Ho scritto musica per gli elicotteri

Intervista col grande compositore, a Venezia per la Biennale, che parla della sua opera e polemizza con La Scala Intervista col grande compositore, a Venezia per la Biennale, che parla della sua opera e polemizza con La Scala Ho scritto musica per gli elicotteri■ EVENEZIA INCHE' ci saranno le stelle, il maestro si sentirà tranquillo. Le guarda e pensa di comunicare a noi, con la sua musica, la loro perfetta complessità, quella purissima bellezza. Karlheinz Stockhausen, compositore e mago. A vent'anni, perduta la madre in una clinica psichiatrica, scomparso il padre sul fronte ungherese, per mantenersi al Conservatorio accompagnava al pianoforte le esibizioni di un illusionista nei cabaret. Adesso che ne ha sessantasette ed è il genitore, venerato o detestato, di tante avanguardie musicali europee, preferisce far eseguire le sue creazioni nei planetari, in fabbriche abbandonate, nei docks di vecchi porti, dentro gli elicotteri in volo. La sua auratica presenza non poteva mancare a «L'ora di là del tempo», l'imponente rassegna della Biennale dedicata alla «spiritualità» nella musica contemporanea. «La sala completamente al buio. Due quadrati di altoparlanti alti quattordici metri, otto punti di nascita del suono, io da solo che ne controllo la diffusione nello spazio. Ho inventato il suono diagonale, a spiralo, infine verticale, che decolla come fanno gli aerei e poi sale verso il cosmo. E' già tutto realizzato nello studio elettronico della Radio di Colonia, ho dovuto solo sentire l'acustica di questa sala»: così il maestro racconta Oktophonie, eseguita ieri sera in prima italiana. Sulla terrazza dell'Hotel Monaco, quasi mi strappa dalle mani Requiem pour un'avantgarde, il volume appena uscito in Francia che si scaglia contro Pierre Boulez, la musica nuova, la sua pretesa «incomunicabilità». «Chi dice questo è morto lui. Come si fa ad avere uno spirito così negativo alla fine del millennio, in questi anni di scoperte meravigliose? Idiozie. La musica d'arte è sempre d'avanguardia». Forse il libro si riferisce ad una certa crisi di pubblico... «Ho fatto nove concerti ad Amsterdam e ogni volta, alla fine, decine e decine di ragazzi, curiosi, competenti, intelligentissimi, venivano a chiedere, a parlare, a raccontare. Io sono un musicista di oggi, non cerco di rifare il passato e la musica d'intrattenimento, d'ameublement, non mi ha mai interessato. Molto americano. La lascio fare a Philip Glass. Oggi la musica ha enormemente allargato il campo del suo consumo, siamo in sei miliardi e la gente è libera di ascoltare quello che vuole. Ma soltanto in pochi pensano alla musica come ad una disciplina di conoscenza». La musica come sapere? «Certo, sappiamo così poco del cosmo attorno a noi, niente di come funzioni l'universo oltre il nostro sistema solare. Astronomia, matematica, musica sono le scienze più importanti, più esatte e più spirituali, oggi come mille anni fa». I suoi occhi hanno la luce, il contagioso fervore di sempre quando racconta il recentissimo Quartetto d'archi per elicotteri, appena eseguito ad Amsterdam. Nessun compositore aveva finora immaginato qualcosa di simile: «Sempre seguiti da una telecamera i musicisti del Quartetto Arditti sono saliti dentro quattro elicotteri che hanno raggiunto un'altezza di circa 500 metri. Ogni elicottero aveva una propria telecamera e tre microfoni: uno per captare il rumore delle pale, uno per il suono degli strumenti, uno accanto alla bocca degli esecutori. Tutti lli erano collegati con me e io, seduto in un magazzino del porto, ricevevo questi dodici segnali e curavo la regia acustica, mentre il pubblico poteva vedere tutto sui monitor. I piloti erano stupefatti della precisione assoluta dell'organizzazione, dal nitore del suono: dalla registrazione si potrà fare un disco». Come le è venuta l'idea? «La mia musica è costruita secondo l'organizzazione degli atomi, che sono il nucleo della lenta immensità dello spazio. Ho pensato a come poter sentire un suono prodotto nel cielo da un musicista. E' l'idea del Weltraum, lo spazio del cosmo infinito. Welt in tedesco non vuol dire solo mondo: è il tutto, l'uomo dentro il tutto». «Paludi mistiche», così Goffredo Petrassi ha definito alcuni suoi recenti lavori. Lei si ritiene un mistico? «Assolutamente no. E' una questione neurologica: bisogna estendere la percezione dei nostri sensi. E' il modo