «Sì, ho calunniato Enzo Tortora» Melluso si pente: «Ho mentito, lui era innocente» COME il mangiadischi, il borsello, il frac, forse è vicino il giorno in cui l'accendino sarà per noi un oggetto desueto o un'eccentricità démodé. Una cosa passata. La memoria e i cassetti dovranno pure custodire qualcosa. Non tutti gli accendini, ovviamente. Quelli di plastica, senz'anima, senza bellezza, comprati per mille lire all'angolo, si venderanno ancora. Perché servono. Ma l'accendino finnato e pregiato, inutilmente bello, da far scattare con malcelato orgoglio sotto il viso di una signora o di un amico, ha la fiamma sempre più flebile. Lo zippo spegne la griffe, la plastica soffoca l'oro. La prati- 5 0 7 2 1> 771122"176003 cita (e il risparmio) eclissano uno status-symbol. Il segno del cambiamento è la crisi della Dupont, il prestigioso marchio francese. In questi ultimi anni le vendite di accendini di lusso - placcati oro, argento, o laccati - sono in netta diminuzione, secondo i dati del settimale «Le Point». E, per la seconda volta dal '91, la scure si abbatte sulla fabbrica di Faverges, in Alta Savoia, e sulla sede parigina. Prima imputata, la campagna antifumo. Che però da sola non spiega l'impasse. C'è un motivo più sottile. Un pezzo di società si è stancato di essere un target ideale di mercato. I maschi adulti, ricchi e sicuri di sé, lo sono al punto da aver spento la sigaretta. Fumano i poveri, soprattutto quelli del Terzo Mondo, poco sensibili al fascino della firma. Fumano le donne, che trovano gli accendini di lusso troppo pesanti (alcuni passano l'etto). I giovani li vedono come un oggetto invecchiato (e fuori dalle loro possibilità). Meglio la moda destrorsa (lo zippo con la sua fiammata aggressiva) o la riscoperta sinistrorsa (i tradizionali, understated fiammiferi). E gli accendini paiono trascinare nell'obsolescenza un altro oggetto apprezzato per la sua graziosa inutilità. Anche le stilografiche di prestigio abbandonano le vetrine per i cassetti. Dalle luci degli spot al limbo delle nostalgia. Non è detto che sia un male. Le ameremo di più. NAPOLI. Accusò Enzo Tortora che fu condannato in primo grado e bollato come un trafficante di droga al soldo della camorra, un «cinico mercante di morte». A dieci anni da una delle pagine più discusse della storia giudiziaria napoletana, Gianni Melluso fa marcia indietro: lui, che gettò manciate di fango addosso allo showman morto di cancro poco dopo l'assoluzione al processo d'appello, spiega di avere inventato tutto. Lo rivela «Visto», che pubblica il contenuto di una deposizione durata quattordici ore davanti al procuratore presso la pretura di Spoleto, Vincenzo Scolastico, e al pm di Salerno Ennio Bonadies. Gianni «il bello», piccolo malavitoso non nuovo a colpi di scena ad uso e consumo dei rotocalchi, è detenuto per rapina nel carcere di Spoleto. Lì ha deciso di «restituire dignità alla memoria» di Tortora. Aldo Cazzullo MiloneAPAG.12 Presidenza del Consiglio ROBERTO MAINI Vittorio Zucconi CONTINUA A PAG. 2 PRIMA COLONNA

Persone citate: Aldo Cazzullo, Ennio Bonadies, Enzo Tortora, Gianni Melluso, Melluso, Roberto Maini, Savoia, Tortora, Vincenzo Scolastico

Luoghi citati: Napoli, Salerno, Spoleto