Schisano il «texano» ha perso la bussola

r Schisano il «texano» ha perso la bussola I colpisce, in tutta sincerità, il singolare caso dell'ingegner Schisano, detto «Il Texano», un signore giovanile che, con la sua impettita presenza e la sua scienza, doti giustamente assai ben retribuite, avrebbe dovuto finalmente strappare l'Alitalia dall'orlo del baratro, per ricondurla a volare in cieli virtuosi. Son passati circa diciotto mesi dal giorno in cui, segnalato all'allora presidente dell'Ili Romano Prodi non da un partito, ma da una società di cacciatori di teste, Schisano s'è insediato, tra le fanfare, al vertice della compagnia di bandiera. Ma, purtroppo, nessuna delle speranze che quella nomina delottizzata aveva suscitato, si è realizzata. Anzi, volare nei nostri cieli, come tutti sanno, è oggi più difficile di due anni fa, e il bilancio dell'azienda va ancora giù in picchiata, se è vero che nel primo semestre dell'anno ha accumulato perdite per 200 e passa miliardi. Ne è seguito un corto logoramento d'immagine del Texano, che un anno fa veniva paragonato a John Wayne in «Ombre rosse» e oggi richiama, piuttosto, dopo alcuni episodi grotteschi come quello dell'accordo fallito per una joint venture con i piloti, il principe De Curtis in una delle sue più geniali interpretazioni, quella in cui Totò, scompisciandosi dalle risate, diceva a uno che, chiamandolo erroneamente Pasquale, lo schiaffeggiava: «E che io so' Pasquale?». Nutriamo tutto il dovuto rispetto per un manager di vaglia come l'ingegner Schisano, che si è fatto le ossa alla Texas Instruments e che, abituato a fare i conti con l'efficienza e il mercato, riesce a dire finalmente il fatto loro a piloti spesso spocchiosi e a hostess e steward talvolta malmostosi. Ma bisogna pur chiedersi, a questo punto, se la strategia sia stata giusta e se Schisano, con tutto il suo preclaro know how, sia effettivamente in grado di risanare l'Alitalia o, piuttosto, se il problema che ha di fronte è di una complessità tale da travalicare le sue lineari esperienze americane. Sarebbe ingiusto negare un po' di solidarietà a un amministratore che si è trovato tra le mani un'azienda decisamente rognosa: il suo antico predecessore carismatico era Umberto Nordio, grande navigatore della prima Repubblica, superlativo uomo di relazioni, che litigava anche lui, di quando in quando, con i piloti, ma badava magari a non farlo proprio in luglio, nel momento in cui il fatturato della compagnia cresce. Il successivo amministratore delegato si chiamava Giovanni Bisignani, come dire che nel grattacielo della Magliana sedeva praticamente l'alter ego di Giulio I Andreotti. j ; Capite, allora, in che posto è capitato il povero Schisano, con il suo look americano, proveniente da un'azienda che faceva assemblaggio, sicuramente non complessa e sofisticata come una compagnia aerea pubblica e, per di più, segnata in profondità dalla politica? Proprio il posto più «fetente», come direbbe Totò, dove il Texano, inevitabilmente, viene fatto a fettine giorno dopo giorno. Avete mai visto, ad esempio, un capo azienda che è costretto a firmare col governo un protocollo con cui accetta una vigilanza sugli impegni da lui stesso assunti? A Schisano è capitato proprio questo: «Il governo recita infatti il protocollo del 7 luglio scorso - vigilerà sul mantenimento, da parte di tutti, degli impegni assunti in data odierna...». Cosi ci troviamo con un manager di esperienza internazionale, pagato 100 milioni al mese o giù di lì, commissariato di fatto dal presidente del Consiglio Dini, attraverso il sottosegretario Cardia, ma che non ha sentito per questo il bisogno di dimettersi. Si dirà che nessuno, umanamente, avrebbe potuto risolvere senza scosse una situazione sindacale e di bilancio mefitica. Ed è probabilmente vero. Ma Schisano, non soltanto non l'ha risolta, ha compiuto un vero miracolo alla rovescia: per la prima volta è riuscito a mettere d'accordo le organizzazioni sindacali dei piloti e quelle confederali, che si erano sempre combattute. Se tutto questo fosse servito a ridare una prospettiva di efficienza e di redditività all'Alitalia, sarebbe un prezzo pur sempre alto, ma forse da pagare. Il fatto è che pochi confidano ormai in una prospettiva ottimistica: come si può salvare, del resto, un'azienda che da mesi, come se niente fosse, tiene fermi sulla pista due Airbus 321 nuovi, pagati 160 miliardi, mentre il mercato mondiale si sviluppa a tassi del 14-15%? Ecco perché sono sempre più numerosi, anche tra quelli che avevano nutrito speranze nella svolta dell'Alitato, coloro i quali predicono al Texano la fine di Bernard Attali, l'ex capo dell'Air France, licenziato per i bilanci in rosso e lo scontro con i comandanti. Prospettiva della quale non c'è molto da gioire, visto che ha già nuovamente stimolato i soliti appetiti politici. Alberto Staterà ara j

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