«Fabio, se sei morto è colpa del mio amore per la bici» di Marco Marelli
«Fabio, se sei morto è colpa del mio amore per la bici» «Fabio, se sei morto è colpa del mio amore per la bici» WfiÈmmmè IL DRAMMA Em comò " bello il mio Fabio...», ripete tra i singhiozzi nonna Adelina. Sì, è ancora bello, signora. La caduta che lo ha strappato alla vita non lo ha sfigurato. C'è un oblò nella bara di Fabio Casartelli, l'olimpionico di ciclismo morto al Tour de France. Un oblò per consentire alla giovane moglie Annalisa, a papà Sergio e mamma Rossana, agli amici più cari, di vedere, un'ultima volta, Fabio. Ma c'è un bimbo che non lo conoscerà mai: si chiama Marco, ha appena due mesi, è il figlio di Casartelli. Aspettavano che il papà tornasse dal Tour per battezzarlo. «E' bello il mio Fabio», ripete nonna Adelina. La camera ardente è stata composta al primo piano della villetta, bianca ed anonima, nella quale il corridore viveva dal novembre del '93. Sulla bara, a coprire l'oblò, una targa in ottone, con una scritta «Fabio Casartelli. 1970-1995». Due date che racchiudono una breve esistenza: Fabio avrebbe compiuto 25 anni il prossimo 16 agosto. Un'esistenza scandita dal ciclismo: Fabio ha cominciato a gareggiare giovanissimo per poi esordire tra i professionisti nel '93, con l'Ariostea di Ferretti. Vicino alla targa, un crocefisso in ottone, con un Cristo in rilievo. Non ci sono fiori, sulla bara. L'unico mazzo, un mazzo di rose rosse, l'ha deposto all'esterno della villetta un cicloamatore: «In ricordo di un campione». Quando arriva il carro fune¬ bre con la bara di Fabio si alza improvviso e spontaneo un applauso, tra la folla muta e numerosa di Albese in Como, questo piccolo centro nella campagna tra Como e Lecco. Sono ore che questa gente attende, sotto un sole a picco che toghe il respiro, l'arrivo del loro sfortunato eroe. Sì, perché Fabio per i suoi compaesani era un eroe. Uno che aveva fatto strada nella vita. E tra gli applausi si alza una voce, quasi un grido disperato di una donna anziana: «Non è giusto che tu sia morto...». «E' bello il mio Fabio», ripete la nonna. E accanto a lei c'è papà Casartelli, Sergio. Non trova pace da ieri, da quando ha visto in diretta tv suo figlio immobile, a terra, in un lago di sangue. «Se non l'avessi spinto a fare il corridore, Fabio sarebbe ancora vivo. Sono stato io a insistere perché facesse il ciclista, anche perché mio figlio aveva la stoffa». Lui se ne intende. Il ciclismo è stata la sua grande passione. E' stato corridore anche lui: dilettante. E ancora prima lo era stato suo padre, il nonno di Fabio. Una famiglia di ciclisti. E le due ruote hanno unito anche i cuori di Fabio e Annalisa. Lei correva in bicicletta, proprio come lui. Signor Sergio, quando ha sentito l'ultima volta Fabio? «Fabio l'ho sentito, per telefono, lunedì sera, la sera prima della disgrazia. Come sempre, ogni giorno, prima di coricarsi, verso le 22, ha telefonato a casa». Che cosa le aveva detto? «Era contento. Anche soddisfatto. Si stava comportando bene, la sua classifica era positiva. E sperava di chiudere in bellezza il Tour de France, di mettersi in luce magari in una delle ultime tappe. Ma era contento anche perché si avvicinava il ritorno a casa». Aveva nostalgia del piccolo Marco? «Era la prima cosa di cui chiedeva sempre. Con noi, con sua moglie. Povero Fabio, l'aveva visto una volta sola suo figlio. Sa, mio nipote è nato due mesi fa. E ancora non è stato battezzato. Aspettavamo il ritorno a casa, dopo la fine del Tour, di Fabio. E invece Marco non conoscerà mai suo padre». Marco Marelli Fabio Casartelli con la moglie Annalisa: anche lei gareggiava in bicicletta
Persone citate: Casartelli, Fabio Casartelli, Ferretti
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