dell'ascolto che deve svilupparsi: il vero progresso lo otterremo quando cambieremo la nostra concezione della musica. E per raggiungerlo dobbiamo avere la testa dieci volte più grande, più libera». Eppure lei parla di armo¬ nia delle sfere, titola un suo pezzo «Mantra», come una formula magica. Raccomanda agli esecutori l'«Einstimmung», l'accordarsi, il «consonar si» al tutto. «E' geometria, non fede. Sono affascinato dalla figura dell'esagono, dall'idea che tutti gli angoli sono di sessanta gradi: se delle luci, dei musicisti si dispongono tra loro come in un esagono, le rifrazioni sonore e luminose saranno infinitamente varie, diverse, non lineari, non dirette. La musica cresce in una sovrapposizione continua, come una pianta: ma questa è vita, non misticismo». «Weltraum», composizione di sola musica elettronica, dura 142 minuti. Sono forse queste durate, queste dimensioni ad aver spaventato la Scala che ha in- terrotto la collaborazione prevista per le varie giornate della sua «Settimana della luce»? «Ah, quelle lettere di Carlo Fontana: non pensavo fosse così reazionario. E non so se c'entri in qualche modo il suo rapporto con Riccardo Muti C'era un preciso accordo, una commissione sottoscritta da Badini che hanno ereditato, ma non hanno voluto rispettare. Non importa: il Martedì l'ho già realizzato a Lipsia nel '93, il Venerdì lo farò il prossimo an no. Le istituzioni italiane han no paura: al massimo ti prò pongono un tendone da circo». E' anche un problema di spazi: forse un teatro d'opera non è il luogo più adatto... «Gli architetti non seguono l'evoluzione della musica. Sono dominati, compressi dall'in fluenza, dalla miopia dei politi ci, non hanno coraggio di uscire dalla convenzione, dalle vecchie abitudini dell'ascolto e dei suoi templi. Questo è normale, dicono, e così faccio anch'io: bene, questi architetti non vanno bene per noi, dico io. Una sola volta ho potuto costruire l'ascolto come è necessario: nelle sfere sonore, nei dieci cerchi di altoparlanti del padiglione tedesco all'Expo 1970 di Osaka. Un milione di persone si sono immerse nella mia musica. Quello era un modello giusto por l'ascolto, l'unico: lo hanno distrutto». Sono passati 40 anni dai primi corsi della «nuova musica» tenuti a Darmstadt: tempo di scontri micidiali, John Cage contro Luigi Nono, la libertà contro 1 ordine, il caso contro il rigore della serie. Lei è cambiato, da allora? «Io utilizzo il rigore della serie ogni giorno. Dunque sembro fedele a me stesso, e invece sono enormemente cambiato. Ho capito che la musica è un organismo e come ogni organismo nasce dall'infinitamente piccolo. Questo è per me il nucleo della serie, ma oggi in quel nucleo sento un'energia, una presenza diversa, più vitale, dialettica. Ogni elemento cresce, muove verso una meta e in questo movimento si scoprono strati diversi dello sviluppo. Qualcosa di vivo, come il nostro corpo». Dopo il concerto veneziano, il maestro ritornerà a Kurten, il minuscolo villaggio dove vive, a trenta chilometri da Colonia. Lavorerà ad un nuovo brano per pianoforte: sarà il numero 253 del suo catalogo e lo dedicherà a Luciano Berio, per i suoi settant'anni. «Quando l'ho conosciuto, nel 1955, era un magnifico artigiano. Poi la sua musica è diventata indipendente e libera. Musica d'arte: io la chiamo così, questa per me è la differenza». Durante l'estate, in quella casa completamente isolata in mozzo al bosco, ma così vicina ad uno dei centri musicali più avanzati in Europa, verrà raggiunto dai sei figli: tre, Markus, Mariella e Simone, suonano con papà, come c da sempre abitudine delle «famiglie musicali» tedesche. Dei dodici nipotini, molti già accarezzano qualche strumento. Gli Stockhausen saranno i Bach del ventesimo e ventunesimo secolo? Ride il maestro e mago, mentre la notte lagunare gli offre un tripudio di stelle. Lui le sente vicinissime. Sandro Cappelletto Un quartetto d'archi ha suonato a 500 metri d'altezza, trasmettendo a terra le note e il rumore delle pale Ascolto l'armonia delle sfere celesti, esploro l'organizzazione del mondo atomico Qui accanto, il compositore tedesco Karlheinz Stockhausen. ospite alla Biennale di Venezia che gli dedica la rassegna «L'ora di là del tempo» sotto il titolo, da sinistra. Luciano Berio e Philip Glass / teatri italiani hanno una gran paura temono l'avanguardia c'è un clima reazionario

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